13 - panic attacks

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Venni svegliato dalla luce del sole che filtrava attraverso le tapparelle. Non le avevo abbassate completamente e ora i raggi arrivavano dritti sui miei occhi.

Sbattei le palpebre, abituandomi alla luce. Rimasi sdraiato per qualche minuto, poi decisi finalmente di alzarmi. Presi il cellulare sul mio comodino e lessi i messaggi sul gruppo con i miei amici.

Avevo voglia di uscire, di distrarmi dai miei pensieri. Le immagini di Hayden con quel ragazzo, immagini che mi ero creato poiché non li avevo visti con i miei occhi, riempivano la mia mente.

Il giorno prima ero riuscito a distrarmi grazie a Theo, ma ora che non era con me i pensieri mi ferivano, il mio stomaco si stringeva con nausea, il mio cuore faceva male. Era come se Hayden mi stesse stritolando, come se stesse schiacciando il mio cuore con le sue mani.

Stavo ancora cercando di realizzare che mi aveva mentito, che mi aveva tradito. Si era riguadagnata la mia fiducia e io, come uno stolto, le avevo creduto. Ero tornato con lei, fingendo che tutto ciò che avevo passato quando mi aveva lasciato non fosse mai successo.

Non riuscivo a credere che mentre stava con me se la faceva con un altro. Mi chiesi perché lo aveva fatto.

Forse non ero abbastanza per lei, forse non lo ero per nessuno. Mi diedi la colpa di tutto: era colpa mia se Hayden mi aveva tradito, perché non l'amavo abbastanza; era colpa mia se il mio branco se n'era andato, perché per loro ero un peso, perché ero il più giovane e non avevano tempo per stare dietro a me e ai miei capricci, alle mie insicurezze, ai miei problemi da stupido diciassettenne.

Mi presi la testa tra le mani e mi trattenni dall'urlare. Volevo che quei pensieri uscissero dalla mia mente, che mi lasciassero in pace. Chiedevo solo un po' di tregua da tutto quel dolore che non sembrava lasciarmi mai, che era stata una presenza continua da un mese a questa parte.

Non riuscii più a trattenermi e iniziai a ripetere di smetterla, di lasciarmi solo, di andarsene.

Non mi accorsi della porta della mia stanza che si apriva, di Alec che mi stringeva a sé per calmarmi.

Iniziai a tremare tra le sue braccia, le parole che mi diceva erano semplici sussurri indistinti.

Il respiro cominciò a mancarmi, l'aria non entrava più nei miei polmoni, la testa mi girava tra le mani, ancora strette intorno ad essa. Percepii indistintamente Alec che si alzava e usciva dalla stanza.

Tenni gli occhi chiusi, cercando di calmarmi, di respirare regolarmente, ma non sembrava funzionare.

Provai ad alzarmi, ma la mancanza d'aria mi fece venire un capogiro e caddi a terra. Mi rannicchiai in un angolo, la schiena premuta forte contro la parete.

La porta si aprì di nuovo, ma le mie orecchie fischiavano forte e non riuscii a sentire chi fosse, né ad alzare la testa per vedere chi era appena entrato.

Altre braccia, questa volta più forti di quelle di Alec, mi strinsero.

"Liam, guardami."

Aprii gli occhi e alzai la testa con fatica, incrociando lo sguardo di Theo.

Lui sembrava preoccupato, quasi spaventato.

"Devi respirare. Mi hai sentito? Concentrati, Liam. Fallo per me."

Guardandolo dritto negli occhi, mi concentrai sul suo battito invece che sul mio. Nonostante la sua espressione preoccupata, il suo cuore batteva regolarmente. Basandomi sul suo, il mio cuore riprese un ritmo costante, calmo, e finalmente tornai a respirare bene. La prima boccata d'aria fu dolorosa, ma lentamente la testa smise di girare.

hold on ❁ thiamDove le storie prendono vita. Scoprilo ora