Capitolo 10.

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10.

'Tis the season   

 

Avevo un problema.
Non avevo preso niente ad Adam per il Secret Santa.
Ero una persona terribile. Stranamente mi sentivo abbastanza in colpa per questo.
Condivisi questa informazione con Frank, mentre ci incamminavamo per andare all'enorme pranzo di Natale che organizzavano ogni anno. Ce la mettevano sempre tutta a Natale, nel cercare di farci dimenticare che eravamo tutti matti e rinchiusi in un ospedale psichiatrico. Bhè, io non ero matto, e neanche Frank... ma chiunque altro sì.
Frank sospirò e mise su una faccia delusa. Ecco quando mi sentivo davvero in colpa. La delusione di Adam era qualcosa a cui potevo sopravvivere, ma era sempre un brutto momento quando affrontare la sua.
Odiavo il Natale.
Presi un piatto e mi misi in fila per il cibo. Mentre ero in coda riesaminai nella mia testa tutto ciò che conoscevo su Adam. Era un ragazzo. Aveva 17 anni. Era stato rapito dagli alieni mentre nuotava. Niente che mi aiutasse. Ray era in piedi davanti a me e fissai con sguardo assente la simmetrica macchia nera sulla sua giacca. Era collocata esattamente dove pensavo che fossero le sue scapole. Improvvisamente desiderai di essermi preoccupato di partecipare alla sessione di arte che c'era stata recentemente. Se avessi partecipato, forse avrei potuto scoprire cosa piaceva ad Adam. Quindi avrei potuto avere qualcosa su cui lavorare.
Ray si avvicinò al bancone e strappò dalla carta di alluminio un grosso piatto di patate. Mentre lo guardavo fare ciò, giuro che una lampadina accesa apparve sulla mia testa, con un 'ding' risuonante. Era esattamente come succedeva ai personaggi dei cartoni, nei cartoni del sabato mattina.
Dopo aver preso il pranzo mi precipitai di nuovo al mio tavolo e tirai fuori il mio quaderno degli schizzi. Scrissi cosa avevo bisogno che Frank prendesse per me. Avrei potuto prenderlo da solo, ma per farlo avevo bisogno di usare le corde vocali. Sarebbe stato un pericolo abbastanza grande per me, parlare di nuovo e rischiare che Loro mi trovassero, specialmente dopo quello che era successo l'ultima volta. Prima che Frank avesse il tempo di sedersi, gli diedi il foglio e gli tolsi il piatto da sotto le mani. Lui lesse il foglio, mi diede uno sguardo scocciato ed esasperato e tornò indietro al bancone del cibo. Lo guardai attentamente, mentre si piegava per parlare con una delle donne della caffetteria. Diedi uno schiaffo di gioia al tavolo quando ottenne il rotolo di carta stagnola che avevo richiesto, tornando poi di fretta indietro.
“Felice?” chiese, schiaffandomi violentemente il rotolo nella mano tesa. Era abbastanza ovvio che era irritato con me.
Annuii seriamente e gli ridiedi il piatto di cibo che avevo tenuto in ostaggio. Prevedevo che Frank in due minuti avrebbe dimenticato di essere irritato con me e avrebbe cominciato a incuriosirsi sul perché avevo tenuto il suo cibo in ostaggio. Perlustrai la stanza, cercando Adam e trovandolo seduto a uno dei tavoli lontani. Era molto positivo perché avevo fino alla fine di quella volta per confezionare il suo regalo di Natale e, per quanto era lontano, il migliore.
“Cosa stai creando?” mi chiese Frank due minuti dopo, mentre srotolavo circa un metro di carta sul mio grembo. Stavo usando il tavolo come uno scudo per evitare che gli occhi di Adam vedessero ciò che stavo facendo.
Non sarebbe stato il miglior regalo di Natale del mondo per il Secret Santa, ma stavo sperando che fosse abbastanza per lui. Avevo deciso di fargli un cappello. Pensavo fosse stato Ray a dirmi che la tecnologia aliena non poteva penetrare attraverso i cappelli di carta stagnola, che successivamente significava che le specie aliene non potevano leggerti nella mente.
Forte, huh? Bhè. Sapete, sarebbe anche potuto essere, se non fossero state un mucchio di stronzate. Comunque, non mi potevo permettere il lusso di essere scettico al momento. Era colpa mia se non avevo preso prima un regalo ad Adam. Plasmai il foglio a forma di scodella; la sua circonferenza era come credevo che dovesse essere la circonferenza della sua testa. Feci anche il cappello più profondo, in modo che Adam non avrebbe dovuto preoccuparsi del fatto che sarebbe potuto cadere.
Per tutto il tempo per cui feci questo, Frank mi guardò con un leggero sguardo di incredulità sulla faccia. Proprio come quando mangiava, mantenne perfettamente lo sguardo. Quando finii alzai il cappello per farlo vedere a Frank e lui abbassò dubbioso un sopracciglio verso la mia bellissima creazione.
Lo guardai accigliato e la misi via sotto al tavolo, in modo che non si vedesse. Sperai almeno che qualcun altro avesse dimenticato il regalo, così il mio non sarebbe sembrato così brutto.
Praticamente buttai il resto del mio pranzo quando tutti cominciarono ad alzarsi per prepararsi allo scambio di regali. Afferrai il cappello di carta stagnola e mi sedetti nel cerchio, ignorando gli sguardi strani che stavo ricevendo. Frank si sedette accanto a me, come faceva sempre, che fosse arrabbiato con me o no.
Ray si sedette dall'altra parte e mi diede una gomitata sul braccio. “Buona idea!” sussurrò, annuendo verso il cappello che tenevo in mano.
Davvero? Ray pensava che fosse una buona idea? Lo fissai, cercando nel suo viso qualche accenno di presa in giro. Ma non ce n'era nessuno. Improvvisamente mi sentii un po' meglio per il mio regalo.
Guardai attorno al cerchio. Bob aveva un bellissimo fiore blu appoggiato sulla pancia. Ray aveva un pacchetto incartato male. Hayley stava tenendo un solo foglio sul suo petto, nascondendo da occhi indiscreti il disegno dall'altra parte. Le falangi sui guanti di Frank erano avvolte protettivamente attorno al suo regalo.
Lo scambio di regali andò sorprendentemente bene. Cominciò Hayley, dando il suo regalo a Bert. Poi Bert si alzò e diede il suo regalo a Bob. Bob poi si alzò in piedi, con il fiore blu stretto fra le mani come se fosse il corpo fragile di un neonato. Camminò verso Frank che, notai, aveva smesso di respirare. Bob porse il fiore a Frank, con uno sguardo gioioso ma incredibilmente innocente sul viso. Frank, ricordandosi di respirare di nuovo con un rantolo, accettò la rosa.
“Grazie, Bob,” disse piano.
Mi chiedevo dove Bob avesse preso il fiore, ma non me ne curai particolarmente. Sapevo che non importava quanto bello fosse, non sarebbe mai stato bello come Frank. Non importava quanto il fiore ci potesse provare, non avrebbe mai potuto compararsi. Non ai miei occhi, comunque.
Non stavo prestando attenzione quando Adam si avvicinò a me con il suo regalo.
“Mi dispiace, Gerard,” mormorò. “Non sapevo cosa darti.” Mi porse la matita come se gli stesse bruciando le dita. Gliela strappai dalle mani nervose e la esaminai. Era una normale matita, come mille altre che avevo sparpagliate nella mia camera. Invece di mostrare la mia delusione, cercai nella mia tasca una vecchia matita che avevo riposto lì la settimana precedente. Era la mia matita preferita, ma l'avevo temperata fino a ridurla ad un mozzicone di tre centimetri. Adesso era inutile, o così pensavo. Mostrai ad Adam il mozzicone della matita e provai a spiegargli che ne avevo bisogno di una nuova, perciò il suo regalo era perfetto. Per dimostrare ciò, misi la matita di Adam nella cartella della mia agendina da disegno. Ciò lo rincuorò immensamente, facendolo tornare al suo posto ancora col sorriso. Come rimisi l'agendina di nuovo dentro la tasca, feci in modo che nessuno vedesse le altre tre matite che avevo messo via.
Era il mio turno di dare il regalo ad Adam. Imbarazzato, gli porsi il cappello e lui lo prese, con sguardo sorpreso. L'unico rumore nella stanza veniva dall'accartocciarsi della carta, mentre Adam esaminava il cappello. Era come se non avesse nessuna fottuta idea di cosa fosse. Era una situazione davvero imbarazzante e mi sentivo come uno stupido. Tutti quanti stavano fissando me e il mio stupido regalo. Deglutii il groppo che avevo in gola e spostai gli occhi sul pavimento.
“Lascia che ti faccia vedere,” esclamò Ray alzandosi dal suo posto. Si mise davanti ad Adam e gli prese il cappello dalle mani. Ray gli mise il cappello con attenzione, modellando la carta d'alluminio in base alla sua testa, in modo che gli stesse meglio. “Ora non possono leggerti la mente,” lo informò, come se fosse un dato di fatto, lasciandomi sbalordito.
Adam guardò con aria infantile e stupefatta fra me e Ray. “Questo li fermerà?” chiese incredulo, come se non potesse credere alle sue orecchie.
Feci spallucce e annuii. Mi sorrise radiosamente, come se gli avessi appena dato un milione di dollari. Mi ci volle mezzo secondo per tornare al mio posto e portarmi fuori da sotto i riflettori. Che esperienza traumatica. Grazie a Dio sarebbe passato un anno prima di rifare una cosa del genere.
Odiavo il Natale.
Il mio comportamento in quella seduta doveva aver compensato dal mio comportamento a pranzo, perché dopo che mi sedetti, la mano guantata di Frank si appoggiò sulla mia coscia. Lasciò che la mano si soffermasse per un breve secondo; lungo abbastanza per farmi realizzare che era un gesto intenzionale. Poi, veloce come aveva avuto contatto con la mia gamba, la sua mano scomparì di nuovo nel suo mondo personale. Mi girai per guardare Frank, ma lui evitò il mio sguardo e invece cominciò a fissare il suo fiore blu.
Il Secret Santa era finito e io e lui tornammo al nostro tavolo. Ci eravamo appena seduti, quando Ray ci annunciò la sua presenza e chiese di sedersi con noi.
“Per favore?” ci supplicò, come se sedersi al tavolo con noi avesse potuto curare il cancro o qualcosa del genere.
Frank guardò me, e io guardai Ray. Non volevo davvero dire “sì”, ma non avevo nessuna buona ragione per dire no. Frank mi rompeva sempre sul fatto di essere carino con Ray. Inoltre, Ray mi aveva dato una mano con il regalo di Adam. Ero in una specie di debito con lui. Così sospirai e annuii.
Era stata una cattiva idea. Sapevo che avrei dovuto fare ciò che io volevo fare. Perché? Perché precisamente due minuti dopo che Ray si sedette, Bob si avvicinò al tavolo e ci chiese se si poteva unire a noi. Così, dovetti dire di sì. Non potevo proprio dire di no. Non dopo che avevo permesso a Ray di sedersi al nostro tavolo. Annuii di nuovo, estremamente riluttante, e Bob si sedette.
Avevo aperto i cancelli dell'inferno. Che fottuto idiota. Una volta che Adam e Bert video che avevo permesso a Bob e Ray di sedersi con noi, corsero di fretta verso il tavolo, come insetti attirati dalla luce. 
Dovemmo risistemare l'ordine dei posti, ma eravamo comunque finiti tutti e sei ammassati in un tavolo che raramente vedeva più di due occupanti. Ero seduto nel mezzo della panca con Frank accanto a me e Ray dall'altro lato. Bob, Adam e Bert occupavano la panca di fronte.
Ray aveva afferrato il foglio di carta d'alluminio rimasto e stava facendo altri cappelli. Doveva ovviamente avere più esperienza di me con quel progetto, perché il suo era dieci volte meglio. Adam e Bert lo stavano aiutando con entusiasmo, mentre Bert chiedeva se quelli avrebbero potuto nasconderlo da 'Godzilla'. Frank stava parlando del suo fiore con Bob. Io non stavo parlando con nessuno. Nessuno stava parlando con me.
Nessuno non voleva più parlare con me.
Chi stavo prendendo in giro?
Non era che nessuno volesse più parlare con me; era che nessuno aveva mai voluto parlare con me comunque.
Tranne MarkmanLei voleva sempre parlare con me. Ma lei non contava. Lei era pagata per parlare con me.
“Adam e Ray, i vostri genitori sono qui!” Zach interruppe la mia autocommiserazione. Il giorno di Natale un sacco di parenti si presentavano intorno alla metà del pomeriggio per andare a trovare i loro bambini. Bhè, i genitori a cui importava.
Adam e Ray uscirono fuori con eccitazione per incontrare i loro genitori, lasciando noi quattro al tavolo. Questo mi fece un po' piacere. Se quella situazione fosse stata un'equazione, allora sarebbe potuta essere risolta se avessimo perso ancora il cinquanta per cento delle variabili.
La mamma di Bob arrivò dieci minuti dopo e Bert fece la saggia scelta di lasciare il nostro tavolo con Bob. Pensavo si ricordasse del nostro primo incontro. L'incontro dove gli avevo detto che se si fosse seduto di nuovo al mio tavolo, avrei detto a 'Godzilla' dov'era. Cavolo, ero proprio uno stronzo.
Frank si spostò dall'altra parte del tavolo in modo che fossimo di nuovo faccia a faccia. Preferivo sedermi in questo modo, chiaramente perchè era più facile vedere il suo viso perfetto. Era di nuovo giù di morale ora che tutti se n'erano andati e aveva cominciato a guardare in modo assente fuori dalla finestra. Tirai fuori dalla tasca il mio blocco da disegno e la matita di Adam. Il mio blocco da disegno era tutto per me. Pensavo di poter morire,se mai gli fosse successo qualcosa.
Girai una nuova pagina e premetti la matita sul foglio. Avevo deciso il mio prossimo progetto. Stavo per disegnare Frank. E stavo per farlo bene questa volta, al contrario del terribile disegno che gli avevo fatto la prima volta che l'avevo visto. Studiai Frank per un paio di secondi, poi abbassai gli occhi e trasferii ciò che avevo visto sul foglio. La mia testa fece su e giù rapidamente mentre memorizzavo una linea per poi trascriverla sul foglio. Ci volle un po' per Frank prima che realizzasse cosa stavo facendo, e quando lo capì ne rimase terrificato.
“No, no. Non disegnarmi. Ti prego. Non sono un buon modello. Non sono abbastanza o bello abbastanza. Sono troppo...”
Fissai Frank intensamente. Sapevo la parola sospesa sulle sue labbra pallide. Brutto. Stava per definirsi brutto. Ma non glielo avrei permesso. Non era vero. Non gli avrei permesso di dirmi una bugia così palese.
Alla fine gli feci abbassare gli occhi e la parola velenosa scomparve dalle sue labbra. Diventò silenzioso e incrociò le braccia. Invece di protestare, mi guardò lavorare, con uno sguardo di rimprovero sul volto. Mi rese ridocolosamente felice avere l'opportunità di poterlo immortalare sulla carta, quindi fui indifferente alla sua assenza di entusiasmo.
Comunque, più i minuti passavano e il mio disegno diventava maggiormente definito, più l'atteggiamento critico sembrava scomparire. Fissò il mio disegno, guardando mentre prendeva vita sulla carta. Ogni volta che alzavo gli occhi verso Frank, li alzava anche lui e avevamo un contatto visivo. Ogni volta. So che suona davvero patetico e stupido, ma ogni sguardo che ci scambiavamo mi faceva balzare forte il cuore nel petto.
“I tuoi genitori sono qui, Frank.” Ben sembrò materializzarsi accanto al tavolo e si rivolse a Frank.
La testa di Frank si spostò verso la porta a vetri scorrevole così velocemente che mi sorpresi che non avesse schioccato. Si alzò per metà dal suo posto per avere un aspetto migliore. Il mio cuore affondò così tanto nel mio corpo che mi senti male. Sapevo che dovevo lasciare Frank da solo per un po'. Era passato tanto tempo da quando aveva visto i suoi genitori e sapevo che sarei solo stato di troppo. Buttai giù una nota per Frank su un pezzo di carta e raccattai le mie cose. Mi alzai e feci scivolare il pezzo di carta davanti a lui. Analizzò la nota che lo informava che lo avrei lasciato per un po' da solo con i suoi genitori. Quando Frank non reagì a cosa avevo scritto, cominciai ad allontanarmi da lui verso la mia camera. Lo avevo appena sorpassato quando lui riflessivamente si girò e mi prese il braccio, facendomi perdere l' equilibrio e facendomi tornare di nuovo al tavolo.
“Non andare. Ti prego, resta con me.” Appena Frank finì di parlare, annuii. La sensazione di malattia nel mio stomaco si intensificò quando realizzai che non mi stava semplicemente chiedendo di restare con lui, mi stava letteralmente implorando.
Dopo la sua richiesta, mi sedetti accanto a lui. Di nuovo stavo prevedendo l'imbarazzo. I genitori di Frank non mi avrebbero voluto lì. Lo sapevo. Deglutii un paio di volte e mi chiesi cosa stesse dicendo loro Markman. Li aveva fermati prima che entrassero nella caffetteria ed erano rimasti a parlare per i cinque minuti che erano passati.
Ora, non avevo mai incontrato prima i genitori di Frank e non sapevo nulla su di loro. A parte questo, avevo già un'immagine nella mia testa di come mi aspettavo che fossero. Tutto ciò che sapevo era che erano ignoranti e si erano davvero vergognati di ciò che era successo a Frank. Come entrarono nella caffetteria e cominciarono ad avvicinarsi al tavolo, li esaminai. La mamma non era per niente come l'immagine che avevo nella mia testa. Pensavo a lei come una snob d'alta classe che vestiva abiti di marca costosi. Ma non era così. Sembrava una mamma normale. Indossava un vestito tutto blu e un grande cardigan sulle spalle.
Il padre di Frank, dall' altra parte indossava un completo. Era il giorno di Natale e stava facendo visita a suo figlio in un istituto mentale; la sua scelta di abbigliamento mi confuse. Non stava andando a una riunione o a un ristorante costoso. Chi voleva impressionare? Pensava che le persone non l'avrebbero giudicato se fosse sembrato importante? O, sospettai, si era vestito in quel modo per distrarre le persone dal fatto che era così ovviamente imbarazzato di stare lì?
“Frank!” la mamma, comunque, sembrava davvero felice di essere lì. L'autentico piacere che aveva nel rivedere suo figlio di nuovo sembrava essere attaccato pure a Frank, perchè lui sorrise appena la salutò.
Lei si fermò appena raggiunse il tavolo e porse una mano. Fu quando realizzai cosa Markman avesse detto ai genitori di Frank. Aveva detto loro della sua forte avversione riguardo l'essere toccato. Markman li aveva avvisati di non provare ad abbracciarlo o stringerlo in nessun modo. Frank porse la mano guantata a sua madre e lei la strinse forte alla sua, sorridendo tristemente a suo figlio. Quando la lasciò andare, Frank si girò verso suo padre, che stava stendendo la mano freddamente. Si strinsero la mano in modo inquieto, qualcosa che presumetti non avessero mai fatto prima.
Una volta che i genitori si sedettero di fronte a lui e me, Frank mi presentò. “Mamma, Papà,” disse, guardando a turno tutti e due. “Questo è il mio amico, Gerard.”
Sua madre mi salutò calorosamente e sentii una specie di affezione verso di lei. Suo padre, invece, fu freddo come il sottile strato di ghiaccio che ricopriva tutte le finestre della caffetteria. Decisi che non mi piaceva.
Frank cominciò a descrivere un giorno ordinario per i suoi genitori, alla domanda di sua madre “dimmi tutto”, come aveva chiesto.
Tirai fuori la matita di Adam dalla tasca e la rigirai spensieratamente fra le mani, mentre Frank parlava. Era interessante sentirlo descrivere un giorno. Mi fece chiedere se effettivamente fosse residente nello stesso posto dove stavo io.
La mamma commentò in tutti i modi possibili. Lo considerai un modo da parte sua di interagire con Frank. La sua risposta sembrò un po' troppo premeditata e prudente. Era spaventata. Spaventata di dire qualcosa di sbagliato. Potevo quasi respirare quanto si sentisse colpevole. Non era solo il tipico senso di colpa che aveva una madre che aveva confinato suo figlio in un ospedale psichiatrico. A quanto mi dissi fra me e me si sentiva più colpevole della sua ignoranza su ciò che era successo, che di ciò che stava accadendo a Frank.
Stava tenendo il segreto e mi stava facendo diventare pazzo per cercare di capire.
“La dottoressa Markman dice che stai migliorando,” disse lei raggiante, cambiando il soggetto dal cibo, alla salute di Frank.
Frank e io ci guardammo l'un l'altro. Perchè diceva questo? Entrambi sapevamo che lui aveva ancora molta strada da fare prima di andarsene. Era la fottuta dottoressa, non avrebbe dovuto saperlo?
“Presto potrai tornare a casa.”
Smisi di rigirare la penna e fissai assiduamente il disegno inciso nel tavolo di metallo. Sapevo dove avrebbe portato quella conversazione. Mi sentivo di nuovo male.
Frank rimase in silenzio per un momento, pensando intensamente tanto quanto io stavo fissando il tavolo. “Credo,” disse.
Il padre decise di intervenire e, seriamente, avrei preferito che non lo avesse fatto.
“Ma manchi a tutti,” disse.
“A chi?” schioccò Frank. Sapeva di non aver nessun amico a casa. Nessuno avrebbe chiesto di lui.
“Tutti. Sai? I vicini e alcuni amici di famiglia. Manchi a tutti.”
Strizzai la penna nella mia mano e mantenni gli occhi bassi. Accanto a me, la gamba di Frank si muoveva con rabbia. “Cosa gli avete detto?” chiese, con la voce a livello misurato. “Cosa vuoi dire?” la mamma di Frank aveva realizzato che la situazione si stava deteriorando e stava disperatamente cercando di calmare le acque.
“Avete detto loro che sono in un costoso collegio Svizzero? O che sto da uno zio in Canada? Oh, oh, lo so, sono in una prestigiosa scuola di comportamento maschile dall'altra parte del paese, non è vero?” La voce di Frank grondava di sarcasmo.
Avrei scelto la terza opzione.
I genitori non risposero e il mio cuore affondò. Odiavo aver ragione riguardo cose terribili come queste. Perchè non potevo aver ragione sui numeri della lotteria, in modo da poter uscire fuori da quel buco infernale?
“Bhè?” chiese Frank, guardandoli entrambi.
“Smettila di fare lo sciocco,” disse duramente il padre.
La madre arricciò le labbra e gli lanciò uno sguardo di disgusto. Improvvisamente ebbi un'altra illuminazione su quale fosse il segreto della mamma di Frank. Ma non volevo pensarci. Non credevo che lui avesse potuto sopportare di sentirlo in quel momento. Diedi un'occhiata alle sue mani e la mia peggior paura fu confermata.
“Non sto facendo lo sciocco,” disse Frank con rancore.
"Sì invece. Sei sempre stato sciocco. Sei sciocco, non pensi e poi ti trascini nelle situazioni. Se solo fossi cresciuto e ti fossi comportato come uno della tua età per una volta in vita tua, non saremmo stati qui.”
La madre si allungò tavolo e prese la mano di Frank. “Non voleva dire questo, tesoro. Non è colpa tua. Frank, noi-.”
“-dov'è la vostra fede?” si lasciò sfuggire lui, spostando lo sguardo in tono d'accusa dalla mano di sua madre alla sua faccia.
Il padre fu troppo lento e non mosse in tempo la sua mano dal tavolo. Frank lo guardò e istantaneamente capì che anche la fede di suo padre era assente. Tutto ciò che si poteva vedere era la sottile striscia di pelle sul dito dove stava l'anello, che era più pallida del resto. Frank ritrasse le mani sotto al tavolo e le unì insieme, in preda al panico.
“C-Co-Cosa? Perchè? Che succede?” chiese.
Da quando quella visita era cominciata, avevo notato che Frank stava diventando sempre di più visibilmente sconvolto. I suoi occhi stavano diventando rossi e il mento stava tremando. Non era come se stesse per cominciare a piangere, era più come se stesse cercando di imbottigliare troppe emozioni perchè il suo corpo riuscisse a contenerle. Improvvisamente sperai che i suoi genitori se ne andassero.
“Non vi amate più?” domandò, chiaramente angosciato. “Per quanto? Da quanto?”
“Oh, non lo so. Non è chiaro, piccolo,” mentì.
“E' successo dopo che me ne sono andato, non è vero? Non mentitemi!” esclamò appena sua madre scosse la testa.
“Sì, Frank. Ci siamo separati un mese dopo che sei venuto qui,” disse bruscamente il padre.
“E' colpa mia,” dichiarò lui. I suoi genitori non risposero velocemente come speravo che facessero. “Oh, Dio,” gemette Frank, tenendosi la testa fra le mani e nascondendo la faccia da noi tutti.
“Lo vedi cosa hai fatto?” disse arrabbiata la madre.
“Oh, è colpa mia? Non voleva che gli mentissimo. Se vuoi che lo tratti come un bambino, va via. Lui ha bisogno di crescere e reggersi in piedi da solo.” Il padre sbattè il pugno sul tavolo con rabbia.
“Come osi dire ciò?! Come osi!”
“E' il mio stipendio che paga questo posto e dico quello che voglio. Se tu avessi fatto più attenzione al genere di persone con cui usciva...” il padre di Frank lasciò la frase aperta, ma non aveva bisogno di interpretazioni.
Improvvisamente mi accorsi che la parte inferiore della mia mascella era sul pavimento. Bhè, non letteralmente, ma ero così sbalordito che mi sentivo così. Non riuscivo a credere a ciò che stavo sentendo e vedendo. I genitori di Frank erano nel mezzo di una devastante conversazione su chi incolpare per lo stupro di loro figlio. Se c'era qualcuno da incolpare, erano i due bastardi che l'avevano fatto, prima di tutto. Nessuno dei due genitori aveva provato a consolare Frank o a spiegargli le condizioni della loro separazione. Strinsi con rabbia il pugno attorno alla matita e digrignai i denti.
“Oh, ora è colpa mia!? Stavo lavorando tanto quanto te. Sei responsabile quanto me.”
“A malapena. Se non lo avessi viziato così tanto, forse non sarebbe diventato così -” Il padre fu bloccato dalla madre prima dell' esclamazione indecente.
Accanto a me, Frank aveva cominciato a piangere, ma sapevo che nessuno dei due genitori l'aveva notato. Erano troppo impegnati nel loro piccolo mondo perchè importasse. Realizzai in quel momento perchè non avessero notato lo strano comportamento di Frank dopo lo stupro. Erano troppo egoisti e egocentrici per occuparsi di loro figlio. Persone come queste non avrebbero dovuto avere bambini. Non se non potevano seguirli diligentemente.
La matita che tenevo in mano si spezzò in due quando la strinsi furiosamente. Lanciai i pezzi di legno e grafite sulla superficie del tavolo, facendo sorprendentemente molto rumore. Sapevo cosa dovevo fare. Non avevo scelta.
“SMETTETELA!” urlai e mi alzai in piedi, irritato. Sapevo che l'azione del minuto seguente mi sarebbe costata, ma non mi importava. Lo stavo facendo per Frank.
Anche il padre si alzò. “Non so chi ti credi di essere, ragazzo, ma cerca di restare fuori dagli affari altrui,” ringhiò, scuotendo il suo dito accusatore verso di me minacciosamente.
Girai attorno al tavolo per stargli faccia a faccia. Ero alto quanto lui, fortunatamente. “Andate via,” insistetti. “Lasciate questo posto, ora.”
“Non provare a minacciarmi,” soffiò lui, usando il dito per colpirmi duramente sul petto.
Mi ci volle ogni minimo osso per mantenere l' autocontrollo del corpo e per non prendere il dito e spezzarglielo in due. Sapevo che avrei potuto farlo. Avrei potuto probabilmente rompere anche il suo polso. Con un rapido movimento l'avrei potuto far contorcere sul pavimento. Ma non lo feci. La rabbia che mi era salita sul viso dai miei piedi restò contenuta, mentre guardavo l'uomo che aveva reso Frank così triste in quel giorno in cui lui sarebbe dovuto essere felice.
“Lascerete questo posto. E non tornerete fino a quando Frank non vi inviterà specificatamente. Ve ne andrete da qui e lascerete che Frank continui la sua vita. Ve ne andrete. Ora. Non avete il diritto di tornare qui e comportarvi in quel modo che ha chiaramente lasciato Frank sconvolto e afflitto. Non c'è nessuno da incolpare per ciò che gli è successo, eccetto quelle due persone che hanno commesso quell'atto orribile. Ne' lei, ne' sua moglie, ne' Frank siete responsabili di ciò che è successo. Quello che gli è capitato non è nulla di cui vergognarsi, ma mi sta diventando abbastanza chiaro che il vostro senso comune è stato oscurato dal vostro egoismo e dalla vostra avidità. Suggerisco di svegliarvi dal vostro stupore e realizzare che avete un figlio straordinario.”
Mi fermai per riprendere fiato e mi preparai ad affrontare la replica del padre di Frank, ma quella non arrivò. Sembrava davvero sconvolto, invece di essere arrabbiato. Guardò Frank che ora stava fissando entrambi, deglutendo rumorosamente. I suoi occhi erano umidi di lacrime e sapevo che suo padre aveva capito ora di essere il responsabile di quelle lacrime. Quello fece un passo indietro da me e guardò sua moglie. Poi, senza una parola, i due se ne andarono, atterriti e imbarazzati.
Appena lasciarono la stanza, mi guardai attorno. Tutti mi stavano fissando. Di nuovo. In aggiunta a questi sguardi, notai che Ben e Zach stavano in piedi prudentemente vicino al tavolo. Era più come se si stessero preparando a porre fine a una battaglia. Sicuramente non pensavano che potessi far male al padre di Frank, non è vero? Solo una persona nella stanza si stava muovendo, ed era qualcuno che non vedevo da un po'.
Jasper si stava facendo strada fra i tavoli davanti a me, scuotendo la testa con un espressione di orrore ingessata sul viso serio. Ogni due passi si guardava dietro le spalle.
Sapevo chi stesse cercando.
Loro stavano arrivando. E sapevo che questa volta mi avrebbero preso. Ero stato capace di scappare una volta. Nessuno era così fortunato due volte. Mi portai le mani alla bocca, terrificato, ed esaminai tutte le finestre. Mi aspettavo di vedere le loro dita aggrappate sulla finestra da un momento all'altro.
Sentii un trambusto alla mia sinistra e girai la testa per vedere. Frank si era alzato dalla sedia ed era corso verso l'ala ovest. Jasper mi raggiunse e prese rudemente il mio braccio.
“ hanno visto tutto. Loro sanno di lui. Loro stanno arrivano a prendere anche lui.”
Il terrore e la paura mi inondarono per un secondo, quando realizzai cosa avevo fatto. Dovevo salvarlo. Loro stavano arrivando per me e avrebbero usato Frank per farlo. Girai i tacchi e corsi velocemente dietro a Frank, ignorando le persone dietro di me che chiamavano il mio nome e stendevano le braccia per fermarmi. Le mie gambe si caricarono di nuova adrenalina mentre correvo verso la camera di Frank e sbattevo la porta aperta, chiamando con urgenza il suo nome.
Ma la sua camera era vuota e ciò poteva significare solo due cose. La prima opzione mi volò attraverso la mente, ma fisicamente feci smettere al mio cervello di pensare alla seconda opzione. Invece mi comportai come la prima e girai l'angolo per andare verso le docce, pregando ogni Dio di cui avevo sentito parlare che Frank fosse lì.
Non sapevo quale Dio mi avrebbe aiutato, ma non mi importava. Tutto ciò che mi importava era che la prima cosa che avevo visto quando avevo aperto la porta era stata lui. Era in piedi, completamente vestito, sotto il getto della doccia, tremando incontrollabilmente. Entrai nelle docce e chiusi la porta dietro di me. Una porta chiusa non li avrebbe fermati, ma forse li avrebbe rallentati. O meglio, speravo che potesse rallentarli.
Andai di corsa verso Frank, una nuova sensazione di emergenza si impossessò di me. Loro non lo avevano ancora preso. Questo significava che avevo ancora una chance di proteggerlo. Avrei fatto tutto, se questo significava salvarlo. Mi sarei costutuito se lo avessero lasciato solo. Era troppo tardi per scappare adesso. Dovevo scendere a patti. La mia vita o quella di Frank. Non avevo mai dovuto pensarci. Automaticamente decisi che avrei dovuto farlo.
L' acqua che uscì dalla cima della doccia era fredda in maniera glaciale e in un paio di secondi dopo sotto il getto con Frank, i miei denti cominciarono a battere incontrollabilmente e i vestiti mi si incollarono alla pelle.
“Frank, dobbiamo uscire da qui.”
Lui mi guardò con indifferenza.
“Ti prego. Loro stanno arrivando.”
In quel momento ebbe una reazione. L'orrore attraversò il suo viso e odiai il fatto di averlo spaventato. Stese le mani e mi afferrò le braccia, strattonandomi verso di lui. Le sue dita, ancora coperte dai guanti fradici, si spostarono per toccare le mie labbra.
“No, no, no, no, no, no, no.” Continuò a ripetere la sillaba più e più volte mentre me le toccava. “Perchè hai aperto la bocca, Gerard? Perchè l'hai fatto?”
Stavo per rispondergli, ma lui mi bloccò. “Non sai cosa significa questo?” domandò, le sue parole appena distinguibili sopra il rumore delle docce. “Non lasciarmi,” mi pregò.
Non capivo. Non stavo andando da nessuna parte. Non l'avevo chiarito? Dovevo proteggerlo. Diedi un'altra nervosa occhiata attorno alla stanza, ma non c'era traccia di loro. Non ancora.
“Non capisci?” urlò lui. “Ogni volta che ti comporti così Markman ti porta via da me. Perchè hai aperto la bocca? Tutto quello che hai fatto è stato dare a Markman una ragione per portarti via da me. Non lascerò che lei ti porti via. Ho bisogno di te, Gerard.”
Non sapevo di cosa Frank stesse parlando. Ogni volta che mi comportavo come? Cosa significava? Feci un passo indietro dall'acqua gelata e guardai di nuovo attorno alla stanza. Un grido di spavento uscì dalle mie labbra quando vidi delle ombre scure che volavano attraverso la finestra, verso il muro lontano. Lottai per trattenere la presa di Frank, ma tutto quello che riuscii a fare fu togliere il guanto dalla sua mano destra. Tirai disperatamente il guanto bagnato sul pavimento e mi rigirai verso di lui.
Loro sono qui,” gli dissi, tendendogli implorante la mia mano.
Frank mi sorprese balzandomi addosso e avvolgendo le sue braccia attorno al mio petto, seppellendo la sua faccia fra le mie spalle. “Non sono reali, Gerard,” disse, con voce soffocata. Cercai di levarmelo di dosso, ma era incollato a me come una sanguisuga. Lui saltò in piedi e mi avvinghiò le gambe attorno alla vita. Per un momento pensai che le mie gambe cedessero sotto il peso improvviso e inaspettato. Tenni ferma una mano per sostenere Frank, mentre l'altra che usavo per mantenermi in , la appoggiai al muro. Non ero mai stato così vicino a lui, ma solo perchè non avevo avuto l'occasione di farlo. Il cuore mi battè dolorosamente nel petto, mentre alzavo lentamente la testa per guardare di nuovo la finestra.
Quando vidi le dita avvinghiarsi sul davanzale, sentii i soffocanti, debilitanti sintomi di terrore che tornavano. Le ginocchia cedettero sia per il peso di Frank, sia per la paura. Era l'esatto contrario di quello che volevo che facessero. Volevo correre, ma il mio corpo si rifiutava di cooperare, e così anche Frank.
La mia mente andò in bianco quando guardai le dita avvinghiate al davanzale della finestra, ora attorno al bordo della porta. La mia mente era andata in bianco solo una volta e questo mi aveva fottutamente spaventato. Il mio cervello era incredibile; non andava mai 'in bianco'. Qualche volta la grandezza dei pensieri che lo attraversavano non mi faceva dormire. Dove andava tutto?
Realizzai di essere collassato in una delle grandi pozzanghere d'acqua, direttamente sotto il violento e gelato getto della doccia. Frank si era solo stretto più forte a me e strinse la presa fino a far male. Usai la mia mano libera per trascinarmi indietro, mentre Loro cominciavano a entrare nella stanza attraverso la finestra e la porta. Strisciarono attraverso la finestra come serpenti e si trascinarono oltre la porta come se fossero in processione. Le gambe scivolarono inutilmente sulle piastrelle umide, mentre mi spingevo di nuovo verso il muro. Frank era un peso morto che non riuscivo a tenere. Potevo sentire il suo naso e le sue labbra premute sull'incavo del mio collo, stava tremando incontrollabilmente per il freddo. Se non fosse morto quel giorno a causa loro, ero sicuro che si sarebbe preso la polmonite. In tutti e due i casi, sarebbe stata colpa mia.

A Splitting Of The Mind ITADove le storie prendono vita. Scoprilo ora