04. reunion

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Ho creduto alle parole di Cynthia: quelle sul cambiare nome, così da sentirsi distaccati da tutto ciò che potrebbe succedere.

In realtà, inizialmente, ero totalmente in disaccordo: pensavo che fosse semplicemente una pazzia ma, dopo aver indossato gli abiti che lei pensava sarebbero stati i più adatti per la fantomatica riunione, ho cambiato subito idea.

Mi sono ritrovata praticamente nuda davanti ad uno specchio, col viso pieno di trucco pesante e i capelli corti legati in modo da avere il collo scoperto, pronto all'uso.

Non mi sono nemmeno riconosciuta; la persona che vedevo mi disgustava così tanto che non volevo identificarla in me.

E così l'ho chiamata Sydney, come il mio secondo nome, e non ho fatto altro che ripetere questa parola per tutto il tempo mentre Cynthia mi stava alle spalle, spazzolandomi i capelli.

«Dici che vado bene così?» Chiedo, mentre lei sistema con delicatezza la gonna rosa pallido della babydoll in pizzo.

Abiti di questo genere li ho trovati solo nei bassifondi del Ghetto, ed è facile capire quali genere di ragazze li indossassero.

Mi sento nuda, e solo il fatto che qualcuno posi troppo a lungo il suo sguardo sul mio corpo mi fa sentire come se stessi venendo violata.

Non immagino come andrà quando sarò la fuori, in mezzo al branco.

«A loro non interessa come sei vestita, ma quanta pelle mostri.» Ribatte lei, spostandosi da me e dandosi un'ultima controllata al trucco, anche il suo per niente leggero.

Al contrario di me, indossa un semplice reggiseno nero, un paio di culotte dello stesso colore e della calze a rete.

E' bella, certo, ma si vede che non è felice, come me.

«Quante ragazze ci saranno?» Chiedo, andandomi a sedere sul letto, cercando di indossare le scarpe rosa col tacco.

«Troppe da poterle contare.» Ammette, voltandosi verso di me, sospirando «Dobbiamo andare.»

Resto seduta, ancora combattuta mentre stringo le lenzuola fra le dita, quasi a volermi incatenare al letto.

Non voglio, non voglio.

«Non posso farcela, Cynthia: non posso

La mora si inumidisce le labbra, combattuta, e poi mi si avvicina, chinandosi al mio capezzale e accarezzandomi il viso, guardandomi dritta negli occhi «Devi farcela, Irene: l'unica cosa che ci può ancora far sentir liberi, in questo mondo, è il non dar loro il potere di distruggerci, nonostante tutto.»

«E come si fa?» Chiedo, sconvolta, alzando le braccia «Mi faranno del male, mi violenteranno, berranno il mio sangue: come potrò resistere al loro gioco?»

Cynthia mi fissa, sicura, e poi passa le dita fra i capelli, sistemando le ultime ciocche prima di stringere le mie mani, tremanti.

«Gioca con loro, e falli cadere in trappola.» Dice, convinta, cercando di farmi ricredere «Devi cercare di renderti essenziale per loro, devi far capire che vali più di chiunque altra ragazza là fuori.»

«I vampiri non si possono innamorare, Cynthia.» Ribatto, ancora scossa, mentre lei mi ferma il viso con le mani, così da obbligarmi ad ascoltarla.

«Loro sono deboli, Irene, sono deboli perché hanno bisogno di noi, mentre noi non di loro: è questa la differenza, ciò che ci può far vincere. Non dimenticarlo.»

Stringo le labbra, ancora confusa, ma ormai pressoché rassegnata: so che Cynthia sta cercando di aiutarmi, ma è difficile accettare che tutto questo, ormai, sarà la mia realtà.

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