VII

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M A U D E

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M A U D E

«Quanti brani dovreste inserire nella scaletta?» Chiese Eva rivolgendosi alla sua sinistra verso Thomas. Osservai la ragazza dai lisci capelli corvini sulle spalle. Eva, la più adulta tra le quattro, era una bellezza anticonvenzionale; lontana dai tradizionali canoni di bellezza che la società imponeva, promotrice di quelli che lentamente -maggiormente inclusivi- prendevano campo. Quella tipica bellezza mediterranea che faceva da padrona sugli schermi del cinema italiano del dopoguerra, con cui condivideva anche la provenienza geografica. Dall'alta statura e dalla corporatura burrosa; perfettamente proporzionata nel suo ricordare fisicamente una clessidra, risultava seducente nelle sue morbide curve ammalianti, nella vita visibilmente stretta, nei fianchi accoglienti, nell'eleganza delle movenze e della gestualità, nel sorriso dolce a contrasto con lo sguardo nocciola inflessibile. Quello sguardo che -ammaliato- difficilmente aveva abbandonato il viso limpido di Thomas.

«Non più de sei, no?» Rispose lui cercando conferma nello sguardo di Damiano. Damiano che, seduto per terra, la schiena poggiata alla base del divano -la spalla sinistra a contatto con la mia gamba destra-, ed il capo chino sulla bottiglia di birra che stringeva tra le mani snelle, raramente aveva proferito parola; così come stentatamente il suo sguardo -oscuro, indecifrabile, impenetrabile- aveva abbandonato il mio, o il suo corpo faticosamente aveva evitato di sfiorare il mio, di cercarlo voglioso. Come un magnete, mi seguiva in ogni mio movimento; il calore della sua pelle bruciava piacevolmente la mia attraverso i vestiti. Gli urtai la spalla con il ginocchio, richiamando la sua attenzione. Lui -colto di sorpresa- girò la testa rivolgendomi di traverso uno sguardo spaesato. Io, portandomi la bottiglia alla bocca e prendendo un fugace sorso di quel liquido scuro, indicai un punto preciso di fronte a noi -in corrispondenza del chitarrista- alzando le sopracciglia con fare eloquente; un sorriso divertito mi sfuggì indisciplinato. Il tempo trascorso su quel tetto mi aveva mostrato un Damiano diverso: nudo; un Damiano che -contro ogni aspettativa- sentivo di poter gestire; un Damiano con cui condividevo le stesse ferite.

Un'ombra gli scurì il volto spigoloso, comunicando più di mille parole.

Consideravo il volto una sorta di teatro dell'uomo, il luogo in cui si è maggiormente nudi, ma al contempo, più mascherati. Consideravo il volto un libro la cui copertina era conosciuta da molti, ma il cui contenuto era conosciuto da pochi. Lascerai che io apprenda il tuo contenuto?, pensai.

Thomas gli sventolò le dita smaltate dinnanzi al viso, il frontman si destò, guardandomi confuso.

«La scaletta, Damià.» Thomas -a quattro zampe al centro dell'irregolare cerchio creato sul pavimento- gli sventolò le dita smaltate dinnanzi al viso. «Massimo sei brani, no?» Damiano annuì. «Ci sono ancora un sacco de cose de cui dobbiamo parla', tra parentesi.» Intervenne Leonardo.

«Non abbiamo neanche scelto ancora un nome.» Fece notare Ethan; Victoria sospirò di rimando.

«Ecco, pe' dirne una. Come pensate de presentavve 'a 'na serata pe' band emergenti senza 'n nome? Sentiamo!» Leonardo, che curava alcuni degli aspetti formali del gruppo, li provocò.

Icaro. | Måneskin. | Damiano.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora