Capitolo XXXIII - Partenze. (Damiano)

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Mi sedetti alla scrivania, mi gettai come una zavorra su di essa fissando il quadernetto aperto sul legno scuro, la penna alla sua sinistra ed il pacchetto di Camel Blu alla sua destra, ne estrassi una e l'accesi, avvicinando il portacenere. Presi un respiro profondo, le labbra umettate ne inumidirono il filtro, avvolgendo lo spazio circostante in una plumbea nube di fumo. Strinsi il quadernetto, dalla copertina rosa decorata dal celebre logo dei Rolling Stones  regalatomi da Maude, tra le mani fissando le lunghe righe parallele che correvano sulla pagina come le corsie di un'autostrada aspettandomi, sperando forse, che le parole apparissero come per magia nero su bianco. 'Namo Damià, concentrate. Un milione di idee mi frullavano per la testa, parole, frasi sconnesse, rime si nutrivano del mio cervello, consumandolo boccone dopo boccone, ma nessuna, mai come allora, mi apparve oltremodo lontana. Scribacchiai sulla superficie, mentre la sigaretta si consumava sul portacenere, un lieve rivolo di fumo s'innalzava verso il soffitto. Mi alzai provando ad intonare quelle brevi righe, camminando avanti ed indietro per la stanza. Nun ce semo, nun ce semo propio. Salii sulla sedia con entrambi i piedi, flettendo le gambe fino ad arrivare al livello della scrivania, accovacciandomi come un bimbo che gioca a nascondino. Mi accessi un'altra sigaretta. Cancellai, depennai, abolii, aggiunsi, inserii, modificai quella breve strofa ancora e ancora, sempre più insoddisfatto. 'Ddu frasi 'n croce 'a dda scrive, Damià. Mi passai la mano sulla fronte, scuotendo la testa. Mi alzai dirigendomi alla portafinestra, uscii in balcone prendendo una boccata d'aria fresca, la sigaretta salda tra le dita. Notai Maude a bordo piscina passeggiare avanti e indietro, stava parlando al telefono. La sentii ridere, con quella sua risata cristallina che mi faceva vibrare il cuore. Alzò lo sguardo, guardandomi sorpresa, il suo sguardo mi si appiccicò addosso, puntandomi alla parete come una farfalla da collezione. T'ha beccato. Mi aveva beccato come si becca un ragazzino, incapace di dichiararsi, fissare la ragazzetta che gli piace. Nun sai che farei pe' avette qua, tra 'ste braccia, tra 'ste mani così poco gentili, cosi rudi pe' quarcosa de così prezioso. Distolse fulmineamente lo sguardo. Aggrottai la fronte. Continuò a passeggiare indisturbata, questa volta non rise più, il volto una statua di cera. Che sta 'a succede, Maude? Te sento così lontana, lontana da me. Scossi la testa, gettando via la sigaretta ormai giunta al mozzicone, tornando alla mia sterile fase creativa. Dopo quasi mezz'ora la porta si aprì e due braccia mi circondarono affettuosamente.

"Ancora qui?" Disse baciandomi la guancia ispida. Avvolsi le mie braccia alla sue, sentendo una disperata necessità di sentirla vicino, di sentirne il calore, il profumo, di appartenerle, nient'altro che appartenerle. "Sono stanca. Andiamo a letto?" Mi sussurrò all'orecchio. Io annuii senza guardarla. Con un fluido gesto mi alzai e le avviluppai le braccia attorno al busto poggiando le labbra sulle sue, la sollevai e l'adagiai sul letto, in preda al desiderio. No, nun è desiderio, nun è voja de possederte, ma de amarte. 

 

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