Detroit, agosto 2097
È esistito un tempo in cui tutto questo è iniziato, è esistito un momento in cui qualcuno ha deciso di voltare le spalle, preferendo lasciar correre.
Nessuno ha mai vinto una guerra lasciando correre.
Il pettine scivola fra le mie mani sudate, mentre cerco di districare con gentilezza i piccoli nodi fra le ciocche castane di Katie.
Lei tiene in bocca un orecchio di Bunny, il suo peluche preferito, e mi osserva dallo specchio, quasi spaventata dalla possibilità che io le strappi i suoi preziosi capelli.
Le ho sempre detto che non ha senso preoccuparsi così tanto, che i bambini dell'asilo non la prenderanno mai in giro se si accorcia i capelli, ma lei, pur non avendola mai conosciuta e alla precoce età di quattro anni, è esattamente come Susie, sua madre: ama apparire, mostrarsi bella ed attirare lo sguardo di tutti.
È un qualcosa che non concepisco, soprattutto in una bambina, soprattutto ai nostri tempi, ma finché per Katie rimane un gioco va bene così.
«Hai finito?» Domanda, per l'ennesima volta, quasi morbosa.
«Manca poco.» La rassicuro, mentre mi allento con un dito il colletto della maglietta slargata rosa, umida dal sudore.
Odio l'estate ed odio il caldo, perché sembra che quando c'è bel tempo tutto torni a galla, soprattutto quando si tratta di cose brutte.
La Famiglia è nata in un giorno d'estate, ma ciò non vuol dire che abbia portato la luce a Detroit.
«Oggi ne ho visto uno.» Racconta, mentre muove il peluche davanti a sé, facendolo cadere sul materasso su cui è seduta «Era bellissimo.»
Sollevo lo sguardo, ma non mi blocco, continuando a pettinare i suoi capelli.
Una seconda cosa che Katie ha preso da Susie: l'interesse immotivato per i vampiri.
Nessuno voleva crederci, quando vennero alla luce per la prima volta, circa cinquant'anni fa, e non solo per il fatto che era moralmente impossibile che esistessero, ma perché non sembravano affatto ciò che solitamente ci si immagina quando si parla di vampiri.
Parlarono di creature bellissime, ma col cuore di ghiaccio e dal sangue nero, mutato da un gene maligno del sangue.
Sta tutto lì, nel sangue, quello che scorre fra madre e figlio, e che poi loro ricercano nei corpi di tutti gli altri che incontrano sul loro cammino.
Il vampirismo non era più fantascienza, ma una sindrome, così come quella di Down o l'anemia: tutta questione di genetica, a quanto pare, ma per me c'è sempre stato altro.
Creature che si cibano di sangue umano per sopravvivere, di una bellezza eterea e capaci di morire solo con una pallottola d'argento conficcata nel cuore: no, la genetica non può c'entrare con tutto questo.
Ma, ormai, non ha più senso restare a parlarne, perché loro sono qui, e sono ovunque.
Sono la Famiglia, e non perché il loro sia un gruppo di persone rassicuranti e accoglienti, ma perché seguono i principi di una vera famiglia.
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The family
Vampire« È tutto un completo disastro, con lui. Non crede in niente, ma vuole che gli altri lo guardino come se fosse Dio. Professa rispetto, l'amore dentro la Famiglia, e poi ti punta la pistola alla tempia quando dici una parola sbagliata. Sai cosa ti di...