Capitolo 1. Carpe Diem

953 112 159
                                    

Sometimes a word, or a question, may change your life. It's up to you to decide what's right, or what you really want.

« Sofia, vuoi sbrigarti? Altrimenti perderai l'aereo » sbraita mia madre dal soggiorno di casa.
« Arrivo! Sto controllando la lista delle cose da prendere un'ultima volta » urlo, mentre corro da una parte all'altra della camera per acchiappare e buttare in valigia ciò che mi stavo dimenticando.

Cercavo di chiudere definitivamente le valigie da tre giorni, ma sembrava una missione impossibile: ogni volta mi accorgevo di aver scordato qualcosa. Ero così costretta a riaprire tutto, per poi giocare ad incastrare ogni singolo indumento, astuccio o sacchettino, pur di far stare il mondo che stavo portando via.

Dopo aver finalmente spuntato tutte le voci dell'elenco, sono pronta ad andare. Riguardo per un attimo quelle pareti rosa, che per quasi ventiquattro anni hanno custodito segreti, lacrime e sogni: ancora non mi sembra vero che non saranno più la mia casa, il mio quotidiano.

Scendo le scale e arrivo di fronte alla porta d'ingresso dove si trova mia madre: « Alleluia! Sei pronta? Dai, che tuo padre ha già messo in moto la macchina e siamo in ritardo. »
Ok, la puntualità non è propriamente il mio forte, ma l'ansia perenne di mamma Maria Grazia non è sicuramente rilassante. E poi andiamo, il rischio di arrivare tardi aumenta l'adrenalina, sempre.
« Si, andiamo » confermo decisa. Prima di uscire do un ultimo sguardo alle pareti, ai mobili. Questa casa è stata per tutta la vita il mio posto preferito, quello in cui potevo essere io senza filtri, in cui potevo isolarmi ogni qual volta volessi entrare in un mondo solo mio. È il luogo che mi ha vista crescere, fino a diventare una donna. Sono certa che quei muri, tutto quanto possa riportarmi al mio passato, mi mancherà. Però sono anche incontenibilmente felice di abbandonare questo porto sicuro, per realizzare i miei sogni.
Quasi alla soglia dei ventiquattro anni, sono pronta a lasciare la mia Firenze, perchè non è qui che aspiro a diventare una ricercatrice. Sì, una scienziata, una biotecnologa per essere precisa.

È proprio il primo Aprile 2017 che la mia avventura ha avuto inizio, ovvero sei mesi fa.

Nel giorno del pesce d'Aprile, io stavo indossando la corona di alloro in testa, dopo aver discusso la mia tesi per diventare Dottoressa in biotecnologie mediche e farmaceutiche. Quella mattina ero uscita di casa con le gambe, le mani e, soprattutto, la voce tremanti. Ero terrorizzata all'idea che mi potessero fare domande su cui non ero sicura e temevo che potesse non arrivarmi il sangue al cervello, impedendo alle sinapsi di connettere nel modo corretto. Tenevo tanto a prendere un bel centocinque, un numero apparentemente inutile, ma che per me rappresentava un piccolo traguardo per lo sforzo profuso in quasi cinque anni. Quasi perchè, con un enorme sforzo, sono riuscita ad anticipare di qualche mese la laurea, terminando quindi in anticipo il mio corso di studi.
Quando passi tanto tempo sui libri, senza concederti troppe distrazioni, ma concentrando tutte le tue energie su un obiettivo, cerchi di lottare per arrivarci con successo e sentirti fiera di te.
Una volta arrivato il mio turno, iniziai un po' tremolante la presentazione ma, una volta rotto il ghiaccio, partii come un treno, le parole fluivano lisce e la voce si fece più decisa. Senza troppe difficoltà, risposi anche alle poche domande che mi hanno rivolto gli altri membri della commissione, fino all'agognata proclamazione.
In tutto questo però, non sono ancora arrivata a raccontarvi il momento clou, quello è arrivato dopo.

Una volta uscita dall'aula Magna e stappato una bella bottiglia di spumante, ci dedicammo alle foto di rito, quelle con la famiglia, con la tesi e con gli amici. Il cortile dell'Università di Firenze, con al centro una statua di Alessandro Volta, era un viavai di persone in cui non si capiva niente: cori a destra e manca, urla varie e gente che si spostava da un punto all'altro dei portici, ovviamente senza sostare in mezzo al cortile, a meno che non avessero già la laurea in mano. Un selfie, una goccia di vino, una parola e un sorriso. Tutto intorno a me andava ad una velocità supersonica e io non riuscivo a rendermi conto di niente. Era come se improvvisamente fossi ferma e vedessi tutto ciò che mi circondava andare al triplo del ritmo normale e pertanto mi sentivo un'estranea in quella che doveva essere la mia giornata.

Tutta una questione di chimicaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora