7. Il filo che ci unisce (p.3)

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Mi lascio cadere sul gradino della vetrina del pub, maledicendo questo cazzo di Paese dove piove in continuazione e non si trova nemmeno un gradino asciutto su cui marcire.

La porta alla mia sinistra si apre e vedo uscire un uomo, sembra uno a posto, non uno di quei vecchi ubriaconi pronti a menare le mani, e un po' ci resto male. Non è proprio la mia serata. Decido di restare dove sono anche mentre lui si avvicina accendendosi una sigaretta. Mi si piazza davanti e mi porge un vecchio pacchetto di Lucky Strike; su un lato c'è scritto: "Art is expression" l'arte è espressione. Alzo la testa per guardarlo in faccia.

«Kurt Cobain?» chiedo, e lui sorride.

«O tu sei ubriaco fradicio» dice sedendosi accanto a me. «O non ho ancora perso il fascino che avevo a vent'anni».

Ridacchio prendendo la sigaretta che mi offre. In effetti, a guardarlo meglio, ha una certa somiglianza con Kurt.

«Il pacchetto» gli dico. «È una frase di Cobain».

Annuisce e ce ne stiamo seduti a fumare in silenzio.

«So che non sono affari miei» dice all'improvviso. «Ma ragazzo mio, hai un'aria davvero abbattuta».

Mi volto a guardarlo. È piuttosto magro, con gli occhi segnati dalla stanchezza e l'aria sfatta di chi non dorme da giorni. «Anche lei».

Lui si mette a ridere. «Hai ragione» porta la sigaretta alle labbra, poi si volta verso di me. «Problemi di cuore?».

«Più o meno» rispondo, e capisco di essere davvero sbronzo perché sto iniziando a raccontare i cazzi miei a un perfetto sconosciuto. «La mia ragazza... Ex ragazza» mi correggo. «Ha abortito a mia insaputa».

Lui mi scruta per un momento, stupito.

«E la cosa come ti fa sentire?».

«Non lo so» prendo un tiro. «Incazzato, ma anche sollevato. Triste, e in colpa. Una merda insomma».

«Essere padre non è facile, specialmente alla tua età».

Lo scruto attentamente, avrà non più di quarant'anni. «Lei ha figli?».

Si perde a fissare un punto di fronte a sé. «Ho una figlia. È stupenda, la cosa migliore che io abbia mai fatto» sorride con una punta di orgoglio. «E un figlio».

Torna a guardarmi. «Lui è il mio più grande rimpianto».

Lo fisso in silenzio, senza capire.

«È il figlio del mio primo amore. Non ho mai saputo se fosse mio o di un altro uomo».

Lancio via il mozzicone e tiro fuori il mio pacchetto dalla tasca.

«Ne vuole un'altra?» gli chiedo notando che ha finito la sua. Mi ringrazia e ne sfila una.

«Come mai non ha mai saputo se fosse suo?» domando buttando fuori una lunga scia di fumo.

«Non ho mai voluto saperlo» abbassa la testa e fissa il marciapiede. «La verità è che sono un vigliacco. Se scoprissi di essere io il padre, distruggerei sia la sua vita che quella di mia figlia. Per dieci anni ho vissuto senza preoccuparmi di lui e quando è entrato nella mia vita sono diventato il suo eroe. E lo sono sempre stato per mia figlia. Cosa penserebbero di me?».

«Che anche lei è un uomo, e può sbagliare».

Lui rialza la testa e mi sorride dandomi una pacca sulla spalla. «Sei un bravo ragazzo».

«Si sbaglia» lo interrompo. «Ho rovinato la vita di molte persone, compresa quella della mia ragazza».

Lui stringe la presa sulla mia spalla. «Come hai detto tu, tutti possono sbagliare. Ciò che conta è capire i propri errori e porvi rimedio, quando è possibile».

Rain vol.2 Dieci battiti al secondo - PrequelDove le storie prendono vita. Scoprilo ora