19. lose your mind

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Bill è in silenzio, quasi perso, mentre lucida con attenzione il suo coltello, restando a gambe incrociate sul divanetto in pelle.

Non abbiamo parlato molto dopo che Easy ha riportato Katie a casa e ho dovuto salutarla, ma, comunque, non è servito, visto che, dopo ciò che mi ha detto la bimba, non sarebbe stato così facile mantenere una conversazione normale con lui.

Lei ha detto che Bradley mi sta venendo a prendere, che sta venendo per ammazzarli tutti, e io penso di non conoscere abbastanza parole per descrivere ciò che ho provato quando ho sentito quella frase.

Ancora non riesco a capire come dovrei sentirmi, in realtà.

Sollevo lo sguardo, osservando Bill, ancora intento a ripulire l'arma, scrutandola con l'attenzione maniacale degli esperti.

Sembra di buon umore – sicuramente non è arrabbiato, almeno – ma non sono esattamente sicura di quanto potrebbe durare questo suo insolito cambiamento se dovesse scoprire ciò che Katie mi ha detto.

O, magari, ne è già a conoscenza?

"Bill?" Chiamo, continuando ad osservarlo mentre lui solleva le sue iridi su di me, ancora troppo concentrato per manifestare una qual si voglia forma di sentimento.

"Sì?"

Mi inumidisco le labbra, ancora incerta, e mi sistemo meglio sul divanetto, stringendo appena l'orlo della mia maglietta.

"Per caso, quando sei andato a prendere Katie, hai visto anche mio fratello?"

E' una domanda vaga, lo so, così come che, molto probabilmente, attirerà possibili dubbi in Bill: al momento, però, non mi importa.

Posso sempre far finta di essere la sorella preoccupata e disperata per essere stata abbandonata dal suo stesso sangue.

"Tuo fratello non c'era," risponde, semplicemente, ancora impassibile. "Katie era da una tua vicina di casa: penso che si occupi lei della bambina, ora."

Una vicina di casa? Che diamine stai combinando Bradley?

Abbasso lo sguardo, iniziando a torturarmi gli angoli delle dita, nervosa: questo non va bene, non va affatto bene.

"Irene?"  Bill richiama la mia attenzione, allungandosi appena per sfiorare la mia mano, stringendone appena le dita.

Non lo allontano, non voglio, perché, al momento, ho bisogno di aggrapparmi a qualsiasi appiglio, anche quello più improbabile.

E', in fondo, Bill è sempre stato più forte di me.

"Gli avevo chiesto di lasciarla sola," ricordo, aspramente, mentre mi tengo una mano sul petto, cercando di calmarmi. "Non riesco a capire che diamine stia facendo."

"Magari stava semplicemente lavorando," prova a dire Bill, rassicurante. "Sai, ha un bel debito da ripagare."

A quelle parole, lo stato d'ansia si frantuma, lasciandomi solo un vago senso di perplessità.

Alzo lo sguardo, notando le iridi azzurro oltremare di Bill già fisse sul mio volto, attento.

"Tu speri che non ci riesca, vero?" Chiedo, e mi sembra già di sapere la risposta.

Bill stringe le labbra, quasi fosse colpito, e poi si allontana da me, liberandomi dalla sua presa.

Anche questa è una cosa nuova: lui che decide volontariamente di lasciarmi i miei spazzi, senza imporre la sua presenza.

Sta forse iniziando a capire come deve essere trattata una persona? O, magari, è solo l'ennesima finta?

"Tu pensi che io voglia tenerti in gabbia," riflette, attento, riprendendo il coltello ed infilandolo nel fodero attaccato alla cintura. "Ma, questa, non deve per forza essere una prigione, per te."

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