Capitolo 14

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14.
 

If All Is Not Lost, Where Is It?

 



Rallentai e inconsciamente mi lisciai la maglietta, mentre mi avvicinavo alla stanza di Frank. Volevo battere il pugno sulla porta, aprirla con un calcio e fargli vedere quanto mi avesse reso furioso. Ma non lo feci. Certo che non lo feci.
Solamente bussai con gentilezza e aspettai. Mi domandavo se Frank sapesse che fossi io alla porta, e mi stesse solo ignorando. Mi sarei ignorato anch'io.
Infine aprii la porta ed entrai dento. Il grande discorso che mi ero preparato in testa, svanì.
Frank stava dormendo. Che delusione. Sospirai e feci un passo avanti. Era rannicchiato in mezzo al letto, con le coperte sparpagliate attorno a lui. Sembrava malato. Era l'unica parola per descriverlo. Aveva le braccia strette attorno alla pancia e i capelli sudati attaccati alla fronte, anche se faceva abbastanza freddo nella stanza.
Mi chiesi se avesse qualcosa a che fare con quello che avevamo detto io e Bert. Avevo sentito di problemi emozionali che si manifestano come problemi fisici. Avevo reso io Frank così?
Cazzo.
Lo stomaco mi faceva male e tutto ciò che volevo era sdraiarmi accanto a lui e stringerlo fra le braccia. Volevo solo rimediare. Odiavo sentirmi così inutile.
Nonostante il mio travolgente desiderio di abbracciarlo, non mi avvicinai di più. Non volevo svegliarlo. Stetti per un minuto a fissarlo, il senso di colpa per quello che avevo detto prima mi stava divorando dentro. Mi odiavo così tanto.
Alla fine mi ricordai che Markman mi stava aspettando, quindi uscii desolato dalla stanza e chiusi di nuovo la porta. Sulla strada per tornare da Markman, passai davanti alla sala giochi, dove trovai Ray e Bob che stavano giocando a poker. Diedi un'occhiata alla mano che aveva Ray. Aveva tre sei. Non male. Entrambi mi prestarono attenzione quando mi avvicinai a loro.
“Penso che Frank abbia qualcosa di strano,” dissi. “Penso sia malato. Potete passare a controllarlo dopo? Adesso sta dormendo.”
Ray sembrava davvero preoccupato. “Certo,” disse. Guardò Bob. “Te l'ho detto che aveva qualcosa di strano stamattina.”
Bob annuì serenamente. “Ci occuperemo di lui,” promise.
Li ringraziai entrambi e me ne andai. La mia preoccupazione non si era ridotta, ma non c'era niente che potessi fare. Sospirai e ritorrnai da Markman.
Fui sorpreso di vedere che mi stava ancora aspettando alla porta di vetro. Mi aspettavo che mi venisse a cercare. Sembrava che mi avesse creduto quando le avevo detto che sarei tornato subito. Non avrei mai creduto di usare quella parola per descrivere il nostro rapporto.
“Cosa stavi facendo?” mi disse, mentre tornavo verso di lei con aria indifferente.
“Cercavo di rimediare ad alcune cose,” risposi in modo enigmatico.
“Oh.” Markman annuì intenzionalmente. Ero sicuro che potesse leggere la mia mente.
Ero un po' scocciato di non aver potuto dire a Frank quello che volevo. Non avevo potuto dirgli che avrei combattuto per lui.
Ora sapevo che quello che avevo programmato di dirgli non sarebbe stato proprio poetico. Non sarebbe stato degno di nota. Non sarebbe passato alla storia come la più grande dichiarazione d'amore di tutti i tempi. Ma pensavo che avrebbe significato qualcosa per lui.Gliel' avrei detto quella notte, tornato da quello stupido, inutile viaggio. Odiavo essere strappato via prima di avere l'opportunità di mettere a posto le cose. Cosa sarebbe successo se Frank si fosse svegliato odiandomi ancora? Cosa sarebbe successo se quella notte sarebbe stato troppo tardi per rimediare?
Fanculo.
Sbuffai rumorosamente mentre seguivo Markman nella macchina che ci stava aspettando. A proposito, era una macchina fottutamente bella. Non avevo idea di che modello fosse; tutto ciò che sapevo era che la volevo per me. Non sapevo guidare, ma quanto poteva essere difficile?
Mentre mi sedevo sul sedile di cuoio, notai per la prima volta da un po' che la faccia mi faceva di nuovo male. Tutta la parte sinistra del mio viso stava pulsando in modo orribile.
Sarebbe stata una giornataccia.
In un giorno avevo scoperto tre cose: venivo spiato, ero un incompetente nelle risse ed ero anche un incompetente nel mantenere ogni tipo di relazione sentimentale. E poi, tornato all'istituto psichiatrico, dovevo preoccuparmi di quello che stava passando Frank.
Speravo davvero, davvero, sinceramente che mi perdonasse. Era davvero bello baciarlo. Cosa non avrei dato per farlo di nuovo. Avrei rinunciato a quella macchina. Anche se non era mia, ci avrei rinunciato.
Sembrava che ci stessero aspettando, all'ospedale. Mentre entravamo, fummo raggiunti da due uomini con un completo nero. Uno camminava rapidamente davanti a noi, e l'altro dietro.
Non avevo mai visto nessuno dei due. Non avevo idea di che cazzo stesse succedendo. Sembrava che fossero una specie di scorta di sicurezza. Questo pensiero mi rese furioso. Non avevo intenzione di scappare o qualcosa del genere. Sapevo che Markman non mi credeva veramente.
In realtà, sembravano un po' familiari. Avevo visto persone con il completo nero come il loro una o due volte a Bluestone.
Merda, sembrava così probabile che potessi scappare?
Era una fottuta giornataccia.
Il mio umore era diventato anche più tetro quando raggiungemmo il reparto Radiografie. Tenni il broncio per tutto il tempo dell'ecografia. Feci, comunque, tutto ciò che quella stupida macchina mi diceva di fare. Non volevo mandare niente a puttane. Odiavo quel posto e volevo tornare a casa.
Ah, non è patetico e ridicolo considerare casa tua un istituto mentale?
Dopo l'ecografia mi fu ordinato di sedermi su una delle sedie in sala d'aspetto, fuori dalla stanza. C'erano sette dottori, inclusa Markman, tutti attorno al tavolo luminoso, indicando la mia ecografia e discutendo l'un l'altro riguardo qualcosa. Mi divertì per un po', ma dopo mi sentii molto imbarazzato. Mi ricordai del mio apparente trauma cerebrale e mi chiesi se era per quello che si stessero animando così tanto.
Porca troia! Forse avevano trovato un tumore al cervello! Sapevo che ne avevo uno.
Uno degli uomini in completo nero stava in piedi, distante molti metri . Se ne stava rigidamente a testa alta, come se fosse in un campo pratica dell'esercito o qualcosa del genere, e l'istruttore gli stesse urlando in faccia. Inoltre stava guardando con attenzione verso il corridoio. Non riuscivo a capire cosa stesse fissando. Qualcosa riguardo il muro alla fine del corridoio doveva essere davvero interessante per lui. Notai che aveva un auricolare nell'orecchio. Il filo scendeva giù lungo il suo collo e sul colletto della camicia bianca e stirata. Interessante.
Provai ad attirare la sua attenzione. “Quindi, di cosa siete? FBI?” chiesi.
Nessuna risposta.
Tentai di nuovo. “CIA?”
Niente.
Pensai per un po'. “Servizi Segreti?”
L'uomo in completo nero mi diede un'occhiata per mezzo secondo, prima di ricominciare a fissare il nulla. Allargai gli occhi.
“Porca troia!” esclamai. “Servizi Segreti? Il Presidente è qui?!
L'uomo in completo nero mi guardò. “No, signore,” disse bruscamente.
La mia emozione svanì. “Che peccato,” dissi. “Avrei davvero voluto incontrare il Presidente.”
L'uomo in completo nero si girò per guardarmi, con un intenso sguardo di perplessità sul volto. Ero confuso quanto lui. Non capivo perchè mi stesse guardando in quel modo. Cosa c'era di strano nel voler incontrare il Presidente?
“Che ho detto?” chiesi, sulla difensiva.
“Gesù Cristo.” L'uomo scosse la testa in quella che supposi fosse incredulità e riprese a guardare intensamente in fondo al corridoio.
Gli lanciai un'occhiataccia. Ero così stanco delle persone che mi nascondevano i segreti. Ora anche completi sconosciuti mi stavano nascondendo segreti. Camminai con passo pesante verso di lui e mi misi proprio davanti al suo campo visivo. “Cosa?!” domandai.
“Niente, signore.”
Feci un rumoroso suono di disgusto e mi allontanai da lui, verso il bagno.
Chiusi la porta, la bloccai e scivolai fino a quando non mi rannicchiai sul pavimento. Un piccolo nodo d'ansia mi si stava formando nello stomaco. Avevo davvero paura che qualcosa nella mia ecografia non andasse bene. Markman non ci aveva mai messo così tanto. Non c'erano mai stati neanche sette dottori a discuterne. Mi lamentai per un paio di minuti, prima di prendere la brutta decisione di controllarmi la faccia allo specchio.
Il mio bel viso era rovinato. Il livido era già uscito sotto il mio occhio sinistro e sulla guancia, e mi faceva sembrare un mostro. C'erano anche parecchi piccoli tagli e abrasioni che non avevo notato prima. Il labbro spaccato era anche peggio di come pensassi. Toccai con cautela la pelle scura attorno all'occhio e sussultai per il dolore. L'unica cosa buona era che non era molto gonfio. Grazie a Dio, perchè non avevo bisogno di sembrare anche in pesce palla.
Era davvero, davvero, un giorno terribile. Volevo che fosse già finito.
Mi bagnai le mani sotto il rubinetto e provai a pulire un po' del sangue secco che le infermiere avevano mancato. Faceva troppo male toccarmi la faccia, quindi smisi. Accartocciai il pezzo di carta igienica che avevo usato per asciugarmi le mani e lo lanciai nel cestino. Mentre lo guardavo entrare nel cestino nero, notai un giornale piegato in due e lo aprii nel mezzo. I miei occhi si illuminarono increduli. Non ci era permesso leggere il giornale nell'istituto psichiatrico e morivo sempre di sapere cosa stesse succedendo nel mondo esterno. Strappai il foglio e lo appoggiai sul pavimento del bagno. La prima cosa che catturò i miei occhi fu il titolo in prima pagina.

A Splitting Of The Mind ITADove le storie prendono vita. Scoprilo ora