10. Al Red

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Quel pomeriggio impiegai circa 3 ore per prepararmi. Non raggiungevo questi record dalla sera del ballo di fine anno.
Provai almeno 7 abiti, non scherzo. Prima uno rosso a fiori... nah, troppi fiori... poi uno bianco a pois neri... troppo anni 70'...
Scorsi tra i vari abiti appesi in armadio, un tubino nero, quando lo avevo acquistato? Non ricordavo, ma non importava in quel momento. Lo presi immediatamente e lo indossai. Mi sentì a mio agio. Aveva una cintura in vernice nera sulla vita, che permetteva di esaltare la forma del corpo. Avevo un girovita abbastanza stretto, non potevo lamentarmi. La scollatura scendeva in un taglio dritto, il tessuto cadeva leggero sulla pelle. Mi guardai allo specchio.

Sì, era lui

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Sì, era lui. Era l'abito che avrei indossato! Quindi, corsi a truccarmi. Niente di impegnativo, ero una forte sostenitrice del trucco leggero. "Certe donnette sembrano portare maschere veneziane sul volto... Hai presente le maschere veneziane, Suz?" mi diceva da piccola mio nonno. Il ricordo mi fece sorridere, mentre passavo un po' di blush sulle gote. Ecco fatto, adesso dovevo pensare ai capelli. Decisi di lasciare il mio mosso naturale, non mi andava di piastrarli, volevo che mi vedesse nella mia naturalezza.
Perfetto, il look era pronto. Pensavo di esser stata abbastanza celere, invece erano già le 19.40! 'Merda...' pensai '... devo immediatamente avviarmi verso il locale'. Presi di corsa la borsetta, spruzzai su polsi e collo il mio profumo preferito e uscì di casa.

Non avrei avuto il tempo materiale di chiamare un taxi o prendere un bus

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Non avrei avuto il tempo materiale di chiamare un taxi o prendere un bus. Quindi decisi di proseguire a piedi, in fondo il Red distava solo 10 minuti da casa mia.
Non avevo mai imparato a guidare. Mio padre mi diceva sempre "Vedrai, appena ti farai più grandicella, ti trasformerò in un vero pilota!" ma poi le cose andarono come andarono. Pensavo, comunque, di iniziare la scuola guida a breve, necessitavo di un auto, un auto mia. Mi avrebbe permesso di essere ancora più indipendente. Ogni tanto, quando pioveva, era Johnny ad accompagnarmi a casa da lavoro. Ma non volevo più continuare così, dovevo rendermi autonoma. Se c'è una cosa che ho imparato nella mia vita, è quella di fare in modo che, qualunque cosa accada, tu possa sempre fare affidamento su te stessa.
Finalmente arrivai al Red. I piedi avevano retto bene la camminata, fortunatamente avevo scelto un paio di tacchi abbastanza comodi. Le palpitazioni aumentarono ed iniziai ad avere un respiro più concitato. Era da un anno che non avevo un appuntamento. Non so, in realtà, se il nervosismo dipendesse dal fatto di avere un appuntamento o perché lui sarebbe stato il mio appuntamento. Credo più la seconda.
Rimasi davanti al locale, mi guardai attorno, sperando di incrociare il suo viso. Niente. Guardai l'orologio: le 20 in punto.
'Beh, qualche difetto doveva pur averlo in fondo...' pensai, rendendomi conto di essere arrivata prima di lui. 'In effetti, ora che ci penso, quella mattina, in caffetteria, si scusò con quegli uomini per il ritardo... "
Mentre ripensavo a quella mattina, sentì chiamarmi da dietro. Una mano poggiò sulla mia spalla "Suzanne?" Era lui. Gli sorrisi e lui sorrise a me. Ero emozionata, eravamo emozionati, lo vedevo dai suoi occhi lucidi. "Ciao..." dissi con un filo di voce "Ciao..." rispose lui.
Era magnifico, come sempre. Ma quella sera, ai miei occhi, lo era ancora di più.
Indossava una giacca nera, sopra una t-shirt grigio scura. I pantaloni sembravano cuciti addosso a lui e gli mettevano in risalto un fondo schiena sodo e rotondo. Le scarpe erano abbastanza casual, mi piaceva il contrasto elegante/sportivo.
"Sei bellissima stasera..." mi disse, guardando prima il tubino e poi i miei occhi "Grazie... Tu stai benissimo" ricambiai io.
"Ero dentro al locale perché avevo preso un tavolo, poi ti ho vista arrivare e sono uscito a chiamarti"
Okay, non era arrivato dopo me. Contai di trovarci un difetto nel corso della serata, doveva averne.
Entrammo nel locale. L'interno era arredato in maniera moderna, linee semplici ma eleganti. Le luci erano soffuse, sui toni del giallo/arancione... era molto accogliente. "Ecco, questo è il nostro tavolo" disse indicando un angolino molto appartato, vicino a una finestra che dava direttamente sulla strada. Ci sedemmo, cioè, lui mi fece sedere come il miglior manuale di bonton vuole, e poi si accomodò davanti a me. Sembrava a suo agio nel modo di muoversi e fare le cose, non era goffo e impacciato.
'Chissà con quante altre donne avrà avuto un appuntamento come questo' pensai, mentre il cameriere ci portava i menù.
C'erano davvero tantissimi piatti interessanti sulla carta, dalla carne fino al pesce di fiume. "Io prendo l'arrosto di anatra con patate dolci" dissi senza staccare gli occhi dal foglio. Guardarlo in faccia mi creava un imbarazzo davvero strano. "Ottima scelta. Per me, invece, salmone con salsa verde". Il cameriere ci chiese con cosa preferissimo accompagnare le portate. Io non ci capivo nulla in fatto di vini. Non ci ho mai capito nulla. L'unica cosa che alterno all'acqua è sempre stata la birra.
Lo guardai con la faccia di chi non ha idea di cosa dire, allora lui disse "Ti piace il vino italiano?", feci di si con la testa (in realtà non lo avevo mai provato) "Allora ci porti una bottiglia di Chianti"
"Ottima scelta, signore" commentò il cameriere e se ne andò.

Sorrisi a Christopher, mi piaceva la sua intraprendenza. Il mio ultimo ragazzo, Dean, non lo era affatto. Non prendeva mai in mano la situazione, ero sempre io a doverlo consigliare. Era una cosa che non sopportavo.
"Sei mai stata in Italia?"
"In Italia? Beh no... magari! Mi piacerebbe..."
"In Toscana fanno davvero dell'ottimo vino, il Chianti è uno dei miei rossi preferiti."
"Ci sei stato?" chiesi io, incuriosita.
"Qualche anno fa, viaggio di lavoro. Grazie al cielo ho girato quasi tutta l'Europa negli ultimi anni."
"Che lavoro fai?"
"Mi occupo di merchandising, collaboro con le aziende per instaurare rapporti di comunicazione coi consumatori"
Non ci capì molto, onestamente. Ma mi piaceva ascoltarlo parlare. Lo avrei fatto per ore. La sua voce... Oh, la sua voce. Era così calda.
"E tu, invece? Cosa ci fa una ragazza come te, dentro una caffetteria piena di gente con l'artrosi?" disse, sorridendomi.
Accennai un timido sorriso "Spero di lasciare presto quel posto... è il massimo che ho trovato da queste parti..."
"A Londra sono sicuro che troveresti un lavoro che ti soddisfi veramente..."
"Sei di Londra?" chiesi istintivamente.
"Nato e cresciuto, sì."
Lo sapevo. Si vedeva che era un uomo abituato alla frenesia che solo grandi città come Londra possono darti.
"Ma mio padre ha origini asiatiche, mio nonno era vietnamita."
Ecco perché quei tratti così particolari... Nel suo sangue scorrevano varie etnie che esplodevano in un misto di connotati unici.
"Tu? Nata e cresciuta qui invece?" Nel frattempo i piatti erano stati serviti a tavola. Quell'arrosto aveva un aspetto davvero delizioso.
"Beh si, i miei bisnonni erano abbastanza conosciuti, qui a Norwich, avevano una fabbrica di pellicce. Ed io non mi sono mai spostata da qui... Cioè, sì, ho viaggiato, ogni tanto... Ma ho sempre vissuto qui... Mi piace questa città."
"Norwich..." disse lui mentre mi versava del vino "... La vecchia e cara Norwich!"
Non capì se fosse sarcastico o meno. A volte era nell'indole dei londinesi prendere in giro le città minori.
Alzò il bicchiere "Prima di iniziare la cena, direi che è giusto fare un brindisi"
"A cosa brindiamo?" feci io, completamente affascinata, ormai, dal suo modo di fare.
"Brindiamo a questa splendida serata... Che possa essere l'inizio di una piacevole conoscenza...". Sorridemmo, mentre il cin cin dei nostri calici procurò un suono quasi elettrico. "... Oh, ed ovviamente un brindisi anche ai tuoi cappuccini!" fece lui, dopo un primo sorso. Scoppiammo a ridere e ripensai alla magra figura che feci quel pomeriggio.

La serata trascorse incredibilmente bene. Parlammo di tantissime cose, l'imbarazzo dei primi istanti lasciò spazio alle risate e ad una complicità inaspettata. Penso che il vino mi abbia sicuramente aiutato a sciogliermi. Gli raccontai qualcosa sulla mia vita: gli parlai dei miei nonni e di mio padre. Non feci alcun accenno alla sua malattia, dissi semplicemente che era scomparso tre anni fa. Non gli raccontai nemmeno di mia madre. Era troppo doloroso farlo, e quella non era di certo la serata giusta per affrontare discorsi di quel tipo. Una cosa in comune però la scoprì. Anche lui era cresciuto senza una madre. Mi disse che era morta per un cancro al seno quando lui aveva solo 7 anni. Non mi guardava negli occhi mentre lo raccontava, teneva lo sguardo basso, verso il piatto. Credo che gli faccia ancora male ricordare quei momenti. Ma sono felice che si sia aperto a me. Scoprì che aveva 32 anni. Non mi aspettavo quell'età, dall'aspetto gli avrei dato massimo 29 anni, ma ammetto che mi stuzzicò l'idea di rapportarmi a un uomo più grande di me di 11 anni. Mi faceva sentire protetta. Poi mi raccontò che il padre si era risposato e di quanto fossero freddi i rapporti con la sua matrigna. Mi resi conto che, nonostante la sua spiccata sicurezza, anche la sua vita non era stata affatto facile.
A fine serata, dopo essere andato a saldare il conto, si preoccupò di chiamarmi un taxi. Quando l'auto arrivò, noi stavamo ancora chiacchierando del più e del meno davanti al locale. Era incredibile la sensazione che provavo, era come se ci conoscessimo da sempre. Mi diede un bacio sulla guancia. Un profumo proveniva dal suo collo, doveva essere un dopobarba, uno di quelli al muschio, particolarmente piacevole. Sentì un brivido quando poggiò velocemente le labbra sulla mia guancia. Ma mi limitai a sorridergli "A presto" dissi, salendo sul taxi.
"A presto." mi rispose.

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Lost in your shady face - L'ombra del tuo viso Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora