8.
We Scream To Avoid Suffering In Silence
Stavo avendo un brutto momento, provando a determinare se fossi morto o no. Non pensavo di essere morto... ma sapevo di potermi sbagliare. Anche se il mio sbagliarmi era un evento raro, era ancora possibile. La testa mi faceva male e mi sentivo come se fossi stato imbottito di cotone idrofilo. Se ero vivo, probabilmente erano le medicine che mi facevano sentire così. Ma se ero morto, senza dubbio era perchè loro avevano rubato tutti i miei segreti e riempito lo spazio vuoto col nonsenso. Quando dico nonsenso mi sto riferendo alle cose inutili come differenziare un polinomio dall' ordinanza del presidente degli Stati Uniti. Capite, inutili stronzate come queste.
Aprire gli occhi mi faceva tremendamente male, ma ero determinato a capire dove fossi, quindi li sforzai a obbedire al mio desiderio. Le luci nella stanza, sebbene sfuocate, istantaneamente obbligarono i miei occhi a chiudersi di nuovo. Lentamente, stavo riacquistando sensibilità negli arti ma fui inorridito dallo scoprire che non importava quanto duramente provavo a muoverli, non si muovevano. Sicuri che non ero paralizzato? No, non potevo esserlo. Potevo sentire il tocco leggero delle lenzuola sulla mia pelle. Cosa stava succedendo? Perchè non riuscivo a muovermi? E cosa cazzo era questo suono che squillava?
Sbattei le palpebre rapidamente e riaprii di nuovo gli occhi, trasalendo per la luce. Appena i si adattarono lentamente, realizzai che ero nel letto di un ospedale. Perchè diavolo ero nel letto di un ospedale? Cosa era successo? Porca troia. I miei occhi guizzarono con ansia intorno alla stanza, raccogliendo tutte le informazioni per una possibile uscita. Il suono squillante crebbe progressivamente a tempo con il mio sbattere di ciglia.
Ero più che ovviamente vivo, ma perchè? Loro non avevano ottenuto ciò che volevano? Cominciai a ripercorrere tutti i segreti nel mio cervello, cercando quello che avevano rubato. Ero arrivato alla lettera 'H' nel mio inventario, quando la porta si aprì e Markman fece un passo con calma. Non stavo ancora entrando nel panico; ogni cosa sembrava essere in ordine, fino ad ora.
“Stai male?” disse Markman gentilmente.
Non le risposi; volevo solo procedere oltre la 'K' e tutti i segreti vitali che si avvicinavano velocemente. Non avevo bisogno di nessuna distrazione in quel momento.
“Il bendaggio è troppo stretto?”
Quando me lo chiese, mi bloccai nel mio inventario. Il respiro si fermò in gola quando capii che la pressione nella mia testa era causata dal bendaggio stretto. Non avevo più bisogno di completare l'inventario. Markman aveva già confermato da sola le mie paure.
Doveva essere stato vero. Loro avevano tagliato la mia testa. Loro avevano preso i miei segreti.
“A cosa stai pensando?” incalzò lei. Mi accigliai e un dolore lancinante mi colpì attraverso la fronte. Stava cercando di fregarmi per farmi parlare. Sapevo che lo stava facendo. Ma avevo imparato la lezione, lo sapevo meglio questa volta. Loro erano capaci di intercettare la mia voce.
Provai di nuovo a muovere il braccio, ma scoprii che ero stato imprigionato con delle cinghie imbottite. Furiosamente mi divincolai e combattei contro le cinghie, ma senza risultato. Questo era il mio peggior incubo,ero completamente indifeso. Lei non riusciva a capirlo? Il fatto che ero ancora vivo significava che loro non avevano raggiunto il loro piano di rubare i segreti e uccidermi. E poiché il mondo non era in pericolo e non stava per finire, era ovvio che loro avessero preso il segreto sbagliato. Significava che loro sarebbero tornati, presto, non appena fossi stato ancora debole. Tirai con violenza i nodi. Non era troppo tardi. Il mondo non era finito, per ora, c'era ancora un' opportunità. Potevo sconfiggerli.
Markman capì cosa stessi cercando di fare. “Non posso togliere le cinghie, Gerard. Per favore, calmati.”
Calmarmi!?! A cosa stava pensando? Era quello che loro volevano!
“Lei lavora per loro, Gerard. Sai che lo fa. Questo spiega tutto, no?” Jasper apparì dal nulla e si appoggiò sul bordo del mio letto. Lo guardai a bocca aperta. Lei stava lavorando per loro? Siamo sicuri di no?
La mia bocca restò aperta in stato di shock, mentre la testa ruotava per guardare sbigottito Jasper e adocchiare Markman con cautela. Jasper alzò il sopracciglio chiazzato di grigio verso di me. “Non essere stupido,” disse in modo paterno come osai di dubitare della sua accusa. Per quanto odiassi Markman, lei era una di quelle poche persone di cui sentivo di fidarmi. Non aveva mai fatto niente che mi avesse fatto pensare che lei fosse alleata con loro.
Ringhiai a Jasper e lui indietreggiò. Con rabbia, si alzò in piedi e mi guardò. Stava indossando di nuovo l'uniforne militare, ma era un po' più scompigliata di quanto lo fosse durante il nostro ultimo incontro. Cosa gli era successo?
“Gerard?” mi chiamò Markman per ottenere la mia attenzione e mossi a scatti il mio sguardo verso di lei, timoroso, aspettandomi in ogni momento la contro-reazione di Jasper in risposta alla mia mancanza di rispetto. “Con chi stai parlando?”
“Menti,” sibilò Jasper. “Non osare dirglielo, Gerard. Non osare,” minacciò attraverso la mascella serrata.
Deglutii spaventato e voltai la mia testa verso Markman.
I suoi occhi scorsero verso Jasper, poi di nuovo verso la mia faccia. “C'è qualcun altro nella stanza?”
Sì, certo che c'è! Non riesci a vederlo? Quel bastardo mi sta fottutamente minacciando!
“Pensi che sia un bastardo, Gerard?” domandò Jasper compiaciuto.
Un momento, poteva leggere la mia mente? Porca di quella puttana!
“Chi è, Gerard?” disse Markman preoccupata. “Chi è?”
Mi morsi il labbro tremante, mentre gli occhi si spostavano di nuovo e in avanti fra Jasper e Markman, che stava in piedi al lato opposto del duro e pesante letto d'ospedale.
Con gli occhi implorai Jasper di andare via. La sua presenza mi stava mandando brividi lungo tutta la spina dorsale.
“Sto cercando di salvarti!” ruggì lui. “Sono qui per salvarti, Gerard, non per farti del male. Qual'è il problema? Vuoi che loro ti prendano e ti taglino di nuovo la testa? Sono qui per proteggerti!”
Stronzate. Le parole corsero selvaggiamente attraverso la mia testa e Jasper mi guardò in modo furioso.
“Gerard, guardami,” ordinò Markman, e io obbedii.
Jasper si stava agitando con rabbia. “Non dirglielo, Gerard,” mi avvisò di nuovo.
“C'è qualcun altro nella stanza, Gerard?” chiese lei, esaminandomi intensamente.
I miei occhi corsero di nuovo avanti e indietro tra la preoccupazione di Markman e la furia di Jasper. Era quasi come se fossi a un match di tennis guardando la palla che andava avanti e indietro.
Valutai le mie opzioni. Dovevo rischiare di essere scoperto di nuovo e informare Markman della presenza di Jasper, oppure dovevo credere a Jasper, che non mi aveva mai portato fuoristrada in passato, e stare zitto?
“C'è qualcun altro nella stanza?” ripetè lei, enfatizzando le parole e non staccando mai gli occhi dai miei.
Deglutii e con un ultimo sguardo verso Jasper sollevai il mento per guardare faccia a faccia Markman. Poi annuii una sola volta. Era solo un piccolo accenno, ma lei capì. Mi chiedevo se anche lei potesse leggere la mia mente. Sarebbe stato più che possibile per lei.
Un'onda di realizzazione ricoprì Markman, ma io ero sconcertato della natura della sua improvvisa scoperta.
Con esitazione diedi un' occhiata a Jasper, ma fui sorpreso di vedere che era scomparso. Mi sedette, allarmato. Significava che loro stavano tornando di nuovo? Girai il busto, sforzandomi di esaminare tutti gli angoli della stanza, nella vana speranza di vedere Jasper nascosto in uno di quelli. Era svanito misteriosamente come era apparso. Dopo un intero minuto passato a non sentire nessun tipo di spari, mi convinsi che al momento ero salvo e mi rilassai.
Markman era appoggiata sul tavolo e stava annotando qualcosa in quella che sembrava una cartella ufficiale. Una cartella che sospettavo contenesse il mio file. Il grande file che apparentemente non avrei voluto leggere. Che stronza, odiavo quando era lei a dedidere la mia vita al posto mio, proprio come in quel caso. Passarono un paio di minuti e lei non sembrava mostrare segno di fermarsi dallo scrivere la sua lunga nota. Ero completamente confuso adesso. Markman non aveva mai registrato così a lungo qualcosa che avessi detto o fatto. Paura, sospetto e rimorso colpirono sconfortevolmente il mio petto in sincronia con il mio cuore, quando capii che forse Jasper aveva ragione. Forse lei era alleata con loro. Stava scrivendo tutto per riferirlo a loro? Li aveva aiutati per tutto il tempo? Porca troia.
Stavo cercando di calmarmi. Entrare nel panico non mi avrebbe portato presto fuori da quelle cinghie. Avevo bisogno di avere le mani libere. Non potevo restare immobile in quel modo. Mi stava rendendo ansioso. E non era un segreto che l'ansia e io non eravamo migliori amici.
Mi schiarii la gola rumorosamente per attirare l'attenzione di Markman. Lei mi guardò stupita per un secondo, prima di alzare un solo dito verso di me. Quel dito stava pienamente a significare: “aspetta.”
Ma io non volevo aspettare. Volevo leggere il mio file. Ora. Non dopo, non in un minuto. Ora.
Markman portò una sedia accanto al mio letto e si sedette aggraziatamente. Incrociò le gambe e si appoggiò la cartella sulle ginocchia. Mi guardò con l'aria di chi aspettava qualcosa. La guardai con l'aria di chi aspetta qualcosa. Eravamo entrambi in attesa l'uno verso l'altro, quella mattina.
“Puoi parlarmi dell'altra persona che è nella stanza con noi?” domandò.
No. Scossi la testa e premetti strettamente le labbra insieme, per simboleggiare la ripresa del mio voto di silenzio. Ooooohhhhh, Markman non era felice di questo. Le ghignai brutalmente,sapendo quanto la stavo irritando.
Strattonai la cinghia che teneva la mia mano destra fissa al letto. Se lei voleva una risposta da me, dovevo aver bisogno di un braccio libero per scrivere. Lei sospirò e si strofinò gli occhi, chiaramente esasperata. Mi sentii solo un pochino colpevole per quanto piacere ottenessi nel rendere il suo lavoro dieci volte più faticoso di quanto doveva essere. Nonostante i suoi timori, sciolse la cinghia e io stesi il mio braccio, pieno di riconoscimento. Mi passò un pezzo di carta, una matita e un libro da appoggiare sopra. Li afferrai impazientemente e scrissi: 'Quello è il mio file?'
Come glielo passai, lei scosse la testa, divertita. Quando non rispose, tirai su il libro per vedere su cosa mi stessi appoggiando. Era un manuale intitolato 'Il percorso della sanità mentale: Le relazioni Dottore/Paziente' scritto da J.A. Slater, M.D. Ridacchiai per il titolo e lo sostenni affinchè Markman lo vedesse. Alzai un sopracciglio, domandandomi il perchè della presenza del libro nella mia stanza, per prima cosa. Credevo che, dopo tutti quegli anni, fossi ancora intrigante e incomprensibile per lei. Era ovviamente così sconcertata per la mia genialità, che aveva dovuto ricorrere a leggere i sui vecchi manuali scolastici di medicina. L'unica cosa che mi confondeva era la parte del 'Sanità mentale' nel titolo. Pensava veramente che potessi avere una malattia mentale? Non ero un malato di mente. Non ero depresso o un suicida o qualcosa del genere.
“Nel dubbio, si torna alle nozioni di base,” borbottò Markman e arrossì.
Annuii e feci spallucce. Era una buona mentalità, supposi. Uno spasmo di dolore mi trafisse di nuovo la fronte e realizzai di aver completamente scordato il bendaggio intorno alla mia testa. La toccai cautamente.
“Oh,” disse Markman, improvvisamente. Anche lei si era scordata della mia ferita, pensai. “Suppongo che tu tia stia chiedendo cosa sia successo alla tua testa.”
Veramente no. Sapevo esattamente cosa era successo.
“Ti sei scontrato abbastanza forte con quel tavolo,” mi disse. Avvertivo un accenno di rammarico nella sua voce, o cosa? “Ti sei aperto la fronte in modo abbastanza grave.”
No! Non mi ero aperto la testa sul tavolo. Loro l'avevano aperta. Questo è quello che è successo. Non provare a mentirmi!
“Ma non ti preoccupare,” mi rassicurò, scambiando la mia confusione per preoccupazione. “Il miglior chirurgo plastico della East Coast sta arrivando qui per riparare la tua ferita alla testa. Ha promesso che la cicatrice sarà invisibile. E' veramente il meglio del meglio.” Enfatizzò il 'meglio' più del necessario.
Perchè il miglior chirurgo plastico della East Coast era in volo per il New Jersey per riparare la mia testa? Perchè ero così speciale??? Scossi il capo e abbassai lo sguardo sulle coperte.
“Che succede?” chiese Markman, porgendomi il pezzo di carta e la matita.
La presi e pensai per un momento. Perchè avrebbe dovuto mentirmi? Cosa avrebbe ottenuto? Ogni secondo che passava mi faceva pensare di più e di più alla possibilità che lei fosse alleata con loro.
Scrissi: 'Non è successo questo.' Lo alzai per farlo leggere a Markman e la guardai intensamente aspettandomi una reazione che l'avrebbe tradita e avrebbe rivelato la sua obbedienza a loro. Non ottenni la reazione che mi aspettavo, o che volevo. Lei sembrava autenticamente confusa al momento.
“Tu cosa pensi che sia successo?” La sua voce era tranquilla.
Scrissi cosa era successo in quei pochi minuti prima che lei mi sedasse. Descrissi dettagliatamente loro e il loro tentativo di rubare i miei segreti. Lasciai fuori la parte di Jasper, comunque. Non avevo molta voglia di scoprire quale sarebbe potuta essere la sua reazione nello scoprire che l'avevo tradito. Aggiunsi alla fine: 'Devono aver rintracciato la mia voce.'
“Oh, Gerard,” sospirò lei, appena lesse cosa avevo scritto. “Non avevo idea,” disse scioccata. “Devi essere stato così spaventato.”
Annuii con esitazione.
“Gerard, so che te ne ho giù parlato in passato, ma ti ricordi la conversazione che abbiamo avuto rigurdo quella malattia chiamata schizofrenia?”
Vagamente, sì, ricordavo quella parola. Ricordavo inoltre di aver ignorato tutto quello che Markman aveva detto perchè era assurdo. Annuii ancora con esitazione. Perchè lo stava riportando a galla? Non ero pazzo.
“Ricordi che ti è stata diagnosticata la schiziofrenia?”
Il mio cuore battè dolorosamente all'interno del petto e mi rifiutai di guardare negli occhi Markman. Non mi sarei seduto lì lasciando che lei mi convincesse che fossi pazzo. Non ero pazzo. Ray era pazzo. Bob era pazzo. Io non ero per niente come loro. Non ero pazzo. Girai la testa e fissai il muro, determinato a bloccare ogni cosa che Markman stesse cercando di dirmi. Stava mentendo.
Si allungò in avanti e mise la mia cartella sul pavimento. “Per favore, guardami,” mi chiese.
Scossi la testa e continuai a tenere gli occhi sulla parete. La stavo fissando così intensamente che quasi mi aspettavo che cadesse sotto l'intensità del mio sguardo. Sentii Markman sospirare e risedersi, non riuscendo a capire di nuovo. Continuai a guardare il muro fino a quando sentii bussare alla porta. Essa si aprì e Markman accolse il nuovo arrivato.
“Gerard,” annunciò lei a gran voce. “Questo è il Dr. Reynolds, il chirurgo plastico.”
“Ciao, Gerard!”
La sua allegria mi faceva star male. Lo ignorai. Aveva capelli biondi alla moda e laceranti occhi blu che erano davvero troppo ansiosi per attirarmi. Disprezzavo la sua attrattiva; mi ricordava vagamente la mia apparenza insignificante.
“Sono proprio qui per dare un'occhiata ai tuoi punti, Gerard. Ti dispiace?”
Prese la mia mancanza di risposta per un no. Le sue lunghe dita da milionario tolsero con destrezza la benda intorno alla mia testa, fino a quando l'aria fresca solleticò la ferita. Girò la mia testa verso di lui per esaminare attentamente i punti. “Bene,” mormorò fra se'. “E' completamente guarita,” mi informò. “Dubito che ci sarà perfino una cicatrice. Sei in debito con me,” aggiunse scherzosamente.
Ma neanche per sogno! Non sono in debito con te, stronzo arrogante. Non ho chiesto le tue dita esperte per avere una testa perfetta. Non mi sarebbe importato se avessi avuto un' enorme cicatrice lunga tutta la fronte o no.
“E' sicuro?” gli chiese Markman con apprensione. Ovviamente lei non credeva nel suo modo di fare sicuro quanto lui.
“Certo. Lo portate a casa oggi?”
“Sì, il gonfiore nel cervello è diminuito a un livello stabile per il trasporto. Lo riporterò a Bluestone stanotte e lo controllerò lì. La familiarità è meglio per Gerard, credo.”
Il Dr. Penso-Di-Essere-Così-Figo-Ma-Non-Lo-Sono-Sul-Serio avvolse il bendaggio attorno alla mia testa mentre parlava con Markman. Era come se non fossi nemmeno nella stanza. Non avevano nessun rimorso nel discutere del mio futuro di fronte a me, ma questo mi irritava.
“Lui lo approva?”
“Lui non ha voce in capitolo,” rispose Markman freddamente, offesa dal dubbio del Dr. Reynolds.
Chi era lui? Dio, i segreti stavano davvero uscendo fuori adesso. Feci finta di ignorarli ancora, ma segretamente stavo ascoltando con molta attenzione.
Il Dr. Reynolds rise innocentemente. “Non intendevo offenderla. La prego, accetti le mie scuse. Cosa risulta dall'ultima tomografia computerizzata?”
Markman attraversò la breve distanza per prendere la grande busta sotto il mio grafico ed estrasse i negativi della mia tomografia computerizzata. Li passò al Dr. Reynolds, il quale li mise contro il tavolo luminoso vicino al bagno. Markman si mise accanto a lui, raggiungendo a malapena con la testa le sue ampie spalle.
“Questa e' di tre anni fa,” sussurrò Markman e indicò lo schermo sulla sinistra. La sua intenzione era quella di prevenire che sentissi, ma sentivo tutto, comunque. “Questa è stata fatta stamattina.”
Il Dr. Reynolds fischiò sottovoce. “La crepa si sta ingrandendo,” mormorò, tracciando le dita sull' ecografia. Strizzai gli occhi, ma non riuscii a vedere la traccia di nessuna crepa nel mio cranio. A cosa si stava riferendo? Perchè stava guardando su un'ecografia vecchia di tre anni? Non mi ricordavo di aver avuto un'ecografia tre anni prima. Non riuscivo nemmeno a ricordare cosa avessi avuto per cena la settimana passata. Non ricordavo quasi nemmeno cosa avessi avuto per colazione .
Aspettate, un momento. Sì, ricordavo. Ricordavo un giorno. In quel giorno, avevo mangiato il toast con il burro di noccioline. E Frank il toast con la marmellata. Oh Frank, come avevo potuto dimenticarlo? Era stata colpa sua se ora ero qui. Era stata colpa sua, ma non riuscivo a trovare nel mio cuore la forza di incolparlo. Se lui non fosse stato così sconvolto quel giorno, nella sessione di terapia di gruppo, non gli avrei mai parlato. Se non avessimo mai creato quella bizzarra complicità quel giorno, non avrei mai sentito il bisogno di offrirgli la mia stanza. Se non avessimo condiviso la stanza, non avrei mai sognato di parlargli. Se non avessi mai aperto la bocca, loro non avrebbero intercettato la mia voce e non avrebbero provato a rubare i segreti nel mio cervello.
Sapevo cosa significava questo, ora. Significava che dovevo stare lontano da Frank. Era troppo pericoloso per me stargli ancora vicino. Era troppo allettante aprire la bocca con lui attorno. Perdipiù, Jasper aveva avuto ragione su tutto. Quando loro sarebbero tornati a finire ciò che avevano iniziato, Frank non avrebbe potuto essere accanto a me. Ero diventato troppo attaccato emotivamente a lui. Si sarebbe solo che fatto male se avessimo continuato a essere amici ancora a lungo. Era un rischio che non volevo correre.
Tenevo troppo a lui, adesso.
Lacrime di disperazione mi punzecchiarono gli occhi, ma con un battito di ciglia le mandai via furiosamente. C'era solo una cosa da fare ora. Sapevo che Frank non avrebbe voluto essere tagliato fuori dalla mia vita in quel modo. Lo avrebbe ferito troppo. Non sarebbe stato capace di sperare, sapevo che non l'avrebbe fatto. Avevo bisogno di essere trasferito. Non potevo tornare a Bluestone.
Su un pezzo di carta scrissi la mia richiesta a Markman: 'Non posso tornare a Bluestone. Per favore, non mi ci riporti. Ho bisogno di essere trasferito in un altro istituto. Non mi importa dove. Ormai è troppo pericoloso per tutti avermi intorno. Quando loro torneranno per finire ciò che hanno iniziato, cercheranno Frank.Loro sanno che è l'unica persona di cui mi importa. Non sarò capace di proteggerlo. Proprio come l'altro ragazzo. Non so chi fosse, eccetto che provai a salvarlo. Ho fallito quella volta, non fallirò di nuovo. Per favore, mi aiuti.'
Aspettai fino a dopo che il Dr. Reynolds se ne andasse, prima di consegnarglielo. Markman lo lesse, scuotendo la testa tutto il tempo. Sembrò abbastanza combattuta per un minuto, e mi sentii speranzoso. Comunque, adesso, avrei dovuto sapere meglio come affiggere ogni speranza in quella donna.
“Riposati un po',” mi disse e uscì.
Riuscii ad addormentarmi alla fine, ma ebbi l'incubo più terrificante della mia vita.
Stavo camminando attraverso una grande casa e mi ero senza dubbio perso. I muri bianchi erano uno identico all'altro e le stanze erano vuote di ogni oggetto. Non riuscivo a distinguere le camere ed ebbi la disperata sensazione che stessi girando i cerchio attraverso quella casa enorme. Finalmente arrivai alla fine dell' enorme scalinata e la salii con trepidazione. Non avevo idea di cosa mi aspettasse e il sudore stava colando dalla mia fronte. Con un vago movimento mi scostai via i capelli inzuppati dal viso e fui sorpreso di quanto fossero diventati umidi. L'altra cosa che capii fu che anche i miei vestiti erano bagnati fradici e mi stavano trascinando giù. Stava diventando dura continuare ad avanzare passo dopo passo per salire le scale. Il peso divenne troppo per me e caddi sulle ginocchia. Comunque, invece di cadere sulla dura scalinata di marmo, caddi bruscamente in una pozzanghera d'acqua.
Frank si afferrò a me in un istante. Avvolsi il mio braccio protettivamente intorno a lui mentre usavo l'altro per farci continuare a stare in piedi.
“Aiutami,” urlò nel mio orecchio.
Lo feci aggrappare alla parete mentre nuotavo verso il centro della pozza. Come camminai sull'acqua, essa diventò improvvisamente sempre più dura sotto i miei piedi, fino a che non sembrò di camminare nel cemento. Terrificato, diedi un'occhiata ai miei piedi e capii che stavo di nuovo su una superficie solida. Ero tornato nella villa anonima.
“Frank,” urlai, girandomi.
C'era sangue dappertutto. Le mura bianche della villa gocciolavano di un liquido rosso e viscoso. Colava giù dalle pareti lentamente, lasciando una macchia scura. Il mio stomaco si contrasse insopportabilmente appena mi accorsi dell'orribile visione. Feci un passo indietro e il mio piede sguazzò in qualcosa. Sconcertato, lasciai che il mio sguardo cadesse sul pavimento. Il sangue colato dalle pareti stava formando delle pozzanghere ed io ero in piedi esattamente in mezzo a una di esse. Le mie sneacker erano macchiate di rosso, come il davanti dei miei vestiti.
Come avevano fatto i miei vestiti a sporcarsi? C'era sangue anche sulle mie mani ed entrai in panico prima che provassi a strofinarlo via sui jeans. I miei sforzi riuscirono solo a farmi macchiare tutto sui polsi e gli avambracci.
Così tanto sangue.
Rintracciai Frank a distanza di venti metri buoni, sdraiato immobile nelle pozze di sangue. Come corsi verso di lui, le piccole onde che creai si infransero sul suo corpo senza vita. Stavo cercando nel suo volto ogni singolo cenno di vita, ma lui era vuoto di vita, proprio come quella casa era vuota di colori. Non importava quanto avessi corso, il corpo di Frank non poteva più avvicinarsi. Urlai per la frustrazione e rallentai per fare una sosta.
Il muro alla destra del corpo di Frank improvvisamente si aprì e una figura ne uscì. Indossava una maschera inespressiva e non riuscii a identificarlo. Si inginocchiò e fece correre un dito pallido sulla faccia di Frank. Si rimise in piedi e alzò l'indice perchè io vedessi. Poi premette il dito sporco sulla sua faccia e strofinò il sangue sulla maschera esattamente dove avevo immaginato che fossero le labbra.
Si abbassò di nuovo per bagnare il dito nella pozza di sangue vicino alla testa di Frank. Quando girò la mano, il liquido rosso gocciolò lentamente lungo l'indice e sul palmo. Inorridito, realizzai che mi stava sorridendo. La macchia di sangue sulle labbra della sua maschera si era curvata malvagiamente in un ghigno.
Improvvisamente la mano pulita rimosse la maschera e mi lasciai sfuggire un grido di terrore quando riconobbi la persona che c'era dietro. Lui mi guardò e alzò le dita macchiate, questa volta verso le sue vere labbra, coprendole di sangue. Le mie mani si strinsero assieme, mentre lui procedeva leccandosi la bocca, asciugando il liquido con la lingua.
“Sei un mostro,” gli urlai.
Lo sguardo folle nei suoi occhi incrementò quando cominciò a ridere spaventosamente. Quel rumore risuonò nella mia testa, mentre lottavo per comprendere. L'uomo ripugnante che leccava il sangue in piedi accanto al corpo di Frank non era un estraneo. Era qualcuno che conoscevo fin troppo bene. Ero io sotto la maschera. Io ero il mostro.
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A Splitting Of The Mind ITA
FanficTRADUZIONE ITALIANA, ORIGINALE DI @gaiaMDMA su wattpad Gerard Way vede il mondo in modo differente. Solo e segregato in un istituto psichiatrico, afferma di essere braccato, e che la sua mente contenga la chiave dell'esistenza. Davvero Gerard è in p...