Cap. 19

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"Si narra che Corypheus si fosse risvegliato da un lungo sonno, trovando il mondo in preda al caos. Egli lottò per tornare a quei giorni di magia e ombra, per erigersi come nuova divinità e mettere le cose a posto. Ora in cielo è visibile una cicatrice a ricordarci gli eventi che furono. Ci narra di una grande vittoria contro il caos, ma che ha cambiato il mondo per sempre." lessi a voce bassa le parole scritte con calligrafia minuta, femminile, sulla pergamena affissa sulle mura di una locanda. Sorrisi alle parole vergate dal banditore, sembravano quasi vere, quasi potenti, quasi a porre fine a tutto. Sospirai e mi abbassai il cappuccio: questa notte, decisi, l'avrei passata all'asciutto e al caldo. Le mie ossa dolevano dagli sforzi del cammino, erano settimane che non facevo altro che camminare, solo e scontento, di Abelas non ebbi più notizie ed io cercavo di non farmi trovare nemmeno da lui, ora che in Elanor si sono risvegliati i poteri dei Draghi sarebbe diventata ancora più potente nello spirito e nella magia, ero orgoglioso di lei. Entrai nella taverna. Sgorbio Incomprensibile, il suo nome mi avrebbe dovuto preparare al tipo di posto che mi aspettava varcando la porta. Si trovava tra dei vicoli stretti e puzzolenti di un piccolo borgo umano, a sud del territorio del Leone, era una piccola bettola sgangherata dalle pareti di legno e calce, vagamente tinte di un intonaco giallo ormai scrostato. L'insegna era un pezzo di legno marcito che forse, molti e molti anni prima, recava dipinto un simbolo che permetteva agli abitanti della città di riconoscere la taverna, ora la si riconosceva, per altri motivi supposi.

L'esterno del locale prometteva esattamente ciò che l'interno manteneva: una pessima accoglienza a prezzi stracciati per chi non si poteva permettere altro come me, un elfo mago eretico e vagabondo. Uno spesso strato di caligine dovuta al cattivo tiraggio ornava le mensole sopra il camino piene di oggetti intagliati, candele di sego e grasso di cane usate come illuminazione e gravi abitudini tabagiste degli avventori, questa coltre di fumo ed odori nauseanti a volte, sperai, si diradasse permettendo di vedere scorci di una sala dal soffitto basso, ingombra di tavoli tarlati e traballanti. Vari relitti di vita, viventi e non o non più, riempirono il resto dello spazio affollandosi attorno al bancone di mescita il cui aspetto pensai fosse il risultato di un lungo lavorio di coltelli e sostanze corrosive prodotte da generazioni di menti offuscate dalle peggiori sostanze alcoliche a basso costo. Un fuocherello asfittico faceva pallida mostra di sé nel camino, unica parte di mattoni dell'edificio mentre su tutto il resto si stende, democratico, uno strato di sporcizia appiccicosa che giurai fosse il solo materiale che tiene insieme la taverna. Sbuffai schifato mettendomi un braccio davanti al viso, l'odore era rivoltante. Provai del vivo e serio pentimento per aver lasciato Skyhold e per essere costretto dal mio corpo e dalle temperature proibitive a passare la notte in questa bettola. Dietro al bancone c'erano sono alcune botti, una fila di bottiglie polverose e una botola che scendeva in una piccola cantina, dove erano probabilmente stipate le riserve alimentari della taverna, ben al riparo da occhi indiscreti che potrebbero inorridire di fronte alla dubbia qualità della merce.

Una scala corta con alcuni gradini mancanti porta al sottotetto, dove intravidi alcune amache appese tra le travi, sgraffignate in tempi oscuri e fungevano da miseri giacigli per i clienti avventurosi che pernottavano. Il pavimento attorno a me era ingombro di pignatte che servivano alla bisogna da vasi da notte, intuii dal fetore, e da contenitori per l'acqua che filtrava dal tetto e dalla soletta quando piove. Ebbi un conato di vomito.

Avanzai rassegnato nella coltre odorosa del locale fatiscente, tossendo asmatico. Sedetti al bancone scuro in volto, cercando di sistemarmi alla meglio su quello sgabello traballante e fastidiosamente scomodo. Una donna sdentata e grinzosa si voltò verso di me, sorrise e il suo enorme seno in bella vista avanzò fino a pochi centimetri dal mio viso, tossì schifato. "Bene bene, cos'abbiamo qui stasera? – chiese la donna posando il gomito sul bancone – che bel faccino hai, mio piccolo e tenero elfo..." non avrei potuto dire lo stesso, rimasi in religioso e composto silenzio, un solo respiro e sarei potuto morire soffocato da quell'odore fetido di sudore e cibo andato a male. "Sei di poche parole, meglio, così contratterai poco." disse la donna sbattendo uno straccio lurido sul bancone cercando di pulirlo. I pochi clienti della taverna bisbigliavano osservandomi, sentivo i loro sguardi solleticarmi la schiena con curiosa ossessione, cercai di non farci troppo caso. "Sei qui per consumare, mio piccolo figlio dei boschi o solo per scaldare il bancone?" chiese infastidita la vecchia "Vorrei del cibo ed una stanza dove dormire." risposi breve e speranzoso. "Una stanza dove dormire?" chiese la carampana ridendo di scherno. "Bellimbusto – mi disse prendendomi per il bavero del farsetto – qui non siamo ad Halamshiral, nel caso tu non te ne fossi accorto. Per te c'è un'amaca sopra la scala, sempre che tu possa permettertela." finì puntandomi addosso il suo sguardo strabico. Annuii senza emettere un fiato tirando fuori dalla tasca una moneta d'argento. Il viso della donna si illuminò e con uno scatto si staccò dal mio viso e prese la moneta, se la passò tra le dita e la tastò con i denti, sorrise. "Bene giovanotto, non sei il pulcioso morto di fame che credevo fossi, ti sei meritato un pasto completo, una branda e ...un altro servizio, se capisci cosa intendo." temei di capirlo quando vidi la donna slacciarsi il lurido intrico di fili che aveva annodato davanti al seno prosperoso e floscio. Persi di colpo l'appetito. "Mi bastano il cibo e l'amaca." dissi deglutendo rumorosamente, pensando ad Elanor e alla sua bellezza slanciata e al suo profumo dolce e avvolgente, gli occhi mi stavano uscendo dalle orbite. Mi venne servita una specie di zuppa fatta di alghe di fiume, con l'aggiunta di pane abbrustolito e sfregato con aglio, qualcosa mi fece temere che questo piatto fosse il migliore di tutta la locanda. Lo guardavo rassegnato e sconvolto, giocando con quella poltiglia acquosa dal colore indescrivibile, sentii il mio umore crollare più a fondo di quanto credevo possibile. Giocavo con l'intruglio quando un gatto mi balzò sulle gambe, lo guardai e lui indifferente prese a leccarsi la zampa. Cercai di mangiare con quell'ammasso di pelo nero acquattato sopra di me senza troppo successo: le alghe che penzolavano sembravano risvegliare i suoi istinti predatori. Non riuscii a finire il pasto che avevo pagato profumatamente, non mi restava che sperare di passare una notte decente. Mi alzai dallo sgabello facendolo stridere sul pavimento marcio e sconnesso e salii la scala fino al sottotetto. Presi posto sull'unica branda disponibile. Sopra di me una voragine nel tetto mi faceva ammirare il cielo stellato. Pregai affinché non piovesse nell'arco della notte.

"What is the old Dalish curse? May the Dread Wolf take you?"Where stories live. Discover now