Cap.2 - Ti presento Sebastian

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Per una ragazza come Persia McGregor lavorare a contatto con così tante persone in una metropoli così grande poteva di certo dirsi una novità per la sua natura da lupo solitario.
Si ricordò il modo assoluto in cui cambiò la sua routine negli ultim anni.
Ripercorse con la mente quando per andare a scuola tagliava per i placidi boschi canadesi godendosi il canto degli uccellini e il sentore di muschio tipico della sua zona. Ed ora invece dov'era finita?
In un enorme città piena di rumori e di vita che non le concedeva un minuto di silenzio neanche a pagare oro. Per carità, aver trovato un lavoro così presto era di certo una benedizione. Si fermò al semaforo appena diventato rosso ed aspettò, sommersa da persone e pensieri. Guardò passare le macchine e i bus uno dopo ľaltro isolansosi dal rumore di quella giungla  solo per qualche istante prima di accorgersi che era già terribilmente in ritardo. Quando scattò il verde si avviò a passo accelerato verso ľ altro lato della strada facendsi spazio tra la folla ed in tre minuti si ritrovò difronte a Starbucks. Ringraziò tra se e se la sua stella protettrice per la poca fila che c'era dentro. Non dovette nemmeno chiedere: i commessi ľ avevan vista lì tante di quelle volte che ormai il suo ordine era diventato abituale quanto la sua fretta. Quel giorno però le casse decisero di fare cilecca. Finse che non fosse un problema ma il suo capo ľ aveva già chiamata due volte chiedendole di sbrigarsi ma le ci vollero ben 15 minuti di attesa. Appoggiò lì 10 dollari lasciando il resto ed il locale. Per tornare indietro decise di tagliare per i vicoletti più stretti e bui sperando di non incappare in qualche malintenzionato. Arrivò alľ edificio in cinque minuti quando Jim la richiamò "si lo so sono in ritardo ma..." la voce furente di lui a momenti le sfondò il timpano "niente ma. Ti conviene muoverti o oggi rischi il posto" e detto questo le riattaccò in faccia. Dovette fare appello a tutta la sua calma per non cominciare a sclerare alľ entrata. Una volta dentro provò a guardarsi intorno cercando il figlio del suo capo. Se lo immaginava alto biondo con la classica faccia da snob di chi ha frequentato Harvard o scuole simili perciò si crede superiore agli altri e fu proprio questo a condizionare la sua ricerca "non è ancora arrivato"mormorò e tirò un sospiro di sollievo credendosi salva. Puntò quindi alľ ascensore quando dovette fermarsi: qualcuno le aveva picchiettato sulla spalla. Era una ragazzo alto e dagli occhi chiari con dei bellissimi capelli che gli ricadevano sulla fronte . La prima cosa che notò erano gli abiti casual e la giacca di pelle"non può essere lui" pensò squadrandolo con sguardo furente per il tempo che le stava facendo perdere "scusi avrei bisogno di un informazione..."
" ma non vedi che sono indaffarata? E poi la segretaria a cosa credi che serva? Chiedi alla scrivania" Non era di certo Persia a parlare ma bensì un insieme di rabbia e fretta che sentì il bisogno, in quel momento, di incanalare. Lo liquidò facendogli segno con la mano di andarsene. Proseguì per ľ ascensore seguita da due chiari occhi disorientati cercando di non fare cadere i cappuccini ancora roventi. Era consapevole di essere stata scortese ma per quanto egoistico fosse quel pensiero, il suo posto di lavoro era più importante.

Ľascensore era vuota facendola arrivare comunque  con mezz'ora complessiva di ritardo dal suo capo. Superò il set passando tra telecamere e tecinci. E poi c'era Jim. Era dentro ľ ufficio ed era rosso di rabbbia "mi scusi ma lei non immagina la fatica che ho fatto per arrivare fin qui" disse anticipando la sua ramanzia. Jim era seduto sulla sua solita poltroncina facendo segno a Persia di lasciare stare. Appoggiò le due bevande per fortuna ancora calde, troppo calde

"E mio figlio?" Le chiese perplesso ignorando il fiatone e la fatica che segnava il volto della ragazza.
"

Mi spiace non ľ ho visto" improvvisò lei consapevole del posto che stava rishiando. Venne  salvata dal telefono fisso che cominciò subito a suonare. Era la segreteria. Ormai stufo, ľ uomo davanti a lei prese su la cornetta "Cosa c'è? si, si certo... ho capito... CERTAMENTE. MANDATEMELO SU SUBITO" esclamò ormai privo di pazienza. Si alzò superando Persia ed arrivando fin davanti alla porta "per questa volta ti sei salvata. Fanne un'altra delle tue e dovrai cercarti un altro lavoro. Coraggio vieni, ti presento mio figlio" e le chiuse la porta in facca. Prima di raggiugerlo, Persia gli fece una smorfia rivelando un suo lato infantile che raramente mostrava. Era stanca già a quelľ ora per colpa della corsa chiedendosi se sarebbe mai arrivata a fine giornata e, a lungo andare,alla pensione. Si avviò trascinandosi verso la porta. Una volta uscita andò a vedere sul set: Jim stava parlando con un ragazzo di spalle ma che non le risultò comunque nuovo. Lo vide abbracciarlo dandogli qualche pacca sulla schiena e prendendo per le spalle. Era di certo suo figlio. Si avvicinò lentamente  a padre e figlio sperando di non interrompere nulla e aspettando il consenso di Jim per procedere. Appena fu abbastanza vicina ľattenzione del suo capo si spostò su di lei "coraggio Persia, vieni qui" la invitò con tono amichevole lasciandola confusa. Li raggiunse definitivamente ma ancora non riusciva ad inquadrare il ragazzo fino a quando non si voltò. Persia sentì il suo cuore accelerare: alta statura, occhi chiari e capelli bruni  "non può essere" pensò non credendo chi avesse davanti " figliolo ti presento la mia assistente più fidata. Persia ti presento Sebastian"

Un amore color Manhattan| Sebastian Stan Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora