Epilogo
Twenty-Four Words
Frank era in ritardo. Esitò sul lato della via, guardando a sinistra per controllare che non stessero arrivando macchine. Nonostante fosse a soli sei metri dalle strisce pedonali, decise di attraversare subito la strada per raggiungere il marciapiede sull'altro lato. Si sbrigò, tenendo le braccia strette al busto, mentre una folata di vento gelido lo travolgeva.
Il tribunale aveva fatto stranamente tardi quella mattina, con molto disappunto da parte sua. Aveva programmato appositamente i piani per quel pomeriggio e adesso si era scombussolato tutto. Rabbrividì ancora, quando un'altra folata di vento lo attraversò, facendogli arrivare in faccia un pezzo di immondizia. Si tolse l'incarto della cioccolata di dosso e fece un sospiro di sollievo, vedendo la familiare sirena che ornava il logo di Starbucks. Entrò nel bar e ispezionò la stanza, mentre si faceva riscaldare dai termosifoni del locale.
La Dottoressa Markman lo aspettava solo da cinque minuti. Anche lei era arrivata in ritardo ed era riuscita a rimediare un piccolo posto dentro il locale affollatissimo. Si legò i capelli in una coda scompigliata e sobbalzò un poco, quando qualcuno si strusciò contro il tavolo, lasciandola sbigottita. Lanciò uno sguardo diffidente al ragazzo che aveva continuato con noncuranza sulla sua strada e giurò di aver visto esattamente la stessa persona proprio dieci minuti prima alla banca. Aggrottò la fronte, realizzando che quel ragazzo che era andato a sbattere contro il suo tavolo era proprio lo stesso che era stato in fila dietro di lei quando aveva depositato l'assegno sul suo conto. In effetti, era lo stesso ragazzo che si era seduto al tavolo di fronte al suo, al ristorante ittico dove aveva mangiato il giorno prima con suo marito.
Si chiese improvvisamente se il silenzioso ragazzo con la testa rasata e dai lineamenti forti e orientali la stesse seguendo. Lo guardò per un momento, mentre lui era seduto da solo a un altro tavolo nel locale affollato, prima di ricomporsi e ridere di sé stessa per aver capito quanto fosse diventata paranoica. Aveva bisogno di una vacanza. Sapeva che doveva scappare da tutto prima che la paranoia peggiorasse.
Quella sensazione era cominciata proprio un anno prima, quando uno dei suoi pazienti le aveva dato un foglio delle dimensioni di una carta da gioco. Era solo un presentimento, ma a volte Markman rabbrividiva senza ragione, nel pensare che qualcuno con cattive intenzioni la stesse guardando.
“Hey, Dottoressa,” Frank la salutò energicamente e si sedette di fronte a lei. “Scusa per il ritardo.”
Markman accettò le scuse, non volendo menzionare che non stava aspettando da molto, aggiungendo anche il fatto che quel pomeriggio aveva dovuto prendere una strada diversa e più lunga verso la città, perchè pensava che un uomo anziano con la testa rasata nella macchia dietro di lei la stesse seguendo e doveva seminarlo nel traffico.
“Come stai, Frank?” chiese lei, con un apparente segno di preoccupazione nella voce.
Frank alzò le spalle e annuì. “Bene,” disse.
Anche la Dottoressa Markman annuì. “Mi fa piacere,” disse con tono incoraggiante. “E' da un po' che non ti vedo.”
Frank si sentì in colpa per quel semplice commento. C'era una ragione valida per cui Markman non lo vedeva da un po'. Aveva cercato di evitarla in tutte le occasioni, a partire dal funerale. Era stato rilasciato da Bluestone lo stesso giorno, e da quel momento aveva usato ogni singola scusa per non parlare con lei del perchè stesse facendo ciò che stava facendo.
“Come va in tribunale?” Markman continuò la sua domanda, ignara della colpa che Frank si sentiva addosso per il commento precedente.
Lui deglutì maldestramente. “Tutto bene,” disse con indifferenza, non volendo ammettere quanto fosse pietrificato per l'imminente processo a cui doveva testimoniare. L'unica cosa che lo confortava era che avrebbe mandato due uomini orribili in prigione. “Dottoressa, non voglio essere scortese, ma ho un appuntamento alle due,” disse con imbarazzo, guardandosi l'orologio. Non era una bugia. Doveva davvero essere da un'altra parte alle due. Comunque, aveva programmato quella cosa alle due per scampare all'appuntamento con la sua ex terapista. “Perchè mi volevi vedere?”
Markman era pienamente consapevole del fatto che Frank non fosse a suo agio. Non l'avrebbe chiamato, chiedendogli di vederlo, per niente. Prese un pezzo di carta dalla tasca dei suoi jeans e lo mise sul tavolo davanti a lui. Frank alzò un sopracciglio, guardando il foglio di quaderno piegato con cura. Lo prese e lo aprì. Mentre lo fece, notò le pieghe e gli strappi, come se il precedente proprietario del foglio lo avesse aperto e chiuso innumerevoli volte.
Mentre Frank leggeva il foglio, Markman lo fissò attentamente, cercando una qualsiasi reazione che avesse potuto smascherare i suoi sentimenti. Comunque, invece di essere sollevato, lui sembrava confuso. Alzò un sopracciglio verso di lei.
“Che cos'è?” domandò, rileggendo di nuovo le ventiquattro parole.
Markman era sbigottita. Il suo viso rifletteva solo una parte della delusione che provava dentro. “Non significa nulla per te?” chiese lei disperatamente, cercando di capire la reazione di Frank a quel foglio.
Lui scosse la testa lentamente. “Dovrebbe?” chiese, perplesso.
Markman sospirò. “Speravo di sì. Non capisco cosa significhi.”
“Bhè, che cos'è?” chiese Frank di nuovo, incuriosito.
Markman si rimise seduta. Non sapeva se poteva dirglielo. Lo avrebbe ferito, senza dubbio. Ma, poteva anche andare meglio di quanto potesse immaginare. “Era uno dei suoi segreti.” Non sapeva se doveva dirgli della loro esistenza, ma non sopportava più il fatto di non sapere.
La prima reazione di Frank fu di rabbia. Strinse forte il pezzo di carta fra le mani tremanti e guardò in modo accusatorio la terapista. “Perchè me l'hai dato?” chiese brutalmente.
“Sai cosa significhi, Frank?”
“Perchè me l'hai dato?!” esclamò, lasciando cadere il foglietto, mentre la collera lo assaliva.
Markman si ricompose e spinse di nuovo il pezzo di carta verso di lui. “Frank, non significa nulla per te?”
“Perchè mi stai facendo questo?” chiese. “Sto bene.”
“Non mentire, Frank.”
Si alzò in piedi, puntando il dito verso Markman. “Sto bene. Sei stata tu a farmi uscire. Sto bene.”
Anche lei si alzò in piedi come Frank, ma non era arrabbiata come lui. No, la dottoressa Markman era disperata. Gli porse di nuovo il foglio. “Frank, sei assolutamente sicuro che questo non significhi nulla per te?!” ripetè con urgenza.
Frank prese il foglio dalle sue mani e lo scosse. “E' un'assurdità!” disse con tono feroce. “Non significa nulla. Non ha senso! Lui era pazzo e tu sei pazza a pensare che tutto ciò che ti ha detto significhi qualcosa.”
“Significa qualcosa e tu lo sai. Ti prego, dimmelo. Frank, non capisci...”
“E' un'assurdità!” esplose lui, strappando selvaggiamente il foglio in due. Al tavolo all'angolo, il ragazzo con la testa rasata si scosse con imbarazzo.
Markman si bloccò, vedendo il foglio che aveva portato sempre con se' per una anno intero venir disintegrato in due, e poi in quattro pezzi. “Oh,” disse, scandalizzata. Si rimise sulla sedia, tenendosi la testa dolorante fra le mani.
Fu in quel momento che Frank realizzò quanto la donna fosse triste. Lo sfinimento era evidente sul suo viso e quando si era seduta si accorse che sembrava essere invecchiata di una decade in un solo anno. Si risedette e, sentendosi in colpa, cercò di ricomporre il foglietto.
“Non ti preoccupare,” disse Markman con stanchezza, porgendogli la mano. “Tu stai bene. Era proprio un'assurdità, ma ho pensato che volesse dire qualcosa. Avevo bisogno che significasse qualcosa. Volevo che fosse morto per un motivo.”
Frank spostò gli occhi verso il pezzo di carta. Rilesse di nuovo le parole e un nodo gli si formò nello stomaco. “Almeno tu hai potuto vederlo,” disse piano.
Bevendo un sorso di caffè, Markman realizzò improvvisamente che si era raffreddato. Fece una faccia disgustata e posò il bicchiere di plastica, cercando di pensare a qualcosa di discreto per rispondere al commento di Frank.
“Lo sapeva,” disse.
“No, non è vero,” fece lui tristemente.
“Sì, lo sapeva. Sapeva che lo amavi.”
“Ma non mi ha mai sentito dirlo. Non ho mai...”
Markman scosse la testa. “Lo sapeva, Frank.”
“Come?”
“Sapeva certe cose,” disse lei. Non poteva credere di aver ripetuto quelle parole. Era una frase pericolosa e doveva stare attenta a chi la diceva. Tutti quanti avrebbero pensato che fosse matta ad assecondare quell' illusione, ma Frank capì. Frank sapeva come lei che c'era qualcosa di più profondo.
Lui scosse la testa. “Pensava di sapere certe cose.”
Markman guardò il foglio strappato. “Durante l'ultimo anno del liceo,” cominciò, “Presi fisica perchè il mio tutor mi disse che ne avevo bisogno per entrare all'università di medicina. Quindi partecipai al corso, e odiai ogni singola lezione perchè non ci capivo nulla. C'era un'equazione che non sono mai riuscita a capire, non importava quanto ci provassi, non riuscivo a ricordarmela. Allora, il giorno dell'esame, mi sono scritta quell'equazione e tutti i risultati che dovevo ricordarmi sulla gamba, per poi coprirla con la gonna. Poi, a metà esame, ho copiato l'equazione dalla gamba sul mio compito.”
Frank sorrise. “Hai imbrogliato,” disse, sorpreso.
“Lui lo sapeva,” disse schiettamente Markman.
Il sorriso di Frank scomparve.
“Nessuno ha mai saputo che avessi barato al mio esame finale di fisica. Non l'ho mai detto a nessuno. Ma lui lo sapeva, Frank. Lo sapeva e sapeva anche che tu lo amavi. Sapeva che saresti stato bene. Lo sapeva.”
Frank non ebbe il tempo per rispondere, perchè la sua attenzione si spostò sul nervoso ragazzino che era appena entrato nel locale. Si alzò in piedi, si scusò e corse verso il ragazzo biondo, che stava fermo immobile in un lato della stanza affollata. Lui sembrò davvero sollevato di vederlo, e lasciò che Frank prendesse la sua mano e che lo portasse davanti al tavolo dove c'era Markman.
“Dottoressa, questo è il mio amico, Maes,” disse Frank prontamente, per poi presentare Markman a Maes. “Era la mia terapista,” disse, e Maes annuì, con gli occhi ancora spalancati per la paura. “Lo porto a fare la sua seduta alle due,” disse Frank, guardandosi l'orologio.
“Aspetterò...” fece Maes, indicando un angolo della sala. Frank annuì e il ragazzino se ne andò, tenendo le mani strette nelle tasche del suo giacchetto, come se fosse spaventato che qualcuno potesse toccarle.
Nel breve istante in cui Maes aveva tolto le mani dalle tasche per indicare l'angolo, Markman aveva notato subito il paio di guanti che stava indossando. Li conosceva perchè era stata lei a comprarli.
“Spero che tu sappia cosa stai facendo,” disse cautamente, mentre Frank si risedeva.
Lui si girò a guardare Meas, rannicchiato nell'angolo. “E' proprio come me,” disse, ignorando l'avvertimento della dottoressa. “E' un ragazzo diverso, ovviamente, ma è lo stesso.”
“Frank, fai attenzione.”
Frank si alzò in piedi e sorrise per la prima volta da tutto il giorno. “Certo,” rispose. Prese i pezzi di carta dal tavolo e li mise con cura dentro il portafoglio.
I sospetti di Markman crebbero immediatamente. “Pensavo che avessi detto che era un'assurdità,” disse, alzandosi per guardarlo.
Lui rimise il portafoglio nella tasca dei suoi jeans. “Già,” fece, “ma era la sua assurdità.”
Lei non era convinta, e Frank lo sapeva. Markman sapeva che le parole dovevano significare qualcosa per lui. Significavano qualcosa, ma non gliel' avrebbe mai detto. Markman non l'avrebbe mai saputo, ma non importava. Frank le aveva preso il foglio. Era libera.
“Arrivederci, Dottoressa,” disse, toccandole il braccio in modo affabile.
“Abbi cura di lui,” rispose preoccupata lei, mentre Frank camminava verso Maes.
Lui annuì e mise un braccio attorno a Maes, guidandolo fuori dal bar. Mentre Markman rovistava nella borsa per cercare il suo portamonete, non notò che il ragazzo con la testa rasata si era alzato ed era uscito.
Frank avrebbe dovuto fare molto più che avere cura di Maes. Già, aveva piani migliori e molto più grandi. Avrebbe fatto esattamente ciò che c'era scritto sul quel pezzo di carta delle dimensioni di una carta da gioco.
Frank lo avrebbe guarito.
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A Splitting Of The Mind ITA
FanficTRADUZIONE ITALIANA, ORIGINALE DI @gaiaMDMA su wattpad Gerard Way vede il mondo in modo differente. Solo e segregato in un istituto psichiatrico, afferma di essere braccato, e che la sua mente contenga la chiave dell'esistenza. Davvero Gerard è in p...