Erano passati tre giorni dall'arrivo di Bethany e stranamente non avevamo ancora avuto litigi seri, solo qualche bisticcio. Quando mia madre era tornata a casa, aveva già ricevuto una chiamata da zia Rose preoccupata per la figlia ed era rimasta stupita nel vedere la nipote ai fornelli di casa nostra. All'inizio ci aveva sgridati per non aver ancora chiamato zia Rose, ma poi sentendo il punto di vista di Bethany si era calmata e avevamo aspettato Max affinché la chiamasse lui per dirle che sua figlia era sana e salva.
Gennaio se ne era andato e febbraio ci aveva dato il benvenuto, c'era ancora un po' di freddo nell'aria, quindi mi strinsi nel piumone desiderando di saltare quel giorno, di passare direttamente a quello dopo, senza dovermi alzare e uscire da camera mia. Non ero in vena di parlare con nessuno, di fare niente e altrettanto di mangiare, Bethany si era già alzata ed era sotto la doccia quando mio fratello entrò in camera mia per sdraiarsi vicino a me sotto al piumone.
<<vuoi alzarti oggi?>> mi chiese fissando il soffitto. Feci segno di no con la testa e lui annuì rimanendo sempre lì di fianco a me.
Quello non era un giorno come gli altri, era diverso, era il giorno che avrei volentieri abolito dal calendario, il giorno in cui lui aveva perso la vita. Da cinque anni convivevo con quel dolore e senso di colpa che mi opprimeva e mi accompagnava come un'ombra da qualsiasi parte io andassi, non mi dava tregua. Solitamente quel giorno non facevo nulla, non andavo a scuola, ma non restavo nemmeno a casa, mi sarei sentita peggio vedendo le facce tristi di mia madre e mio fratello, l'unica cosa che volevo fare era andare da lui, anche se da quattro anni mi avevano tolto questa possibilità, adesso che ero tornata non mi avrebbe fermata nessuno dall'andare a trovarlo.
Quando Nigel e Bethany uscirono dalla mia camera decisi di alzarmi e prepararmi per uscire, erano le 12:45, avrei pranzato fuori, tanto a casa nessuno aveva preparato niente, neanche gli altri membri della famiglia erano in vena di fare niente. Dopo essere uscita dalla doccia, mi vestii con le prime cose che mi capitarono sotto mano e tirando fuori le scarpe feci accidentalmente cadere una scatola e tutto il suo contenuto si rovesciò sul pavimento.
fantastico...
Mi chinai per raccogliere le cose e rimetterle dentro quando una busta rosina attirò la mia attenzione, era quella che mi aveva dato il nonno per Natale, quella che Aaron aveva scritto per me. La presi e la infilai nella tasca della felpa, finito di rimettere le cose nella scatola, la misi a posto e indossai le scarpe per poi scendere al piano di sotto.
<<io esco>> dissi senza la preoccupazione che qualcuno mi sentisse, presi le chiavi della macchina dallo svuota tasche e mi avviai alla porta.
<<dove vai Melinda?>> mi chiese mia madre sbucando dalla sala.
<<vado a fare un giro>> le risposi <<non ti preoccupare, mangio fuori>> lei mi guardò un attimo esitante, ma si limitò ad annuire.
<<fai attenzione>> disse solo. Annuii e mi chiusi la porta alle spalle, l'aria non era più tanto fredda come quella di gennaio, ma qualche spruzzata di gelo arrivava sempre facendomi correre un brivido lungo la schiena. Il cimitero dove lo avevano sepolto era appena fuori città, quindi dovevo farmi una quarantina di minuti in macchina per arrivarci, nella mia testa intanto riemergevano le immagini del funerale.
Ero seduta in chiesa, chiusa nel mio spolverino nero, con i capelli legati in uno chignon ordinato sulla testa e vicino a mia madre che aveva un fazzoletto in mano che usava ogni secondo per asciugarsi le lacrime, intanto mio fratello teso come una corda di violino e avvolto nello smoking mi stava vicino e aveva poggiato una mano sulla mia schiena in segno di consolazione. Il suo fu l'unico dei tanti abbracci che mi erano stati dati che gradii. Papà, al contrario di noi tre aveva preferito restare in fondo alla chiesa, diceva che non sopportava l'idea di stargli così vicino, ma essendo allo stesso tempo così lontani, all'inizio non avevo capito il vero motivo del suo distacco da noi, poi più avanti, quando se ne era già andato via tutto mi era stato più chiaro.
Davanti a me riuscii finalmente a vedere il maestoso edificio che apriva la gigante area verde dove erano poste le varie tombe, era passato tanto tempo dall'ultima volta che ero andata a trovarlo, ma mi ricordavo bene il percorso, anche ad anni di distanza, ero molto brava ad orientarmi. La sua lapide bianca si era un po' sporcata con il tempo, ma l'erba al suo intorno era visibilmente ben curata. Sembrava che ogni lapide dovesse sopravvivere a se, mentre tutto in torno, il territorio comune, dovesse essere perfetto, il resto veniva lasciato rovinarsi. Mi avvicinai e mi chinai per poggiarci davanti i fiori che mi ero fermata a comprare per lui.
<<Mi dispiace Aaron>> dissi al vento mentre accarezzavo la lapide. <<mi dispiace di averti negato una vita, una famiglia, non volevo toglierti tutto questo...>> gli occhi cominciarono a diventare lucidi. <<ti ricordi di quando mi stavi insegnando a suonare la chitarra, io non riuscivo a ricordarmi e distinguere le note e tu sei stato tutti i pomeriggi lì di fianco a me pazientemente ad aiutarmi. Ti ho sempre ammirato per questo, eri quello più paziente della nostra famiglia e non riuscivo a capire da chi avessi preso. Certo, il tuo carattere così espansivo ed estroverso ti rendeva uguale a Nigel e diverso da me. Era proprio questo che mi piaceva del nostro rapporto, ci completavamo a vicenda. Mi manchi Aaron, mi manchi ogni giorno di più, ogni tanto mi immagino come sarebbe stata la nostra vita se tu non fossi morto e ogni volta mi appare splendida, una vita perfetta. Con te al mio fianco tutto era perfetto>> dissi con le lacrime che mi colavano sulle guance. Mi sedetti più comoda di fronte alla sua lapide e mi strofinai il viso, poi mi misi una mano nella tasca che entrò in contatto con la carta ruvida della busta. La presi tra le mani e una lacrima cadde sulla carta lasciandoci un segno bagnato, non ci poteva essere momento migliore per aprirla, così presi coraggio e strappai il lembo con l'adesivo. Riconobbi subito la sua calligrafia, Aaron ero davvero perfetto, ma per quanto riguardava lo scrivere aveva una calligrafia pessima.
Cara piccola principessa,
Non so se leggerai mai questa lettera, io spero di no, perché se così fosse vorrebbe dire che io sono morto. So già che ti starai arrovellando con i sensi di colpa, ma non farlo, non è colpa tua, sappilo e tienilo sempre a mente. Mi dispiace averti lasciata da sola in questo mondo così crudele e privo di emozioni, avrei voluto starti accanto per tutta la vita, avrei DOVUTO starti accanto tutta la vita. Non è giusto che Dio mi privi di una gioia così grande come vedere il tuo sorriso ogni giorno sempre più luminoso e che mi rende tanto felice.
Ho sempre avuto paura per te, eri così piccola, così indifesa, sentivo sempre il bisogno di starti vicino per proteggerti da tutte le negatività del mondo, non mi preoccupavo per Nigel, lui era forte e testardo, tu invece no. Ti ho sempre paragonata ad una bambola di porcellana, bellissima, ma allo stesso tempo fragile e bisognosa di cure, mi preoccupa il comportamento che potresti prendere dopo la mia morte, non voglio che tu ti chiuda in te stessa, non voglio che tu ci soffra. Sii felice invece, perché io sarò in un posto migliore e veglierò sempre su di te, certo avrei voluto farlo standoti vicino in carne ed ossa, quando ad esempio avresti portato a casa il primo fidanzatino che sicuramente avrei preso a bastonate o quando saresti tornata a casa con un anello al dito, avrei voluto passare con te tutti questi momenti speciali principessa, ma purtroppo il destino ha deciso per noi privandoci di una vita assieme. Scrivo a te e non a Nigel perché so che tu sarai quella più scottata dalla mia scomparsa, ma sii forte piccola, fallo per me e goditi tutte le gioie che la vita avrà in serbo per te, goditele anche per me.
Ti voglio e ti vorrò sempre bene sorellina, ricordalo sempre.
Tuo, Aaron.Quando finii di leggere la lettera le lacrime avevano preso il largo sul mio viso e io ero crollata. Dopo anni che mi tenevo dentro tutta la tristezza e il dolore, questa lettera mi aveva fatta crollare, mi aveva ricordato tutto quello che era successo in quella settimana di disperazione totale dopo l'incidente: i giorni in ospedale, il funerale, l'abbandono di papà... tutto quanto, e io ero troppo debole per superare tutto questo da sola, Aaron aveva ragione, ero una fatta di porcellana. Fino a quel momento ero riuscita a tenermi in equilibrio, ma adesso ero caduta rompendomi in mille pezzi.
Domanda di oggi: SIETE FIGLI UNICI?
-no, ho due sorelline più piccole👶🏻👧🏽Baci baci Alice💋
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Sunshine
RomanceCOMPLETATA Melinda Clark sta tornando nella sua amata Seattle dopo quattro anni di separazione, non era mai stata una ragazza che vedeva di buon occhio i cambiamenti, ma nella sua vita ce ne erano stati così tanti e dolorosi che quella pausa le era...