7. Il filo che ci unisce

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La donna a cui Jason ha rubato il portafogli ha deciso di non sporgere denuncia e fortunatamente ha anche assicurato alle guardie che io non ero presente al momento del furto.

Ho spiegato loro che probabilmente il mio amico, ex amico dopo stasera, mi ha messo il portafogli in tasca per far ricadere la colpa su di me. Avevo deciso di aiutare Jason per evitargli un'altra punizione da parte di suo padre, ma dopo lo scherzetto che lui e Liam mi hanno combinato non me ne frega più un cazzo.

«Si fotta» borbotto, seduto su una scomodissima sedia di plastica della centrale.

Uno della Garda mi si avvicina con fare autoritario. È un tipo ben piazzato, rasato, con l'aria da poliziotto arrabbiato.

«Ragazzo, tuo padre è fuori che ti aspetta» mi dice, ed è peggio che se mi avesse appena comunicato l'ergastolo.

Mi alzo svogliatamente e percorro il corridoio della centrale sino all'uscita, dove trovo la BMW di mio padre parcheggiata a bordo strada. Lui è dentro che mi aspetta, e per un attimo sono tentato di correre via.

Invece mi calo il cappuccio sulla testa e prendo un respiro prima di avvicinarmi e aprire la portiera.

Quando mi siedo sul sedile del passeggero e lo saluto, lui non si volta nemmeno a guardarmi.

Tiene gli occhi fissi sulla strada, il volto tirato e teso coperto di peli scuri. Non avevo mai visto mio padre con la barba prima di adesso, lui che si rasava tutte le mattine e ci rompeva le palle quando io e Adam la lasciavamo crescere per un giorno.

Al pensiero di mio fratello mi si stringe lo stomaco. Lo rivedo davanti allo specchio del bagno mentre si spalma la mia schiuma da barba sul viso e sorride alle mie proteste. Sento la mia voce prenderlo in giro perché si ostina a dare retta a nostro padre radendosi tutti i giorni e lo accuso di essere un fighetto che non vuole rinunciare a mettere in bella mostra quell'odiosa fossetta sul mento.

Ricaccio indietro il senso di colpa che minaccia di togliermi il fiato e prego di arrivare a casa il prima possibile.

Papà guida in silenzio sino a quando non incontriamo un semaforo rosso.

«Io e tua madre abbiamo preparato le tue cose» mi dice continuando a guardare dritto davanti a sé.

Lo scruto senza capire.

«Domani ti trasferisci a Dublino, da tua nonna».

«Cosa? Ma la scuola...».

«Ti ho iscritto alla stessa scuola di tua cugina» mi spiega senza tradire alcuna emozione.

Il semaforo diventa verde e lui riparte.

«Che significa? Non puoi cambiarmi di scuola in un giorno...».

«Ho sbrigato tutte le pratiche all'inizio dell'anno scolastico. Stavamo aspettando che ci dessero conferma».

«Mi stai dicendo che avevi già deciso tutto prima che ricominciasse la scuola? E quando cazzo pensavate di dirmelo?» gli urlo contro e lo vedo irrigidirsi.

«Evan, non sei nella posizione giusta per poter protestare. Io e tua madre abbiamo deciso così e...».

«Tu e la mamma? Ma per piacere, papà. Almeno non prendermi per il culo, sono allergico alle stronzate».

«Evan, non ti permetto di...».

«Fammi scendere» finalmente si gira verso di me. «Che stai facendo?» chiede mentre sgancio la cintura.

«Ferma la macchina, voglio scendere».

Lui accosta al marciapiede, ma quando sto aprendo la portiera mi afferra per un braccio.

Mi volto e vedo il suo viso segnato dalle innumerevoli notti insonni passate a consolare la mamma, dalla paura di perdere per sempre un figlio e dalla determinazione a disfarsi della fonte dei suoi problemi.

«Evan, è per il tuo bene. Ora chiudi la portiera e rimettiti la cintura».

«Fottiti» mi libero con uno strattone e scendo velocemente dalla macchina.

Mi incammino per la Pana, sicuro che mio padre non mi inseguirà, e lascio che i miei piedi mi portino in un posto dove non vado da molto tempo, dove forse troverò soltanto un'altra porta chiusa in faccia. Ma dove vive una persona a cui devo dire addio una volta per tutte prima di lasciare Cork. 

Rain vol.2 Dieci battiti al secondo - PrequelDove le storie prendono vita. Scoprilo ora