Capitolo 11.

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11.

You Are As Sick As Your Secrets

 


“Mi dispiace,” borbottò Frank, con gli occhi incollati al pavimento. Non poteva sostenere il mio sguardo. Neanche io riuscivo a guardarlo.
Ignorai le sue scuse e arricciai le labbra, stendendo le braccia per toccare i resti inzuppati del mio amato quaderno.
“Mi dispiace,” ripeté.
Sospirai e delicatamente sollevai l'angolo di una delle pagine imbrattate su quella che era sotto. Nonostante il mio tocco delicato, l'angolo della pagina si strappò e mi lasciò con un pezzo di carta bagnata della misura di un francobollo fra le dita. Fu qui che mi arresi. Non ci sarebbe stato nessun tentativo di salvataggio. Era completamente rovinato. Tutto il mio lavoro era andato.
“Scusa.”
Frank si strinse le braccia attorno, cercandone di trovare conforto per il fatto che ero arrabbiato con lui.
E io ero arrabbiato con lui. Lo meritava? No. Certo che no. Ma senza dubbio non stavo pensando logicamente al momento. C'erano mesi di irrecuperabile lavoro fra quelle pagine fradice. Tutti i miei lavori erano rovinati e tutte le mie teorie erano state spazzate via. Tutte le ore che avevo passato in tarda notte, prendendo nota di come funzionassero i ricordi e di come la mente reagisse nei casi di grande noia erano stati buttati. Le mie conversazioni scritte fra Frank e Markman, cancellate.
Ero distrutto. Ero stato così deciso a salvare Frank quel fatidico pomeriggio di Natale, che non avevo nemmeno pensato al benessere del mio quaderno quando mi ero tuffato nella doccia con Frank. Con inesorabile rabbia tirai su quel disastro bagnato e lo buttai con eccessiva forza nel cestino di metallo vicino al mio letto. Il peso del libro fece sbattere rumorosamente il cestino sul pavimento della mia stanza.
Frank indietreggiò da me con aria drammatica. “Mi dispiace,” esclamò.
“Smettila di dirlo!” schioccai, rifiutandomi di girarmi per guardarlo.
Frank respirò bruscamente quando lo dissi. Mi sentivo cattivo. Non avevo mai alzato la voce con lui prima, non pensavo. Non meritava di ricevere la mia rabbia. Non era colpa sua. Non mi aveva obbligato a stare sotto la doccia con lui. Non mia aveva obbligato ad aprire la bocca per attrarre Loro. Non mi aveva obbligato a fare nulla. Quindi perchè ero così ansioso di accusarlo?
“Sì, bhè, non è che anche tu sia esattamente un santo, Gerard,” disse, ferito. Prima che potessi rispondere, lui si girò di scatto e se ne andò dalla mia stanza.
Le parole di Frank mi pugnalarono nel cuore come un coltello e il respiro venne fuori dalla mia gola a fatica. Il terrore e la vergogna e il senso di colpa mi colpirono lo stomaco come un peso di piombo, opprimendomi e avvelenandomi. Era la prima volta che Frank aveva menzionato l'orrendo atto che avevo commesso, da quando gliel'avevo confessato, nella calma oscurità dell'infermeria. Doveva aver pensato che fossi un mostro. Lo sapevo. Mi piegai in due, tenendomi la testa fra le mani e provando a sopprimere il senso di nausea che avvertivo nello stomaco.
Ero un assassino.
Ogni volta che ci pensavo, sentivo come se stessi collassando dall'interno. Era come se fossi demolito, come un castello di sabbia preso in alta marea. Rimasi rannicchiato, ripetendo le fatidiche parole nella mia testa.
Gerard, lascia. E' ferito. Abbiamo bisogno di un'ambulanza. Oh mio dio, sono stati tutti feriti.

Le parole si ripeterono come un disco rotto.

Gerard, lascia. E' ferito. Abbiamo bisogno di un'ambulanza. Oh mio dio, sono stati tutti feriti.

Gerard, lascia. E' ferito. Abbiamo bisogno di un'ambulanza. Oh mio dio, sono stati tutti feriti.

Gerard, lascia. E' ferito. Abbiamo bisogno di un'ambulanza. Oh mio dio, sono stati tutti feriti.

Gerard, lascia. E' ferito. Abbiamo bisogno di un'ambulanza. Oh mio dio, sono stati tutti feriti.

Gerard, lascia. E' ferito. Abbiamo bisogno di un'ambulanza. Oh mio dio, sono stati tutti feriti.

A Splitting Of The Mind ITADove le storie prendono vita. Scoprilo ora