Capitolo 15

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15.

You Don’t Get Mood Swings From Eating Cornflakes

 

“Sembri insolitamente felice oggi, Gerard,” commentò Markman, tirandosi avanti per appoggiare i gomiti sulla scrivania.
Mi irrigidii, cercando di immaginare i miei lineamenti facciali. Stavo sorridendo? Probabilmente sì. Era stato un caso, comunque, una svista. Non avevo intenzione di sorridere. Bhè, almeno non davanti a Markman. Frank era un'eccezione. Frettolosamente abbassai gli angoli delle labbra per formare uno sguardo corrucciato, e lo rivolsi subito nella sua direzione.
Markman non si turbò per il mio sguardo. Sapeva di avermi colto in un momento di debolezza. Il mio unico desiderio era che non avesse dedotto da quel sorriso la mia intenzione di scappare. Sembrava un po' esagerato mettere tutte queste cose assieme, ma l'avevo già sottovalutata una volta, e l'avevo pagata cara.
“Stai programmando qualcosa?” scherzò.
Sapevo che stava scherzando, ma questo non mi impedì di farmi sentire preoccupato. Aveva i suoi modi per capirlo.
Sapevo che se fossi restato ancora in quella stanza, avrei potuto tradirmi. “Posso andarmene?” chiesi. Erano passati solo quindici dei quaranta fatidici minuti.
“No.”
Cazzo. Pensai di averla resa ancora più sospettosa, chiedendo di andarmene. “Bene,” dissi imbronciato.
Markman mi squadrò, sospettosa. Assumetti un'espressione innocente. Mi stava guardando un po' troppo intensamente per i miei gusti. Evitai di guardare altrove, per evitare di incrementare ancora i suoi sospetti. Sapeva che stava succedendo qualcosa.
Gesù Cristo, donna! Esci dalla mia testa!
Strinsi gli occhi verso di lei. Se puoi sentirmi, guarda da un'altra parte, ora. Dissi la frase nella mia testa e appena la completai, Markman si risedette e interruppe il contatto visivo.
Accidenti, porca puttana. Era stata una coincidenza, va bene?
“Mi dispiace ricordartelo, Gerard, ma è passato un mese dai tuoi ultimi esami del sangue.”
Una sola goccia di sudore cominciò a corrermi sul lato della faccia. Ero totalmente conscio di tutto il suo viaggio dalla mia fronte, fino al colletto.
“No.”
“No?” sembrava sorpresa. Era seria? Insomma, si aspettava veramente che dicessi “ma sì, certo”, facendola facile? Stronza.
“No!” esclamai, stringendo con forza le braccia al petto, per proteggere le mie vene.
Cercò di farmi ragionare. “Gerard, ti prego, non fare il difficile.”
Ero io il difficile? Seriamente!? Ma che cazzo? Voleva infilarmi un pezzo di metallo nella pelle e nelle vene, per poi estrarmi Dio solo sa quanto sangue. No! Non doveva succedere. No.
Markman sospirò. “Non puoi negoziare. Possiamo farlo ora o più tardi, ma dobbiamo farlo oggi.”
“La prossima settimana?” Ah, se tutto fosse andato secondo i piani, non sarei nemmeno stato lì la settimana successiva.
“No,” disse lei con fermezza; il mio cuore affondò.
Cercai di arrampicarmi sugli specchi. “Domani!” insistetti.
No.
“Che cazzo di cretinata,” mormorai con rabbia, sbuffando.
“Sta attento a quello che dici,” schioccò lei.
Alzai lo sguardo, sorpreso. Non aveva mai alzato la voce con me, soprattutto non per le mie imprecazioni. Stava succedendo qualcosa. “Qual'è il suo problema?” chiesi.
Non ne rimase colpita. Bhè, non era mai colpita da me. Era sempre delusa o scontenta del mio comportamento. Non facevo mai niente di buono, e quando lo facevo si limitava a sorprendersi o a scrutinarmi intensamente. Era abbastanza irritante.
Markman non rispose alla mia domanda. Tornammo di nuovo in silenzio. Era successo un sacco di volte ultimamente. Era come se non sapesse pensare a cosa rispondermi. Comunque non era il nostro consueto silenzio; quel vecchio silenzio sfumato di fastidio e aspettazione che avevamo l'uno per l'altro. Questo nuovo silenzio era diverso; come se lei si sentisse colpevole. Si sentiva colpevole perchè sapeva che ero nei guai e sapeva che non c'era niente che potesse fare. Non ne avevamo mai parlato. Nessuno dei due aveva mai menzionato quel fottuto interrogatorio che avevo fatto la settimana passata, o cosa avevo detto. Non avevamo nemmeno parlato di quello che avevo fatto.
Sospirai un po' troppo esageratamente e strinsi più forte le braccia al petto. Markman era una donna astuta. Non mi sarei sorpreso se avesse potuto produrre un ago dal nulla e infilzarmi mentre ero distratto. Sapevo che avrebbe voluto. Sapevo certe cose.
Per rompere il fastidioso silenzio decisi di risollevare il problema del nuovo cuoco e della qualità del cibo che cucinava. Alzai lo sguardo. “Il nuovo cuoco sta cercando di avvelenarci,” dissi.
Markman non ne rimase colpita, di nuovo. Non ho forse detto che non rimaneva mai colpita da me?
“No,” disse bruscamente, senza nemmeno distogliere gli occhi dalla sua agenda.
“Um, sì, invece sì!” insistetti. “Ha provato la zuppa di pollo? E' fottutamente disgustosa. Mi sorprendo che non sia ancora morto nessuno.”
Lei cercò di nascondere un sorriso. Non ci riuscì. Lo vidi. “Cosa vuoi che faccia per questo, Gerard?”
“Riassuma la vecchia cuoca.”
“Non posso.”
“Perchè no?”
“Perchè è così.”
Roteai gli occhi. Mi piaceva la zuppa di pollo. No, mi correggo. Amavo la zuppa di pollo. La vecchia cuoca faceva la migliore zuppa di pollo che avessi mai assaggiato. Ma poi se n'era andata, ed era arrivato questo fottuto coglione di cuoco e ci mancava poco che avvelenasse tutto l'istituto psichiatrico.
“Glielo dico, sa di rifiuti tossici.”
“No, non è vero. Non fare la persona melodrammatica.” Markman abbandonò l'agenda per continuare la conversazione.
Un terribile pensiero mi attraversò la mente. E se lui stesse cercando di ucciderci? Veramente? Se stesse cercando di uccidere me? Porca puttana. E se loro lo avessero mandato come infiltrato nell'istituto per avvelenarmi in modo che potessero entrare e prendermi? Tutto ciò sarebbe derivato da una ciotola di cibo avvelenata, che mi avrebbe fatto svenire, in modo che loro potessero arrivare a rubarmi i segreti. Fanculo.
Cominciai improvvisamente a spaventarmi. Fortunatamente non avevo ancora mangiato quella mattina. Altra cosa buona: avrebbe potuto mettere veleno per topi nelle mie uova strapazzate, per quello che ne sapevo.
“Gerard, a cosa stai pensando?” Markman ritornò alla sua frase da strizzacervelli preferita.
Mi domandavo se dovessi dirglielo. Forse mi avrebbe aiutato a farlo. O forse mi avrebbe chiamato pazzo e avrebbe cercato di convincermi ad agire diversamente.
“Non posso aiutarti se non me lo dici.”
Respirai bruscamente. Avrei dovuto dirglielo. Avrei dovuto chiederglielo. Se qualcuno sapeva come stavano andando le cose in quel posto, era proprio Markman.
“C'è qualche possibilità che il nuovo cuoco sia cattivo?” Merda, non era uscito nel modo giusto. Cattivo era la parola sbagliata.
“Cosa?” Pensai che fosse del tutto confusa.
Mi sforzai di trovare le parole giuste. Riesaminai il mio vocabolario, ma non ne venne fuori niente. Sospirai e provai a spiegarlo a parole mie. “Voglio dire... il cuoco, non c'è possibilità che stia cercando di avvelenarmi, non è vero?”
Dopo tutto quel tempo ancora non capivo perchè Markman rimanesse scioccata dalle cose che dicevo. La mia ultima accusa sembrava averla resa senza parole. Certamente non era molto professionale, questo era certo.
“Come mai te ne esci con queste affermazioni?” chiese lei, dopo essersi ricomposta. Si sfregò gli occhi con stanchezza e mi guardò esasperata.
Mi sentii incredibilmente imbarazzato. Doveva suonare davvero assurdo; anche se non impossibile. Alzai le spalle e guardai altrove. Non volevo più parlarne. Markman non me la fece passare. Mi mise sotto pressione per avere più dettagli.
“Perchè pensi che qualcuno dovrebbe farti del male, Gerard?”
Fissai il pavimento, con gli occhi vaganti sopra gli orribili motivi del tappeto. Se mai avessi dovuto avere un tappeto a casa mia, sarebbe stato senza motivi e di un solo colore, come il blu. Niente a che fare con la merda policromatica che c'era attorno. In realtà, forse avrei preferito le piastrelle.
“Gerard,” Cazzo, era persistente quel giorno. Era l'ultima volta che le dicevo qualcosa. Avrebbe potuto pensare che avessi ucciso il presidente o qualcosa del genere.
Sbuffai e presi un momento per stirarmi le braccia. Si erano un po' intorpidite per tutto il tempo che le avevo tenute piegate sul petto.
“Perchè pensi che il cuoco stia cercando di farti del male?” mi ripropose di nuovo la domanda ed ero sicuro che fosse stato in caso che l'avessi dimenticata. Me l'aveva già detta una volta quella fotttuta domanda; non dimenticavo le cose così velocemente.
“Era solo un pensiero,” mormorai.
Markman mi ispezionò da vicino. “Pensi che forse potrebbe avere qualcosa a che fare con loro?” disse timidamente. Non aveva mai parlato di loro. Era come se pensasse che avrei dato di matto, sentendoli menzionare. Aveva ragione, fottuta psichiatra. Strinsi gli occhi verso di lei. Tossisci se puoi sentirmi.
Non tossì. Non fece nulla. Riconsiderai la situazione. Forse lo stava tenendo per se'. Se poteva leggere la mia mente, non me l'avrebbe detto esplicitamente. Dovevo trovare un altro modo per metterla in trappola.
“Per favore, non ignorarmi,” disse lei, mentre apriva il mio file e cominciava a scrivere.
Aggrottai di nuovo la fronte. L'avevo guarda male una marea di volte quel giorno. Non era colpa mia se me n'ero uscito con un pensiero casuale che avevo in testa. Era solo la maniera in cui funzionava il mio cervello. Era un cervello degno di nota, quindi non avevo messo in dubbio il pensiero che mi era passato per la mente. Doveva avere qualche significato o importanza.
“Non lo so. Forse,” dissi sfuggente. Non volevo parlare di loro in quel momento. Loro mi spaventavano a morte, quindi cercavo di pensarci il meno possibile. Comunque non ero del tutto convinto che fossero stati loro a infiltrarsi nella situazione. Erano estremamente intelligenti. Non si sarebbero preoccupati di avvelenarmi. Avrebbero preferito usare i loro mezzi con forza brutale, per intromettersi nel mio cervello. In effetti, ero sicuro che avrebbero preferito che fossi cosciente, in modo da potermi sentire mentre mi aprivano la testa.
Un brivido freddo mi percorse la schiena al solo pensiero. Era per questo che cercavo di non pensare mai a loro.
“No,” mi corressi. “Non penso che sia per loro. E' troppo semplice, troppo amatoriale.”
“Gerard, nessuno sta cercando di avvelenarti. Te lo giuro.”
Un'altra possibile spiegazione apparve nella mia testa. E se il cuoco fosse stato lì per vendicarsi di me? E se sapesse delle persone che avevo ucciso? Se mi volesse punire per quello che avevo fatto? Solo Dio sapeva quante persone erano morte a causa mia. Ero un assassino, ma non ero andato in prigione come avrei dovuto. Forse era stanco di aspettare che il sistema giudiziario americano mi punisse, quindi voleva prendersene lui la responsabilità. Aveva senso.
Stava cercando di uccidermi.
Mi coprii la bocca con la mano quando realizzai che avevo mangiato le lasagne la notte passata. Veramente, ora che ci pensavo, mi ero sentito un po' male di stomaco dopo cena. Il veleno avrebbe dovuto penetrarmi nel flusso sanguigno proprio in quel momento. Chi poteva sapere quanto altro veleno avevo assunto durante quel mese, dopo aver mangiato il suo cibo. Potevo essere arrivato al dosaggio letale. Oh dio. Mi domandai se fosse troppo tardi per vomitare.
Lei si alzò, allarmata. “Gerard, che succede?” chiese immediatamente.
Stavo andando fuori di testa, e doveva anche apparire così, perchè Markman era piuttosto preoccupata.
“E se mi stesse punendo?” dissi, terrificato.
Markman camminò attorno alla scrivania e si accovacciò accanto a me. “Chi ti sta punendo?”
“Il cuoco!”
“Perchè dovrebbe volerti punire?”
“Perchè li ho uccisi!” urlai, nascondendomi la testa fra le mani.
Dopo ciò aspettai disperatamente che lei mi dicesse che non li avevo uccisi. Aspettai che mi dicesse che non dovevo preoccuparmi di essere punito, perchè non avevo fatto nulla di male. Ma non lo fece. Ero colpevole.
Strinse la spalla per confortarmi. “Gerard, nessuno sta cercando di punirti. Nessuno sta cercando di avvelenarti. Stai diventando paranoico; è un sintomo della tua malattia, ricordi? Ci siamo già passati. Nessuno sta cercando di farti del male. Sei al sicuro. Te lo giuro.”
Non volevo più stare lì. Dovevo trovare Frank e dirglielo. Lui mi avrebbe creduto. Lui non mi avrebbe fatto sentire pazzo. Certamente non mi avrebbe detto che stavo diventando paranoico. “Posso andarmente, per favore?”
Markman si alzò. Mi annuì con rammarico e mi affrettai velocemente verso l'uscita.

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