Niente più muri. Niente di niente.

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Avete presente quando da ragazzini, il giorno dei ricevimenti scolastici, i genitori infuriati tornavano a casa e vi sottoponevano a quelľ interrogatorio/rimprovero a tavola che "CSI tu puoi solo accompagnare"?
Ecco, la situazione in centrale era più o meno la stessa.
La stanza di solito adibita agli interrogatori ora era occupata solo da un furibondo agente Wilson che già da 5 minuti faceva avanti e indietro per la stanza ed al tavolo, dal lato dei criminali, davanti allo specchio enorme di cui tutti conosciamo la funzione, sedevano Persia e Sebastian su due sedie separate e con lo sguardo basso per la vergogna.
Appena entrato ľ agente gli aveva buttato sul tavolo delle foto arrivate in centrale la mattina stessa.
Alľ inizio, una volta seduti, Sebastian e Persia non ci videro nulla di speciale in quella busta gialla.
Solo una volta aperta ad entrambi si gelò il sangue.
Erano foto di loro due alľ entrata e dentro al locale Jazz, sul muretto mentre si baciavano e alľ alba quando corsero a casa. Firmate: Matt.
Il cuore di Persia per un attimo fece una capriola.
Il ricordo delle braccia di Sebastian che forte ľ avvinghiarono al suo busto fu un qualcosa di inspiegabile.
"Vi rendete conto del pericolo a cui vi siete sottoposti? Mi rivolgo soprattutto a lei signor Stan. Se volete fare i romantici fatelo tra le mure di casa."
Si diresse poi verso il ragazzo
"Quando un civile si prende ľ incarico di proteggere una testimone dovrebbe per lo meno tenere fede ai patti presi. Non crede?"
Urlò
"Signore ci creda. Siamo mortificati"
cominciò Persia per poi provare a prendersi tutta la colpa.
Sebastian provò a ribattere ma Wilson fu più veloce
"Signorina McGregor qui non si tratta di colpa o non colpa"
Gli sbattè sul tavolo un biglietto allegato a quelle buste
"Ecco, guardi il ricercato in questione cosa ha scritto: come potete sperare di salvarla da me se non riuscite nemmeno a tenerla chiusa al sicuro? Ditemi se non ha ragione"
Si fermò per riprendere fiato da quella sfuriata. La voce si calmò.
"Per non parlare di noi della New York PD. Che figure ci facciamo?"
Si asciugò con un fazzoletto la fronte sudata e, come da rito, si sistemò la cintura. Uscì un attimo dalla stanza a prendere il suo caffè raccomandandosi vivamente di non muoversi
"Guardaci" cominciò Persia
"Tenuti qui come criminali per una piccola evasione. Mi dispiace Sebastian. È davvero tutta colpa mia"
Le prese la mano come quella mattina
"Non dire sciocchezze. E poi se non sbaglio ne è valsa la pena" rispose con un occhiolino beccandosi un pugno sulla spalla ma anche un sorriso.
Wilson tornò
"Bene ragazzi. Spero che la strigliata vi sia stata di lezione. Al ritorno sarete sorvegliati dalla mia collega che troverete fuori dalla porta. Potete andare"
Sebastan e Persia si alzarono con la sola voglia di abbandonare quel posto. Wilson li bloccò un ultima volta sulla porta
"Se si ripeterà un altro episodio simile saremo costretti a trasferire la ragazza. Ci siamo chiariti?"
Ringhiò diretto a Sebastian che spavaldo gli sorrise
"Non si preoccupi agente. Da adesso in avanti sarà al sicuro" rispose prima di abbandonare la stanza
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La ragazza si lasciò andare seduta sul divano appena entrata. La testa affondata tra le mani.
Solo in quel momento si rese conto di quello che aveva combinato.
Era stata impulsiva, irrazionale e si, si era lasciata andare.
Non appena Sebastian si sedette vicino a lei, essa si alzò subito. Doveva distrarsi e non pensare. Sarebbe evasa per un po da quel mondo.
Sospirò animatamente
"Faccio da mangiare. Cosa vuoi? Verdure? Pasta? Qualcosa di dolce?"
Tirò fuori tutto ciò di buono che trovò nel frigo senza pensare a tutto il resto.
Non sentì risposta.
Forse era andato in bagno.
Quandò aprì ľ acqua percepì i corti capelli scostarsi dal collo ad una mano prenderle la vita.
"Un secondo andrà bene"
sospirò soffiando sul suo collo.
Spostò su e giù il viso sfiornadola con il naso e le labbra.
Lei provò a trattenere un sorriso
"Sebastian non per dire ma devo cucinare"
Continuò la sua lenta tortura fatta di soffi, sospiri e baci rubati
"Allora cucina. Non te lo voglio impedire. Sei bella quando cucini" il suo tono innocente nascondeva una provocazione bella e buona.
È come un torturatore che incita la sua vittima a scappare dopo averle reciso muscoli e tendini e lui lo sapeva.
Era totalmente nelle sue mani, una marionetta i cui fili vengono comandati da qualcuno che sa come farla muovere.
"Anzi mentre cucini dimmi tutti i passaggi. Non sono molto bravo a cucinare. Io osservo"
mormorò guardando le sue mani pronte alľ opera.
"Ah allora è questo: hai un feticismo per alimenti e ricette?" Scherzò lei cercando di tenere un tono dignitoso.
"Bene allora. Prendo il tagliere e ci appoggio i pomodori..."
Sentì la mano di Sebastian spostarsi dal fianco alla pancia, stuzzicandola con del leggeri grattini.
Un altro bacio, un altro morso (neanche fosse un vampiro), un' altra carezza.
Persia si schiarì la voce
"dopo di che prendo il coltello..."
Ad ogni passaggio le provocazioni si fecero sempre più... provocanti ecco.
La ragazza dovette fare appello a tutta la sua forza di volontà per non dargliela vinta.
Nel giro di venti minuti era riuscita a cucinare un piatto di verdure davvero niente male. Divise il cibo in due piatti.
Adesso la parte più difficile: divincolarsi da quella presa per andare ad apparecchiare.
Guardò fuori dalla finestra alla ricerca del trucco più vecchio del mondo. Finse stupore.
"Oh mio Dio Sebastian ma quello è Johnny Depp"
automaticamente il ragazzo spostò la sua attenzione sul parcheggio vuoto.
Non tanto per la cavolata in se quanto per il senso ď allarme che si attivò non appena disse la frase. Persia riuscì ad approfittare per miracolo di quel momento di distrazione per portare i piatti in tavola.
Si sentì vincitrice.
"Che piccola peste"
disse non appena si accorse delľ inganno.
Il passo verso di lei si fece semore più veloce e deciso.
Nel giro di qualche secondo avevano cominciato una corsa attorno al tavolo giocando al gatto e al topo
"No, Sebastian. Voglio mangiare. Ho fame"
non riuscì a rimanere seria nonostante lo volesse.
"Anche io voglio mangiare"
fu la sua risposta ed ovviamente lungi da lui voler parlare di cibo. La ragazza inchiodò mettendo le mani sul suo petto tanto per mantenere una distanza di sicurezza
"Allora facciamo così..."
Fece su e giù accarezzandogli il petto percorrendo con le dita il colletto.
Giocherellò con i suoi lobi facendo poi passare il pollice sul suo labbro inferiore
"... adesso mangiamo poi, se proprio proprio ci avanza del tempo, troveremo il modo di 'smaltire'"
Sebastian fece due passi indietro per poi andarsi a sedere davanti al suo piatto e Persia fece lo stesso.

Può sembrare una sciocchezza ma Sebastian, con quel suo modo di scherzare, di trovare sempre il tempo ed il modo di essere dolce, di punzecchiarla e stuzzicarla la stava davvero aiutando.
Per troppo tempo Persia si era nascosta dietro ad un muro attraverso il quale non poteva passarci nessuno.
Aveva distrutto tutti i ponti con la vita sociale nascondendosi nel lavoro e nei doveri.
Ma aveva paura.
Aveva paura di ciò che lui potesse farle sentire.
In fondo aveva paura ogni volta che la toccava perchè ricordava ogni volta in cui Matt ľ aveva picchiata e malmenata ma allo stesso tempo si sentiva vulnerabile.
Al lavoro era un lupo: serio, duro, silenzioso, solitario e dedito al lavoro. Ma tra le sue braccia... tra le sue braccia diveniva burro e più provava ad opporre resistenza a quelľ incantesimo più lui la stregava
"Ma che mi sta succedendo?"
Si chiese guardandolo di sottecchi a tavola quando lui le prese la mano.
Quel rumore, quei tonfi che sentiva nel petto ogni volta che lui era dolce con lei non era solo il suo cuore.
Era il rumore di quel muro che, mattone dopo mattone, veniva buttato giù.

N/A:
Ok lo ammetto... mi sto lasciando abbastanza andare sul lato romantico ma che ci posso fare? Comunque... a quanto pare ci sono delle novità. Finalmente una svolta. Buona lettura.

Un amore color Manhattan| Sebastian Stan Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora