02. hair

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Questo viaggio è interminabile, nel vero senso della parola.

Sarò su questa macchina da almeno mezz'ora, e la cosa non mi piace affatto, soprattutto perché dal finestrino noto lo scorrere veloce del panorama di Detroit.

Questa è la mia città, la conosco bene, e so verso quale zona ci stiamo dirigendo, e non mi piace affatto, perché stiamo andando a nord, e quella è la zona dei vampiri, quella dei grandi palazzi e degli sfarzi, quella a cui, noi poveri umani, possiamo avvicinarci solo su invito.

E, solitamente, sono in pochi ad uscire da questo posto.

Il vampiro tiene la musica rock metal ad alto volume, mentre continua a battere il palmo della mano sul volante e oscilla la testa, smuovendo i capelli tinti di biondo.

Sembra che un intero concerto si sia volatilizzato nell'auto, e questo non migliora il mio stato d'animo, visto che il cantante non fa altro che urlare quanto vorrebbe sbranare la sua amata.

Voglio vomitare.

«Ehi, bambina.» Mi richiama il vampiro, guardandomi dallo specchietto con i suoi piccoli occhi scuri «Lo vuoi sapere come mi chiamo, eh? Lo vuoi sapere?»

Sembra ubriaco, al momento, per quanto la sua mano fosse ferma quando stringeva il coltello sulla guancia di mio fratello.

Non rispondo, ancora stretta in un angolo del sedile morbido del fuoristrada, ma al vampiro non sembra importare, mentre continua a seguire il ritmo della canzone.

«Mi chiamano Easy, facile, perché sono quello più semplice da convincere quando è ora di fare qualcosa di sporco.» Dice, ammiccando, sempre sorridendo «E sai perché è così semplice? Perché io adoro questo lavoro.»

Ride di gusto, continuando a sbattere il palmo della mano sul volante, intonando poi le note della canzone a squarciagola, quasi assordandomi.

Guardo fuori, ancora sconcertata, mentre la macchina quasi sobbalza per tutte le oscillazioni, facendomi salire dei conati di vomito alla gola.

Penso a Bradley, penso a Katie, e spero davvero che mio fratello faccia il suo dovere, almeno questa volta: quella bambina non c'entra nulla in questa storia, e non merita di fare la nostra fine.

Né di sua madre, né di suo padre e nemmeno di sua zia.

Inizio davvero a pensare che, forse, l'unica cosa davvero positiva che può capitarti quando nasci al Ghetto, è quella di morire presto, così da non aver vissuto così tante disgrazie da perire per gli stenti.

Easy ferma finalmente alla macchina, ancora scosso dal ritmo potente della musica, e io subito guardo fuori dal finestrino, notando che siamo arrivati davanti ad un gigantesco edificio dalle pareti rosse e le piccole finestre alte.

Sembra una fabbrica, o una discoteca, vista l'enorme scritta rosa shocking all'entrata.

Dollhouse, casa delle bambole: così dice.

Easy apre la portiera, afferrandomi per il polso e trascinandomi fuori, sempre con la sua inesistente gentilezza, portandomi con forza verso l'entrata, senza nemmeno venir sfiorato dai miei tentativi di fuga.

«Bambina, adesso siamo a casa e presto ti faremo giocare con i tuoi nuovi amici.» Ribatte, divertito, mentre mi trascina per i corridoi soffocanti della Dollhouse, tutti tinti di nero, quasi per farti sentire ad un passo dalla morte.

Sento puzza, puzza di sudore, fumo e alcool, e l'odore è così pungente da prendere alla gola, soffocandomi.

«Piccola siesta, bambina.» Esclama il vampiro, aprendo una porta e gettandomi nella stanza senza ritegno: appena mi guarda, continuando a ridere mentre mi chiude dentro, senza troppi fronzoli.

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