Capitolo 18

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18.

…And then your life isn't your own anymore

 

Avevo paura che guardare Jasper avrebbe potuto scatenare una ribellione nella mia testa. E se tutte le cellule pazze e danneggiate che avevo nel cervello avessero preso il sopravvento su quelle sane? Tutte le mie speranze di poter in qualche modo riacquistare una dignità mentale sarebbero sparite? Cosa sarebbe successo alle mie cellule sane? Sarebbero morte tutte?
C'era qualcosa di crudelmente ironico nell'ammettere di essere pazzo e poi girarti e vedere una manifestazione fisica della tua malattia che bussa alla finestra della cabina telefonica in cui stai dentro.
Avevo paura che se avessi ammesso che Jasper era lì, avrei perso tutte le cellule sane che mi rimanevano.
Sembrava del tutto fattibile, quindi decisi di ignorarlo.
Aprii la porta e uscii fuori.
“Che diamine stai facendo nel bel mezzo di una strada,” sibilò Jasper, cercando di afferrarmi.
Normalmente mi sarei tirato indietro e avrei reagito, una volta che aveva raggiunto il mio braccio. Ma reagire al suo contatto voleva dire riconoscere la sua presenza, quindi non feci nulla.
Gerard,” disse lui con rabbia, la sua fronte si corrugò subito.
Non reale. Attraversai la strada.
Non reale. Entrai nel parcheggio del motel e mi diressi verso le scale.
Non reale. Misi un piede al piano terra.
“Oh, cazzo!” è difficile ignorare qualcuno che ti colpisce violentemente dietro la testa. “Perchè cazzo mi fai questo?!” esclamai, prima di rendermene conto.
Dannazione.
Jasper sapeva di avere la mia piena attenzione. “Vieni con me,” disse, guardandosi attorno.
Tolsi il braccio dalla sua presa. “Assolutamente no,” risposi. Porca troia, dovevo ignorarlo, non incoraggiarlo.
“Riguarda Frank.” Sapeva perfettamente cosa dire per avere la mia più completa attenzione. Sospirai rabbioso e con riluttanza lo seguii verso la piscina. Appena mi avesse detto quello che doveva dirmi riguardo Frank, me ne sarei andato e avrei continuato a ignorarlo.
“Non so davvero come dirtelo....,” disse lui, fingendosi preoccupato.
Aggrottai la fronte. “Sputa il rospo, cazzo.”
Jasper non sembrava contento del mio comportamento. “Se non vuoi il mio aiuto, io-.”
“Me ne andrò?” dissi malignamente, finendo la sua frase. “Cos'è? Te ne andrai? Dove andrai? Tornerai dentro la mia testa?”
“Di cosa stai parlando?”
Mi avvicinai a lui e lo colpii col dito sul petto. “Vedi questo?” dissi, premendo contro il suo corpo. “Non è reale. Ti ho creato io. Non sei reale. Sei solo una stupida allucinazione che ho creato io.” Mentre lo colpivo non potei fare a meno di chiedermi se un'allucinazione potesse essere reale tanto quanto qualcosa che non lo era. La sua carne sembrava solida e reale tanto quanto quella di Frank, e Frank non era un'allucinazione. A meno che...
Mentalmente mi diedi uno schiaffo. Frank non era un'allucinazione. Non l'avevo creato io. Avevo visto altre persone parlare con lui. Markman percepiva la sua presenza, e lei era una strizzacervelli. Quindi, doveva essere reale. Okay. Cazzo.
Per dieci secondi avevo provato una paura fottuta nel pensare a Frank,
Jasper sembrava stranamente tranquillo, considerando che l'avevo appena accusato di essere un' allucinazione. Scosse la testa. “Se tu non fossi scappato via, avrei potuto fermare tutto questo. Ti sta facendo il lavaggio del cervello.”
Se Jasper era solo un'allucinazione creata da me, perchè cazzo mi faceva delle domande di cui non sapevo la risposta e diceva cose che non capivo?
“Gerard, Frank è uno di loro.” Percepii un po' di soddisfazione nella sua voce.
“Ha!” dissi trionfante. “Non è vero. Ci siamo già passati. Ci siamo chiariti!”
Lui aggrottò la fronte sentendo la mia risposta.
Mi allontanai dalla piscina e mi diressi verso le scale. Avevo detto a Frank che sarei tornato in cinque minuti, ma dovevano esserne passati almeno dieci. Non volevo farlo aspettare ancora. Proprio mentre raggiungevo la porta della camera, Jasper mi strinse dolorosamente l'avambraccio. “E' uno sbaglio. Morirai.”
“Lasciami!” sibilai, dimenandomi sotto la sua presa.
Mi lasciò andare con riluttanza e io cullai il braccio sul mio corpo.
“Quando arriveranno a prenderti, io sarò lì a guardare. Ti guarderò morire, Gerard. Te lo giuro. Non meriti di essere vivo. Ti guarderò morire, Gerard.”
Sapevo che non stava scherzando. Era serio. Tutto questo mi lasciò senza fiato.
“Non mi prenderanno mai,” mormorai, posando la mano sulla maniglia della porta, cercando di usarla per sostenere il peso delle mie ginocchia tremanti.
Jasper aveva uno sguardo sanguinario sul viso. “Lo faranno.”
“No, non è vero,” risposi ferocemente. Improvvisamente sentii avvampare dentro di me un senso di ribellione. Lui stava per dire qualcos'altro, ma fu interrotto perchè Frank aprì la porta. Lasciai andare la maniglia e lo guardai impacciatamente, poi lanciai uno sguardo minaccioso a Jasper. Fottuto testa di cazzo.
“Con chi stai....,” cominciò Frank, tirando fuori la testa dalla porta. Era diventato molto pallido, realizzando che non c'era nessuno nel corridoio, tranne me. Bhè, Jasper era lì, ma non pensavo che lui potesse vederlo.
“...parlando?” finì la frase a voce bassa, guardandomi preoccupato.
“Nessuno,” dissi brevemente, spingendolo protettivamente entro la stanza. Lo guardai entrare e poi diedi un'ultima occhiata a Jasper, prima di chiudere la porta. Mezzo secondo prima che rompessimo il contatto visivo, lui ghignò.
Frank sapeva che stavo mentendo. Lo potevo percepire nell'improvviso cambiamento del suo linguaggio del corpo. Era lontano da me, con le braccia incrociate sul petto. “Gerard,” disse piano.
Sapevo cosa avrebbe detto. Solo che questa volta non aveva bisogno di dirlo. Già lo sapevo. Ero pazzo. Ero pericoloso. Essere pazzo mi portava a uccidere le persone. Ecco perchè tutti mi volevano portare indietro -non volevano che ammazzassi nessun altro.
“Andiamo,” ordinai, infilando tutte le nostre cose nelle borse. Mi ricordavo chiaramente di avergli detto di prepararsi, in modo da potercene andare non appena fossi tornato. “Frank?” dissi seccato, un po' infastidito dal fatto che non mi stesse aiutando. Alzai la testa per guardarlo e vidi che era ancora fermo. Ma non stava fissando me; guardava la TV, ancora sintonizzata sullo stesso programma che aveva dato dello squilibrato assassino a sangue freddo, con un ex comandante dell'esercito come amico immaginario. Per Frank fu probabilmente uno spiacevole ricordo al ragazzo con cui aveva condiviso il letto quella notte. Non mi importava cosa pensasse, fino a che non mi avesse abbandonato.
“Frank,” dissi, prendendolo per il braccio. Lui non fece resistenza e lasciò che lo portassi fuori dalla stanza, giù per le scale. Ignorai i commenti volgari di Jasper riguardo la mia morte imminente. Mentre camminavo per strada, verso la stazione, non potei fare a meno di pensare a cosa avesse potuto cambiare il suo carattere così all'improvviso. Bhè, non era stata una cosa davvero improvvisa. Si stava comportando da stronzo da un bel po'.
Mentre mi giravo per essere sicuro che Frank mi stesse ancora seguendo, ebbi un'illuminazione. Tutte le stronzate di Jasper erano cominciate da quando lui era arrivato. Merda, Jasper era geloso di Frank. Arricciai un po' il labbro appena ci pensai. Guardai di nuovo Frank e lui agrottò la fronte, vedendo il sorriso sul mio volto.
“Che c'è di così divertente?” brontolò.
Mi chiedevo se avessi dovuto dirglielo. Sì, doveva sapere. “Penso che Jasper sia geloso di te,” dissi.
Lui si fermò di nuovo, con gli occhi spalancati. Cercai di rassicuralo. “Va tutto bene,” continuai. “So che non è reale. Pensavo solo che fosse divertente.”
Non sapeva come reagire. Mi lanciò uno sguardo cauto e notai che la distanza fra noi due era aumentata di un altro metro. Forse dirglielo non era stata una grande idea. Oh bhè, non era certo la cosa più pazza che gli avessi mai detto.
Raggiungemmo la stazione e presi in mano il foglio con l'orario dei treni per informarmi. “Devo fare pipì,” fece improvvisamente, guardandosi attorno per cercare un bagno.
“Mm va bene,” dissi, cercando di convincermi che sapevo leggere quel mucchio di parole e numeri sulla carta degli orari.
Vidi che Frank non era ancora andato in bagno, e lo guardai. Mi guardava con aria di attesa, come se stesse aspettando che dicessi qualcosa. “Huh? Oh. Oh. Ah già, devo fare pipì anche io,” aggiunsi velocemente, e lui sembrò sollevato. “Vengo con te.”
Mi sentivo stupido a credere che Frank sarebbe stato bene ad andare al bagno degli uomini da solo. Sapevo che non sarebbe successo nulla, ma lui non la pensava in questo modo. Bhè, non più. Non dopo...
Lo seguii nel bagno pubblico e incespicai. Odiavo quei posti. Erano fottutamente disgustosi. Ero contento del fatto che non dovevo davvero fare pipì, e che non avrei dovuto toccare niente di quel luogo. Frank doveva pensarla allo stesso modo. Sembrava davvero sofferente mentre camminava cautamente fra i rifiuti che ricoprivano letteralmente il pavimento, verso uno degli orinatoi.
Sentii la porta aprirsi mentre qualcuno entrava, e mi girai a guardare. Improvvisamente desiderai di essermi messo un cappello o qualcosa del genere, perchè un vago sguardo di riconoscimento attraversò la faccia della guardia di sicurezza. Anche Frank doveva averlo vista, perchè un istante dopo era già al mio fianco, pronto a portarmi via da quel posto disgustoso e puzzolente. Eravamo appena passati dietro la guardia, quando quella prese lo zaino che stavo portando. “Andiamo,” domandò. “Cosa c'è dentro?”
“Perderemo il nostro treno,” cercò di spiegare Frank, tentando di riprendere la mia borsa dalla presa dell'uomo. La maggior parte dei nostri soldi erano lì, e non ce ne potevamo andare senza. “La prego, signore,” lo implorò.
La guardia lasciò andare lo zaino, ma solo per focalizzare l'attenzione su di me. Non aspettai che potesse capire chi ero; aprii la porta e corsi fuori, verso il binario. C'era già un treno in sosta, e Frank premette con urgenza il bottone che avrebbe aperto le porte. Diedi un'occhiata al bagno e visi che la guardia era uscita fuori. Lo stomaco mi si rivoltò, non appena vidi che stava parlando alla radio che aveva sulla spalla. Cosa stava dicendo? Stava informando i suoi colleghi di aver appena trovato Gerard Way: omicida/figlio maggiore/malato di mente?
Frank mi prese la mano e la mia attenzione tornò al treno e al grande spazio che c'era fra il binario e la porta. Aggrottai la fronte mentre lui mi guidava oltre il buco, dentro il treno. Quello spazio era davvero pericoloso. Qualcuno avrebbe dovuto farci qualcosa. Potevi perderci i bambini, lì in mezzo.
Nessuno ci guardò. Erano tutti troppo immersi nel loro mondo per notare che eravamo entrati. Il treno partì quasi immediatamente e sembrò che la guardia non avesse fatto nulla. Sapevo che non era vero, comunque. Mi chiedevo se la polizia ci stesse aspettando alla stazione successiva, pronta ad arrestare me e Frank, dividendoci per sempre.
Una voce pre-registrata uscì dalle casse, per annunciare che mancavano due minuti alla stazione successiva. Mentre il treno rallentava, Frank mi fece cenno e poi scendemmo. Mi guardai attorno. Non vedevo nessuna guardia, solo qualche scolaretto e delle donne che andavano a lavoro. Sospirai di sollievo.
“Gerard,” sibilò Frank, in piedi davanti alla porta di un altro treno. Spalancai gli occhi, realizzando che dovevo prestare più attenzione, o mi sarei perso. Mentre lo seguivo sull'altro treno, cominciai a domandarmi cosa avrei fatto se mi fossi perso. Non potevo di certo andare dalla guardia di sicurezza più vicina, chiedergli di chiamare i miei genitori e farmi venire a prendere. Perchè avrei dovuto chiedere ai miei genitori una cosa del genere, quando non li sentivo da tre anni? Ovviamente non mi volevano più bene. Non dopo quello che avevo fatto. Avrebbero potuto? In effetti, probabilmente avevo avuto più fortuna con Markman.
Almeno lei non mi aveva abbandonato dopo quello che avevo fatto. La presentatrice dello show di quella mattina aveva detto che Markman era la mia dottoressa già da prima che facessi del male a Michael. E adesso, tre anni più tardi, seguiva ancora il mio caso. Forse dovevo dare più merito a quella donna malefica. Probabilmente era l'unica persona al mondo, oltre Frank, a cui importava di me. Mi ci volle un grande sforzo per non commuovermi, ripensando a quanto fosse fottutamente patetica la mia vita.
Mi sforzai di prestare attenzione, quando Frank mi diede una gomitata per dirmi che dovevamo di nuovo cambiare treno. Corsi attraverso il binario e riuscii a saltare sul nuovo vagone giusto prima che le porte si chiudessero. Mi sentivo un po' colpevole per non aver pagato nessuno dei treni, ma Frank si rifiutava di spendere del tempo per comprare i biglietti. Non mi importava, avevo solo paura che qualche controllore ci potesse arrestare per questo. Non ero del tutto sicuro che sui treni quei giorni ci fossero i controllori, o se potessero arrestare le persone. Non importava – ciò che importava era prestare attenzione.

A Splitting Of The Mind ITADove le storie prendono vita. Scoprilo ora