"Er dolore incrementa er processo creativo?" Mi canzonò Thomas rigirandosi un foglio di carta appallottolato, un foglio scarabocchiato che avevo precedentemente gettato per terra, l'intero pavimento ne era cosparso, il divano in pelle marrone bruciato ne era disseminato. "Prova, magari riesci a scrive' 'n pezzo degno de nota 'na vorta tanto!" Dissi ironico senza alzare lo sguardo dal quadernetto dalla copertina nera, così poco familiare, e al tatto e alla vista. "Vòi?" Chiesi prendendo un sorso del liquido acre che da giorni ormai riempiva i miei bicchieri. "Anche questo aiuta 'a fase creativa?" Chiese agguantando la bottiglia che stazionava sul tavolinetto carbone di fianco al divano. "Non avevi smesso?" Continuò. Lo guardai in cagnesco, in tutta risposta, lui alzò le mani in segno di resa, scusandosi silenziosamente. Pensai anticipando un mio qualsiasi scatto d'ira, così frequenti da poco più di un mese. Pocahontas mi aveva definito una bomba ad orologeria, investendo, sbriciolando tutto fin dentro le viscere della materia. In fin dei conti era così che mi sentivo, il cuore che ticchettava come una bomba ad orologeria in uno stanzino vuoto, era come se mi avessero sviscerato e che solo il cuore fosse rimasto al suo posto, a penare in frantumi. "Posso?" Chiese prendendo un foglio che avevo lasciato all'angolo del piccolo tavolo quadrato, in attesa di revisione. Non risposi, lo lasciai fare. "Le Parole Lontane." Lesse alzando un sopracciglio, poi fece scorrere gli occhi nocciola sulla superficie della pagina spiegazzata. Mi sentii improvvisamente nudo. "E' solo 'na bozza, nulla d'importante. Da' qua!" Dissi balzando in piedi. Cercai di strappargli il foglio dalle lunghe dita esili, ma Thomas, di qualche centimetro più alto, alzò le braccia impedendomi di raggiungerlo. "'Nnamo, Thomas! Nun me va de gioca'!" Dissi estendendo il braccio, e con esso l'intero corpo, verso l'obiettivo. "Ah, Damia' dacce 'n taglio, me stai a scaciotta'! Famme fini'!" Disse il biondo puntando lo sguardo sulla mia disordinata grafia. Sospirai, lasciandomi cadere sul divano inerme, dolorante come un sacco da box. "E' de lei che parla." Disse senza distoglier lo sguardo dal testo. "Parla de Maude." Continuò. Portai entrambi i pugni all'altezza della fronte, sospirando profondamente. "No." Sussurrai. "Come?" Chiese lasciandosi andare alla poltrona poco lontano. "Non è di lei che parla." Il tono fermo. "'Nnamo, anche er muro lo capirebbe, Damia'." Rise gettando indietro la testa. "No." Ripetei, poi mi tirai su in cerca del suo sguardo. "Pensala, leggila pe' immagini." Gesticolai animatamente affinché le immagini disegnate prendessero forma nella sua testa. "Un artista, 'no scrittore magari. In riva al mare, sulla spiaggia. Un artista che scrive 'na lettera alla propria musa, perché incapace di sentirla, de percepilla." Soppesai le parole una ad una, ricercando attentamente quelle più appropriate. "Nun è de 'na persona reale, una persona in carne ed ossa che vojo parla', ma de 'n'idea, un'immagine, appunto. Qualcosa che mi apparteneva, che sentivo vivido nel profondo, qui na'a cavità toracica, e che ad un tratto andò perduto." Spiegai frettolosamente osservandomi la punta degli stivali consumati. "Nun te seguo. Ce sta er principio de un nome qui. 'Na M. è stata appuntata qui da quarche parte." Disse facendo correre il dito lungo il testo. "Immagina Maude, no Eva, come 'a musa tua. Immagina de non riuscì a scrive' più 'n pezzo senza lei, immagina che Eva sia 'a personificazione, in carne ed ossa, de quello che ciai qui dentro." Dissi indicando il mio cuore, poi il cranio. Finalmente annuì, conscio di ciò che intendessi. "Qua'a M. è solo 'na bozza, per inciso." Dissi strappandogli il foglio di mano e osservandolo attentamente. "Dam?" Il tono cauto. "Mh?" Mugugnai. "Perché nun ha funzionato?" Proseguì. Mi voltai di scatto guardandolo di sbieco, alzai lievemente il sopracciglio, poi riflessi. "Nun ho disinnescato. Ho trasformato 'a discussione nostra en 'na lotta de supremazia, pe' dimostralle che er torto era suo, che aveva cagato fori dar vaso, quasi come se cedendo, come se ammettendo 'e colpe mie, me fossi mostrato debole. Nella mia giovane vita ho capito che pe' sta' bene 'n 'ddue, pe' resta' in piedi insieme, bisogna fa' 'n passo 'ndietro. Nun importa da quale parte avvenga, perché infondo fare 'n passo indietro è come esse' avanti." Dissi sentendomi improvvisamente vuoto. Un lampo mi attraversò gli occhi scuri. Adesso so cosa fa'. Mi alzai di scatto, dirigendomi a grandi falcate verso la porta. "Damià, ma che stai a fa'?" Mi chiese lui seguendomi all'esterno, lungo il vialetto di ciottoli. Corsi fino alla macchina "Damià, ma 'ndo vai?" Urlò Lello seguendo il biondo."Torno a Roma. Se dovesse anda' bene, te la riporto domani mattina. In caso contrario ci vediamo tra poche ore." M'infilai in macchina rivolgendo un ultimo sguardo al mio migliore amico, poi partii alla volta di Roma.
Mi parcheggiai poco lontano dal familiare portone ligneo, spensi il motore e lasciai scivolare le mani lungo il volante. Sapevo fosse tornata, era stato Lello a dirmelo; doveva averlo saputo da Victoria. Sistemai lo specchietto retrovisore e mi osservai a lungo. Mi passai una mano sul mento, che più spigoloso del solito ospitava un'ispida barba incolta; gli zigomi mi sembrarono più alti che mai, tanto alti da formare due lunghi solchi lungo le guance scarne; i capelli ribelli mi incorniciavano la mandibola smussandone l'asprezza; gli occhi erano quelli che più mi sorpresero. Lo sguardo vitreo, carico di morte aveva lasciato spazio a qualcosa di nuovo, di inatteso. Per la prima volta dopo due mesi scorsi vita nei miei occhi, un'esigua fiammella albergava al loro interno. Che fosse speranza? Strinsi le mani attorno al volante, poi mi decisi ad uscire dalla vettura. M'incamminai lungo il marciapiede con passo sicuro, quando mi arrestai di colpo. Maude, un voluminoso pacco tra le mani, girò l'angolo venendomi incontro, poi si fermò. Ferma sul posto, in attesa, il viso rivolto nella stessa direzione da cui proveniva. Da quella distanza mi sembrò più minuta di quel che ricordavo, l'aderente t-shirt chiara aderiva al suo ventre, mettendo in evidenza il corpo più spigoloso che mai. -Credo abbia recuperato i chili persi.- Le parole di Victoria mi tornarono vivide nella mente colpendomi come una secchiata di acqua gelida in pieno viso. Devo averte fatto così male, pensai sentendo una voragine nel petto. Nonostante ciò un sorriso smagliante le solcava il volto lievemente abbronzato. Il cuore mi si arrestò in petto, le mani tremarono come il riflesso della luna nell'acqua. Incespicai, abbozzai un passo, deciso ad andarle incontro. Quando una figura slanciata svoltò l'angolo alla volta dei suoi passi. Era un ragazzo smilzo, esile almeno quanto me, ma apparentemente più basso di un paio di spanne, una zazzera di ricci neri gli copriva la fronte pallida, un sorriso gli squarciava beffardo il volto. Le si avvicinò prendendole di mano il pacco, poi le diede un bacio sulla fronte ed insieme, uno di fianco all'altra, si fecero strada lungo il marciapiede. Nun po' ésse, nun po' ésse. Una scarica di adrenalina percosse la mia spina dorsale spingendomi a darmela a gambe il più velocemente possibile. Mi girai e con uno scatto degno di un qualsiasi velocista afroamericano m'infilai in macchina sbattendo lo sportello. Strinsi entrambe le mani al volante con tale foga che le nocche si fecero più pallide del solito. Picchiai la testa contro di esse, maledicendo me stesso ancora e ancora. Mi sentii come prima di un terremoto, dove tutto sembra fermarsi, l'aria, i rumori, la natura poi tutto inizia a tremare e il cuore si ferma. Sentii un lieve calore pervadere la superficie di entrambe le mani. Allontanai lievemente il viso dalle mani, l'intera visuale annebbiata. 'Mo te metti pure a frigna'? Sentii l'ansia salire, bevvi quelle lacrime amare. Boccheggiai, boccheggiai in cerca di aria in preda ai ricordi, alle parole, che violente scorrevano vivide nella mente, come quando ci si tuffa da una scogliera e si finisce giù, sempre più giù, fino a raggiungere quello che apparentemente si presenta come l'oblio e poi tutt'un tratto sei di nuovo a galla, stremato, senza fiato, ma pur sempre vivo. Pregavo di perdermi nell'acqua di quel mare. Pecché que'e parole lontane, giuro, te'e vorrei urlare. Pecché te sento lontana, lontana da me. Picchiai i pugni sul volante, ancora e ancora. Mi aspettai di avvertirne il dolore, ma nulla. Era come se si fosse spezzato qualcosa dentro di me, cessò il piacere e con esso anche il dolore. Lo chiamavano cuore spezzato, ma non ne capivo il motivo, io sentivo tutto il corpo a pezzi. Le ossa si rompono, gli organi cedono e la pelle si lacera, e per ognuno di essi vi è rimedio. Le ossa si suturano, gli organi si sostituiscono e la pelle si ricuce. Ma quando sei tu ad andare in pezzi, quando è la tua parte più profonda a rompersi, cedere, lacerarsi, non vi è rimedio, si può solo camminare alla cieca, come quando da piccoli nel cuore della notte si percorreva il corridoio a tentoni sperando di non beccare uno stipite sulla fronte o una porta sul naso. Io su quello stipite, su quella porta mi ci ero lanciato.
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Icaro. | Måneskin. | Damiano.
FanfictionPer quel paio d'ali d'oro avremmo pagato tutto l'oro al mondo. Per quel traguardo, saremmo disposti a fare di tutto. Una musica che mi brucia nelle vene come sale grosso sulla lingua. Un fuoco. Una malattia. Solo questo e un paio d'ali, per andare u...