7. Il filo che ci unisce (p. 4)

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Mi sveglio con un'emicrania pazzesca.

L'inizio perfetto per una perfetta giornata di merda.

Scendo lentamente le scale per andare a fare colazione, anche se il mio stomaco somiglia a uno straccio che è stato strizzato con un po' troppa violenza.

Le voci delle mie sorelline che litigano su chi debba mangiare l'ultima cazzo di ciambella mi danno il buongiorno non appena entro in cucina.

William è seduto di fronte a loro e tiene gli occhi sul cellulare mentre smangiucchia un toast.

Mi avvicino ai fornelli per farmi un americano con una tonnellata di latte condensato. Nonostante la testa mi esploda a causa del casino che fanno quelle due pesti, non riesco a non sentirmi uno schifo all'idea di dover lasciare i miei fratelli.

«Oggi parto» dico sedendomi accanto a William mentre giro il mio caffè. Lui alza la testa e mi fissa sorpreso.

«Mi trasferisco a Dublino, dalla nonna».

Le mie sorelline smettono di contendersi la colazione e ammutoliscono, piantandomi in faccia due musi lunghi che stracciano persino quello di William.

«Perché?» chiede lui preoccupato, e per la prima volta mi rendo conto che il tredicenne spensierato che era sino a un mese fa ha lasciato il posto a un adulto.

«Lo ha deciso papà» comincio a sorseggiare il caffè e fingo che la cosa non mi interessi più di tanto.

«Per quanto starai via?».

«Non credo tornerò tanto presto».

Lizzie e Sophia si alzano bruscamente da tavola e mi raggiungono cominciando a tirarmi per una manica.

«No Evan! Sei cattivo!» Lizzie è in procinto di piangere, Sophia sta già tirando su col naso e io non so davvero che cosa dire né che cosa fare.

«Potremo andare a trovarlo quando vogliamo» le rassicura William alzandosi. «Quindi ora lasciatelo stare e andate a prepararvi per andare a scuola».

Le bambine scuotono la testa sforzandosi di non piangere. Mi stringono così forte il braccio con le loro manine che mi fanno quasi male. Ma mai quanto me ne fa la loro espressione ferita.

«Te ne vai come Adam?» chiede Sophia e mi sento morire. Non voglio lasciarle, voglio che William torni a essere un tredicenne come gli altri e soprattutto vorrei che Adam fosse qui a dirmi cosa fare, anche se so che non gli darei ascolto e gli direi di non rompere le palle.

«Venite qui» apro le braccia e loro si lanciano contro il mio petto. Le sento frignare contro la mia maglietta e devo fare appello a tutto il mio autocontrollo per trattenere le lacrime.

«Tornerò presto, lo prometto. Ora andate a mettervi la divisa e non pensateci più» Sophia mi stringe forte. «Su, mi state stropicciando tutta la t-shirt» dico cominciando a farle il solletico.

La sento emettere dei risolini soffocati, poi lei e Lizzie escono riluttanti, lasciandomi solo con William.

«Perché papà ha deciso di mandarti via di casa?» mi chiede cominciando a ritirare le tazze.

«È complicato, Will».

«Sono abbastanza grande per capire». Non posso evitare di dargli ragione.

«Credo non riesca a perdonarmi per quello che è successo a Adam».

«Sì, ma perché proprio oggi? La risposta della scuola è arrivata solo ieri mattina, e credevo ti avrebbero fatto concludere la settimana qui».

Lo guardo spiazzato.

«Lo sapevi?».

Annuisce. «Qualche giorno fa ho sentito la mamma parlare con la zia Annabelle. Diceva che saresti andato nella stessa scuola di Shannon» mi spiega risciacquando le tazze. «E ieri mattina papà ha detto alla mamma che era tutto sistemato».

Resta in silenzio sino a quando termina di lavarle. Poi si gira verso di me in attesa di una risposta.

«Mi hanno beccato con un portafogli rubato» confesso massaggiandomi gli occhi.

«Ma non l'avevo rubato io» aggiungo, notando la sua faccia delusa. «È stato quello stronzo di Jason...».

«Ev» mi interrompe. «Adam non manca soltanto a te, ma tu sei l'unico che si ostina a fare queste stronzate» mi supera lasciandomi da solo.

Rain vol.2 Dieci battiti al secondo - PrequelDove le storie prendono vita. Scoprilo ora