06. limits

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Bill non ha passato la notte con me, se non per qualche sporadica visita di controllo.

Non so se sia stato un atto di gentilezza, o se la causa sia stata semplicemente il continuo via e vai di vampiri che chiedevano la sua udienza per problemi nella Famiglia.

A quanto pare, Bill è una specie di guida e di controllore dell'organizzazione, anche per quanto riguarda gli affari che, sembra quasi stupido sottolinearlo, non c'entrano nulla con la legalità.

Prostituzione, droga, mercati di sangue: tutto a Detroit è controllato dalla Famiglia e, quindi, di conseguenza, da Bill.

E' come dire che ogni cosa dentro questi confini gli appartiene, perché tutti dipendiamo dal lavoro che lui offre e dalle scelte che lui compie.

Se, un giorno, si alzasse e decidesse di ucciderci tutti, nessuno potrebbe fermarlo.

Al momento, ho così poche forze che nemmeno pensare a questo riesce a spaventarmi.

La porta della stanza da letto si apre dolcemente, mentre alcuni passi ovattati per la moquette annunciano tristemente che Bill ha deciso che è il momento di alzarsi.

Non ho voglia di ascoltarlo.

«Irene, è ora di pranzo: devi alzarti.» Dice, sedendosi sul mio letto, scostandomi appena le coperte dal viso e facendo un sorriso quando nota che ho già gli occhi aperti.

Sarebbe quasi dolce, se non intendesse che il pranzo sono proprio io.

Aspetta un solo secondo, e poi corruccia la fronte, notando che non mi muovo nemmeno di un millimetro, continuando a tenere lo sguardo spento puntato totalmente altrove.

«Irene, non ho voglia di giocare: ho fame.» Sibila, mentre una ruga di nervosismo rovina la sua bella fronte «Svegliati.»

Mi scuote bruscamente, e così decido finalmente di muovermi, scostando appena la coperta e mettendomi difficilmente seduta, mentre lui sorride, ormai appagato.

Mi accarezza una guancia, infilando le dita fra i miei capelli sporchi dal sudore, passando col pollice sul mio mento mentre mi osserva con i suoi grandi occhi chiari, sempre pieni di vita.

Ancora puzza di fumo e alcool, per quanto si sia cambiato i vestiti.

«Ho fame.» Confessa, ancora, mentre, lentamente, avvicina il suo volto al mio, facendo sfiorare la punta del suo naso contro la mia guancia, docile «E non riesco a non pensare a quanto sia buono il profumo del tuo sangue.»

Forse dovrei combattere, cercare almeno di ribellarmi o avere paura, ma è tutto troppo faticoso: ancora non capisco come riesca a rimanere sveglia, figurarsi mettermi a parlare.

Sono troppo stanca, troppo debole.

Bill mi bacia la guancia, un vago tocco di morte in mezzo al nulla totale, e continua per tutto il mio viso, scendendo lentamente lungo il mio collo, scostandomi i capelli e iniziando a succhiare sulla pelle già tumefatta.

Sembra voglia farmi male: così, con le sue labbra, portando alla luce il sangue e lasciarselo scoppiare in bocca, come un piatto prelibato.

Per lui, io sono solo cibo.

Lo sento sospirare pesantemente mentre il dolore arriva in superfice, portandosi con sé l'adrenalina e un bell'ematoma.

E' questo l'unico modo che conosce Bill per accedersi, per essere felice: provocare dolore.

Sento l'umidità della sua saliva scorrere sulla mia pelle, e, subito dopo, venir sostituita da qualcosa di fin troppo appuntito per essere umano.

Denti da vampiro, che scorrono lungo il mio collo, cercando di capire quale sia il punto migliore per riuscire a succhiare via in un solo colpo quanto più sangue possibile.

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