Rimasi quasi perplessa dalla perfezione del suo viso, "C'è una nebbia terribile stamattina..." esordì quell'uomo, rivolgendosi ai colleghi, che lo aspettavano seduti al tavolo della caffetteria. Non avrei mai pensato che quello sarebbe stato l'inizi...
La cerimonia si svolse in un fresco pomeriggio di Aprile. Christopher aveva cercato di convincermi a non venire al funerale. Mi sembrava una richiesta strana, immotivata. Mi disse solo che voleva evitarmi altri contrasti con Grace e che quello non era il contesto giusto dove portarmi. Non volli sentire ragioni e insistetti così fortemente che Chris, alla fine, acconsentì. "L'unica cosa che, però, ti chiedo è di non rivolgerle la parola. Resta accanto a me e fa come se non esistesse..." Decisi di cedere a quel compromesso, senza fare domande e chiedere ulteriori spiegazioni. Il momento era troppo doloroso per tediarlo con le mie paranoie.
La Chiesa di St James era stracolma: le sedute erano state completamente riempite e qualcuno fu costretto a rimanere in piedi, in fondo alla navata. Non mi stupiva che un uomo come lui avesse avuto così tante persone a volergli bene. Sì, è vero, conobbi Albert solo la sera della vigilia di Natale, ma non serve molto tempo per capire quando ci si imbatte in un'anima pura. Ricordo che durante la messa, pensai che avrei portato per sempre con me le parole che mi disse quella sera. Era come se avesse deciso di benedirmi, prima di lasciare questa Terra. Ed io mi sentivo estremamente fortunata di averlo anche solo conosciuto.
Rimasi a fianco a Christopher per tutto il tempo. Era distrutto, col viso pallido e gli occhi arrossati. Ma cercava di mantenere compostezza, credo che lo facesse per suo padre. Voleva tenere duro per lui. Qualche posto più in là sedeva Grace, la matrigna. Composta, collo teso all'insù, sguardo congelato in un un'espressione monocolore. Portava dei grandi occhiali scuri, che non tolse durante la cerimonia. Era quello il suo modo di reagire al lutto. Non la giudicai, e in un certo senso cercai di capirla. Forse ero troppo buona nei suoi confronti, in fondo mi aveva psicologicamente distrutta quella sera. Ma non me la sentì di pensare male di lei. Credo che a suo modo, anche lei soffrisse molto. E smisi di osservarla fino alla fine della giornata.
Arrivò il momento dei discorsi e il parroco invitò Christopher a prendere posto al leggio. Salì lentamente i gradini. In Chiesa c'era un silenzio irreale. Tirò fuori dal taschino della giacca un foglietto, sistemandolo sul piano in legno. Portò verso la bocca l'asticella del microfono, deglutì e iniziò.
"Quando avevo 10 anni mi comprasti uno di quegli aeroplani telecomandati. Ogni domenica andavamo al Regent's Park, per farlo volare. Ricordo che un giorno, però, persi il controllo dei comandi e lo feci schiantare sul prato, distruggendolo in mille pezzi. Ero mortificato, perché sapevo che avevi speso tanti soldi per comprarmelo, così iniziai a piangere. Tu ti inginocchiasti fino a portare il tuo viso vicino al mio e mi dicesti che non era successo niente, che le cose sono fatte per rompersi. Che per quanto io amassi quell'areoplano, prima o poi si sarebbe comunque distrutto. E poi mi dicesti, sorridendo, una frase che mi rimase dentro per sempre: 'Non è importante che l'aeroplano si sia rotto. L'importante è averci giocato ed essere stati felici.' "
A quel punto fece una pausa. Si schiarì la voce, perché la commozione stava prendendo il sopravvento. Una lacrima solcò il viso.
"Tu ti sei rotto, papà. Ti sei rotto proprio come quell'aeroplano che mi avevi comprato. Sei stato assolutamente il miglior padre che io avessi mai potuto sperare di avere. Sono sicuro che adesso sarai lassù, insieme a mamma, a ridere e prendermi in giro perché non sono mai stato troppo bravo con le parole. Però stavolta spero di esserci riuscito, più o meno decentemente. E proprio come quella volta al parco, oggi ti rispondo dicendo che 'Non importa che tu te ne sia andato. L' importante è averti vissuto ed essere stati felici.' Ti voglio bene papà."
Le lacrime mi bagnarono il viso. Il discorso di Christopher fu bellissimo e pieno d'amore. Avrei voluto stringerlo forte a me, ma cercai di contenermi, data la circostanza. All'uscita della Chiesa una folla di persone iniziò ad abbracciarlo e a fargli le condoglianze.
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Successivamente ci recammo al cimitero per il momento della sepoltura. Parte della gente era ritornata a casa. Fu, forse, il momento più straziante dell'intera giornata. Strinsi per tutto il tempo la mano di Christopher, cercando di trasmettergli più forza che potessi.
Verso le 19, rincasammo. "Non voglio che te ne vai... resta con me questa notte..." mi disse con tono distrutto, mentre si toglieva la giacca. "Non avevo alcuna intenzione di andarmene..." gli andai incontro e lo abbracciai. Rimanemmo in silenzio, stretti l'uno all'altro. "Io sono qui... non ti lascio solo..." sussurrai, continuando a tenerlo stretto a me "...Ti amo..." Christopher mi strinse più forte.
Passammo la nottata rimanendo abbracciati a letto, con lo stereo a basso volume che trasmetteva una canzone...
Tu portami via Dalle ostilità dei giorni che verranno Dai riflessi del passato perché torneranno Dai sospiri lunghi per tradire il panico che provoca l'ipocondria
Tu portami via Dalla convinzione di non essere abbastanza forte Quando cado contro un mostro più grande di me Consapevole che a volte basta prendere la vita cosi com'è Cosi com'è Imprevedibile...
Mentre la musica e le parole volavano via, Christopher mi accarezzava il viso, perso nei miei occhi.
Mi guardò con dolcezza disarmante, gli scese una lacrima "Ti amo..." disse. Ci stringemmo come non mai, poi ci addormentammo.
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Portami via dai momenti Da questi anni violenti Da ogni angolo di tempo dove io non trovo più energia Amore mio, portami via
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