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Non sapevo cosa succedeva nell'arco di tempo tra i mancamenti e quando mi risvegliavo, ma il più delle volte anche la testa, oltre al resto del corpo, faceva un male cane, quasi fossi rimasta davanti ad un monitor per ore.

Quando la mente si decise a funzionare e mi consentì di guardare intorno, per quello che potevo, capii che non mi trovavo ne nell'auto dove avevo perso conoscenza ne nel solito locale muffo e spoglio, e non ero neppure ammanettata.

Anzi sì. Ma abituata com'ero a quei catenacci che quasi bloccavano la circolazione, mi accorsi dopo che qualcosa impediva alle mani di muoversi liberamente.

Invece che accasciata per terra ero su qualcosa di più morbido, e della luce entrava non troppo copiosa da delle finestre. C'erano delle tende pesanti, ma qualche raggio di sole penetrava lo stesso.

Sempre come l'ultima volta più particolari erano percepibili, ma tutto rimaneva avvolto in un velo torbido.

Con sorpresa, anche abbastanza positiva, mi resi conto che non venni a mancare nel giro di pochi minuti, ma nel silenzio di quella stanza tutto rimaneva fermo e intaccabile e sembrava che anche le tenebre dell'inconscio indugiassero ad arrivare.

E non arrivarono.

Non arrivarono nemmeno i lupi mannari.

Dicevo loro perché l'uomo che mi aveva presa era rimasto accanto a me e qualcun altro doveva pur aver guidato la macchina; e poi avevo sentito delle voci e mi erano sembrati più di due...

Mi venne quasi da sorridere quando rinvenni. Il dolore non lo avevo nemmeno sentito... forse non si sarebbe mai fermata quella routine, ma forse avrei potuto, per così dire, pensare ad altro -come la luce delle finestre- e continuare con quel ciclo all'infinito, se avessi trovato una distrazione non sarebbe stato così frustrante.

Le persone non arrivarono e nemmeno il dolore fortunatamente, ma dopo quella che mi sembrò una buona mezz'ora -ma come facevo a saperlo con certezza?- la tranquillità divenne più noiosa che altro.

Non l'avessi mai pensato. Come una scossa di terremoto dei brividi mi pervasero tutta e le unghie affilate scattarono fuori dai polpastrelli, ovviamente seguiti dai denti che mi invasero la bocca con il solito sapore ferroso.

Portai istintivamente le mani alla bocca, ma le catene fermarono le braccia a metà strada e le lasciai cadere avvilita lungo i fianchi.

Il dolore continuava, oramai più delle fitte fastidiose, ma comunque delle fitte e non ne potevo più, quando una porta pesante si aprì da qualche parte e delle figure massicce mi si avvicinarono.

Le vidi piegarsi su di me, ma era troppo tardi per capire chi fossero: gli occhi già non potevano più vedere e la mia parte animalesca ebbe la meglio su quella razionale.

Intuii che erano gli stessi lupi di sempre, l'uomo aveva il medesimo odore: molto familiare ma allo stesso tempo irriconoscibile, un libro aperto, ma scritto a caratteri troppo piccoli per comprenderne le parole.

Quella volta però non fu uguale alle altre. Dopo l'annebbiamento non svenni, ma al contrario rimasi sveglia, quasi più cosciente di quanto non fossi mai stata in quell'ultimo tempo -sempre ignorando quanto fosse quel tempo.

Allora era questo che succedeva durante il mio subconscio. La mia mente non riusciva a controllare il corpo che veniva preso da una specie di crisi epilettica, anche se fortunatamente non credevo di sbavare.

Delle mani forti intanto mi impedivano di muovermi e di rompere le catene. Con quel poco di raziocinio che mi restava, pensavo prima di tutto a liberarmi da quella costrizione, e allo stesso tempo che dopotutto gli uomini mi stavano evitando delle cadute dal letto o dei polsi insanguinati.

Ma ciò nonostante al mio lupo interiore non interessava che mi dissanguassi o meno, voleva solo sfuggire a quella presa.

Non so perché ma mi accorsi che tenevo gli occhi chiusi. Perché non erano aperti a cercare di scorgere qualcosa degli altri animali?

Cercai quindi di alzare le palpebre, ma avvertii come una sensazione di bagnato e mi accorsi che già stavo lacrimando... provai di nuovo ma era come avere delle schegge di vetro nelle pupille, bruciavano da matti. Li tenni chiusi però mi venne un'idea.

La parte meno impulsiva mi disse che se fossi riuscita a calmarmi avrei riacquistato la vista e ci sarebbe stata meno confusione... Sarebbe stato perfetto per capire chi cercava di tenermi ferma. A parte il fatto che le convulsioni non erano qualcosa che si poteva spegnere con un interruttore, andavano avanti imperterrite, come un uragano che spazza via tutto senza far caso a cosa travolge.

Non seppi resistere... era troppo sia per il mio fisico, sia per la mia testa, esausta per aver cercato di calmare quelle contorsioni.

Chiusi gli occhi sfinita e mi lasciai scivolare giù, giù nel buio dell'ignoto.

La volta seguente mi ritrovai in un luogo familiare che fece scattare qualcosa all'interno del mio cervello. Non cercai nemmeno di capire che cosa comprendesse quella sensazione: ogni volta che mi passava per la testa qualche idea geniale, c'era sempre qualcosa che impediva di realizzarla e subito dopo svenivo: non mi sembrava una delle migliori prospettive.

Faceva ancora freddo come era successo un paio di occasioni prima, se così le si poteva definire.

Out the real [IN PAUSA]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora