Cultura di una scultura schiava chiamata vita,
plasmata, amata e spesso odiata.
Adirata.
Ondata di sensazioni, azioni brevi o lunghe.
Unghie affilate, affigliate a lembi di pelle.
Nelle strette e rette braccia, erette come lance.
Sguercie visioni, legioni di pace armate.
Dettate dal freddo marmo in petto,
nel letto di dispiaceri che contemplo.
Piaceri e voci lontane, rintanate in gracili corpi,
fragili prede prese nel buio di Marzo,
dove veglio e abbaglio sveglio dinnanzi alla luna.
Come una creatura bruna,
figlio di lupa che della notte abusa e si consuma.
Piuma quel detto, stretto quel cappio.
Ululante ancora il mio amore combatto.
E abbatto pareti e pensieri, di ieri, di oggi e domani.
Con le mani tra i capelli e le ossa del volto.
Con le lacrime e il voto di un pianto corrotto.
Svolto alle scuse, accuse personali ed errori primordiali.
Sono soltanto un uomo,
un punto scuro in cielo.
Un corpo di vetro fatto di gelo e, come ghiaccio,
mi sciolgo al calore di un abbraccio.
Quindi taccio ma scrivo.
Sorrido ma non rido.
Sopravvivo ma non vivo.