Rain vol.2 Dieci battiti al secondo - Prequel

1. Buco nero (p.I))

Evan

Una promessa può legare per sempre la tua vita a quella di un'altra persona, anche se tu non ci credi.

«Ev, non sei ancora pronto?».

La voce spazientita di mio fratello che cerca di sovrastare Stay Away dei Nirvana mi costringe a rialzare la testa dalle sneakers che stavo finendo di allacciare.

«E abbassa un po' questo casino!» prosegue tappandosi un orecchio.

«Non rompere le palle, Adam. Questa è musica, non quella merda che ascolti tu. Se non fossimo gemelli, penserei che uno di noi due sia stato adottato» alzo appena la testa per scrutare la sua reazione. Se ne sta in piedi davanti a me, fermo in mezzo alla camera con lo zaino sulla spalla, vestito come uno di quei fighetti che fanno impazzire le ragazzine: scarpe di tela verde consumate sulla punta, jeans bianchi e una felpa nera con cappuccio. La mia felpa. Mi fissa impaziente mentre me ne sto seduto sul letto a finire di prepararmi con tutta calma, come se non fossimo già in un ritardo micidiale.

«E sei pregato di ridarmi la felpa».

Lui alza gli occhi al cielo scocciato, lancia lo zaino che atterra accanto a me sul letto e se la sfila.

«Cos'avrà di tanto speciale non lo capirò mai» dice passandomela.

La afferro con un gesto brusco e me la infilo sopra la t-shirt. «È mia e non voglio che la indossi».

«O potrebbero scambiarmi per te?».

Chiudo la cerniera e sollevo lo sguardo a incontrare il suo.

«Impossibile. Io sono più bello».

Lui si mette a ridere mentre io mi sforzo di fare altrettanto. Le differenze tra noi sono minime e persino nostra madre ha sempre faticato a distinguerci.

«Non ci credi? È per questo che quando da piccolo mi fingevo te dopo aver combinato un casino nessuno ci è mai cascato».

«Certo». Sorride e sul suo mento compare una fossetta. Si china sul suo zaino e prende la sua felpa preferita, quella verde con il logo della nazionale di rugby, poi si carica lo zaino e la chitarra in spalla. «Datti una mossa, o faremo tardi. Hai preso tutto?».

Mi chino sul mio zaino che ho lasciato a terra accanto al letto, me lo carico in spalla e mi alzo. «Snack, sigarette e preservativi» do un leggero colpetto alla tasca posteriore dei miei jeans in cui tengo il portafogli.

Adam scuote la testa, poi butta un'occhiata veloce ai bagagli che abbiamo preparato ieri notte. «Non vedo l'ora di rientrare a casa».

«Credevo ti piacesse stare qui dalla nonna».

«Non mi piace dividere il letto con te. Russi» ribatte con un piccolo sbuffo dal naso.

Mi sorride, e in questo momento non potremmo essere più diversi. Non solo per via della sua fossetta. Quando lui lascia la stanza, mi avvicino allo stereo per spegnerlo, tolgo fuori il cd e lo rimetto nella custodia. Lo sguardo mi cade su una pila di vecchie musicassette. Una volta questa era la stanza di mio padre e alcune delle sue cose sono rimaste al loro posto anche dopo che lui si è trasferito a Cork con la mamma: un poster di Freddie Mercury, alcuni fumetti e una collezione di plettri sopra una mensola.

Una foto lo ritrae con indosso l'uniforme scolastica, in faccia il sorriso sfrontato di un adolescente degli anni Ottanta, i capelli tirati su con il gel e gli occhi scuri accesi di curiosità. Mi alzo, e la mia immagine riflessa allo specchio mi rimanda le somiglianze tra me e lui: i capelli, gli occhi, il fisico asciutto. Mio padre non somiglia più al ragazzo della foto, che ha lasciato il posto a un uomo severo e sfuggente. Per tutta la settimana che abbiamo passato alla casa al mare della nonna, è rimasto per i fatti suoi a lavorare su un nuovo progetto. E anche ieri, quando siamo arrivati qui, dopo aver sistemato la sua valigia è uscito per andare al pub con un amico. Non voglio diventare come lui, ma guardandomi attentamente, completamente vestito di nero e con l'aria perennemente scocciata, sembro un'ombra che si trascina dietro gli altri.

Forse anche io mi sto spegnendo.

Spero solo di non trasformarmi in un buco nero.