Chapter 10: March Hare

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Aloysius l'aveva accompagnata a casa, o almeno nelle vicinanze di essa, perchè Grace non voleva che lui sapesse come reperirla. Tornare tra quelle mura non la confortava affatto, non era casa sua quella, ma nemmeno a San Diego si sarebbe trovata a suo agio probabilmente.

Non aveva più una casa.
Non aveva più amici, nè una famiglia.
Non aveva più niente per cui valesse la pena lottare.
Non c'era niente di suo in quel mondo di proprietà.

Ognuno pretende di possedere qualcosa e affermare che sia propria, perché fa sentire decisamente meglio avere sempre qualcosa in più di altri.

Grace aveva una memoria fotografica perfetta, ogni luogo aveva collegati dei ricordi indelebili. Le mura del suo bagno, d'ora in poi, le avrebbero ricordato il desiderio disperato del suo animo. La sua coscienza ormai sporta al limite del vivibile.
Dentro voleva morire per far cedere quel mostro che era il dolore.
Ne aveva visti tanti di servizi al telegiornale sui gusci vuoti che erano ormai alcune ragazze. Quando una persona muore dentro, non resta altro che un involucro vuoto e lei si sentiva come una noce marcia.

Quando aprì la porta di casa era quasi mezzogiorno. La voce metallica della televisione risuonava tra le pareti grigiastre e un odore di carne bruciacchiata la investì.
- Sei tornata, per fortuna. Ho delle novità - suo padre stava posizionando i piatti su delle vecchie tovagliette a quadri rossi e bianchi.
Monotoni.
Banali.
-Sei fradicia, Gracy. Vatti a cambiare-.
Gracy.
Non la chiamava così da una vita. Doveva essere successo qualcosa di buono.
La rossa camminò velocemente verso camera sua e si tolse gli abiti inzuppati d'acqua lasciandoli sul terrazzo. Prese un bel respiro chiudendo gli occhi, si cambió e poi tornò da Shane che l'aspettava.
- Io e miei colleghi siamo pienamente d'accordo che il materiale che abbiamo è sufficiente. In qualità di tuo avvocato difensore posso assolutamente accertare la tua sicura assoluzione da qualsiasi accusa. Non è stata colpa tua, figlia mia-.
Grace si era appena accomodata al tavolo da pranzo quando quelle parole la investirono totalmente. Non era molto fiduciosa, ma quel masso che si portava appresso ormai da mesi si era decisamente scalfito.
-Quale materiale?- disse a bassa voce.
- I risultati medici, le diagnosi degli psicologi, le sedute terapeutiche e la tua totale sincerità sui fatti -. La rossa lo fissava insicura mentre masticava lentamente un pezzo annerito di carne.
-Gracy, non preoccuparti, andrà tutto bene-. Quella frase fece scattare qualcosa dentro di lei. Un senso di allarme si propagò in tutto il suo corpo e la voglia di urlare si fece sempre più insistente.
-La vita non va mai bene papà -. Si alzò silenziosamente dalla sedia e si diresse in camera sua senza fiatare.

"Andrà male, finirò in carcere, la mia vita è rovinata."
La sua mente era annebbiata dalla paura, non voleva sentire ragioni. Il cuore batteva all'impazzata.

"Basta Grace calmati."
"No, finirò in carcere."
"Ci sono prove solo a tuo favore."
"Non è abbastanza, si inventeranno qualcosa per accusarmi."
"Fidati di tuo padre."
"La fiducia va guadagnata."
"Si tratta di tuo padre."
"Io non credo più a nessuno."

Non c'era più logica nei suoi discorsi, lottava contro se stessa senza averla mai vinta.
Corse verso l'armadio di legno chiaro ed aprì l'ultimo cassettone frugando tra la biancheria. Un barattolino arancione spuntò da sotto le canotte bianche e nere.
"Eccovi."
Andò in bagno poggiandosi una pillola sulla lingua e poi prese un sorso d'acqua dal rubinetto macchiato di calcare. Le pillole calmati, che le aveva prescritto uno dei suoi primi psicologi, avevano funzionato estremamente bene, tanto da stopparne l'utilizzo. Il suo psicologo, il signor Derek Tanders, non sapeva che Grace era riuscita a procurarsi delle nuove dosi di psicofarmaci e dava per scontato che la ragazza fosse semplicemente "guarita".
La rossa si guardava allo specchio schifata, la sua mente non le rispondeva neanche più. Diciassette anni che potrebbero essere scambiati per novanta.
Delle lacrime salate le percorsero il viso e il collo fino a essere prosciugate dal colletto della maglietta. Un senso di tranquillità e leggerezza la pervase fino a farla accasciare sulle piastrelle crepate del bagno. Non aveva voglia di arrivare fino al letto in camera sua, stava bene lì dov'era. Brividi di freddo le corsero per tutto il corpo, la nuca era appoggiata malamente all'accappatoio appeso sopra di lei. Uno strascicato sbadiglio e poi si addormentò.

Grace Rogers: In trappola con se stessiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora