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Ma successe qualcosa di già accaduto e non riuscii a rimanere cosciente un attimo di più.

Come era già successo quella che sembrava un'eternità fa, fu come se gli artigli mi venissero strappati via dalle dita, mentre i canini facevano la stessa fine.

Ma il dolore era troppo forte, anche per un animale come il lupo, e tutto si fece più buio della notte.

E non era solo un modo di dire: oltre al buio come "assenza di luce" ce n'era anche un altro, uno più profondo e meno materiale, una sensazione, più che altro.

Come se oltre alla luce mancasse la vita.

Sentii un tonfo, ma come molto lontano, attutito, e qualcosa mi disse che lo avevo percepito così perché era il mio corpo esausto a cadere pesantemente per terra.

E continuò così per molto tempo. Ne la mia parte razionale, ne quella animale sapevano dire quanto tempo, ma era davvero tanto.

Un continuo alternarsi di sensazioni e percezioni ora di lupo, ora umane, con sprazzi di quelle che sembravano delle palline da ping pong e arrivavano rimbalzando nella mia mente e mi facevano comparire nella testa delle domande.

A cui non c'era nessuna risposta: rimanevano per poco e poi se ne andavano, senza lasciare nessuna traccia del loro passaggio, come piccoli fantasmi che portavano dubbi e incertezze.

Solo a volte qualcosa cambiava, ad esempio quando -ma in realtà quando non lo sapevo- mi rendevo conto che non ero sola in quell'ambiente, che delle presenze, lupi molto probabilmente, dall'odore, si aggiravano intorno a me. E in quei momenti in cui il raziocinio prevaleva e cercavo di liberarmi dalle catene sempre strette attorno ai polsi, quelle persone riuscivano sempre a fermarmi.

Ma ci sarei riuscita a liberarmi... non so come ma ero riuscita ad intuire che le "visite" avvenivano con una frequenza precisa e anche che arrivavano sempre quando stavo per spegnermi...

Ce l'avrei fatta... gli assalitori non sembravano molto intenzionati a farmi male, a quanto pare semplicemente, non volevano che mi liberassi.

Sempre considerando che non sapevo chi fossero...

E quindi ogni volta cercavo di aguzzare l'olfatto fine della lupacchiotta che c'era in me e l'acume della vera Alice per spiegarmi almeno chi mi venisse a controllare.

Tutto ciò avveniva con il frammento più calmo e ragionevole, ma quando poi in altri momenti quello animalesco incombeva nel cervello, tutto era meno nitido e quella sorta di fame dilagava come un fluido nelle mie membra. La sentivo strisciare e assalirmi all'improvviso, cruda, selvaggia e con il sapore metallico e dolciastro del sangue in bocca, gli artigli che graffiavano con affanno il pavimento, quasi volessero scavarci dentro, ma il terreno era di cemento armato e lasciavo solo dei solchi, con il fastidiosissimo stridio del gesso sulla lavagna o delle unghie sulla carta...

Ci fu come un fascio, una luce accecante addosso agli occhi abituati alla semioscurità.

Forse mi ero assopita, una delle poche volte, e sapevo che le pupille ci misero molto a vedere quello che aveva prodotto il chiarore.

Ma era frustante non scorgere altro che ombre e bagliori e come sempre provavo ad aguzzare la vista.

Poi sentii la presenza di qualcuno accanto a me. Mi voltai in quella direzione e, quello che doveva essere un uomo, era così vicino che anche con gli occhi appannati distinsi qualcosa dei suoi lineamenti.

Il viso era ben squadrato, la barba poco fatta e... degli occhi azzurri come pochi.

Ma poi tutto svanì in un oblio di dolore, lancinante, in tutto il corpo.

Quel vetro opaco rimaneva costantemente davanti alle iridi, ma non fu quella la prima cosa di cui mi accorsi. Quella fu il freddo; il freddo umido della notte, con quell'odore inconfondibile di pioggia, di asfalto bagnato.

Era buio, ma ci si può accorgere di essere senza uno straccio addosso anche senza luce. Forse era per quello che avevo freddo.

Subito dopo vidi un fascio accecante che si avvicinava sempre di più con un rumore assordante.

Cercai di coprirmi gli occhi con le mani e di arretrare, ma quando cercai di alzarmi le gambe cedettero.

Delle braccia mi presero di peso e mi caricarono su quella che, realizzai solo in quel momento, era un auto.

Quando la figura si avvicinò per prendermi in braccio, un déjà vu mi attraversò la mente, la percezione nitida e chiara di aver già vissuto quella situazione.

Ma certo, pensai: quella singolare essenza che contraddistingue ogni lupo mannaro. Era fissata sulla maglietta, sui muscoli pronunciati delle braccia, e dalla posizione in cui ero messa la avvertivo anche nell'incavo del collo.

Mi resi conto che gli elementi -odori, sensazioni visive e tattili- che riuscivo a riconoscere erano molti di più del solito e molto più definiti.

Senza che me ne fossi accorta, mi avevano avvolta in una coperta un po' sporca, ma confortevole dopo il gelo della strada.

Ma anche se i sensi lavoravano un po' di più, niente era davvero preciso e quando lo sguardo si offuscò, una frustrazione mi pervase, consapevole che dopo mezza frazione di secondo sarebbe stato di nuovo fitte e confusione.

Out the real [IN PAUSA]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora