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M A U D E


«Elena?» Chiamai dal più piccolo dei due bagni, il più vicino alla mia camera, in fondo al corridoio. Nessuna risposta, solo il lontano sbatacchiare delle stoviglie proveniente dalla cucina.

«Elena hai visto il mio rossetto?» Alzai il tono sperando in una risposta. Guardai fugacemente il telefono sul bordo del lavabo; ero estremamente in ritardo. Tamburellai le dita sul bordo immacolato in attesa della mia coinquilina, indecisa sul fare a meno del mio immancabile rossetto nude per quella mattina. Comparve sulla soglia con fare colpevole, la mano nascosta dietro la schiena. Accennò un sorriso smagliante, quel genere di sorriso che mi ricordava i bambini dopo aver combinato qualche guaio, a metà tra il colpevole e l'astuto.

«Perdonami!» Piagnucolò ironicamente palesando l'oggetto davanti ai miei occhi.

«Merci.» Sfoggiai un sorriso euforico di rimando; poi, finii di truccarmi e corsi in camera scavalcando Elena -che si fece frettolosamente da parte-, agguantai lo zaino nero pece e mi fermai per una frazione di secondo guardandomi attorno per essere certa di non dimenticare nulla. Sfrecciai in corridoio, verso l'uscio.

«Non scordare l'umido!» Urlò Victoria dalla cucina, intenta a preparare la propria colazione, che avrei scommesso consistesse in un uovo all'occhio di bue su una fetta di pane tostato.

«Ciao!» Urlai afferrando il sacchetto della spazzatura adagiato sul pianerottolo di fianco all'uscio e fiondandomi fuori dall'imponente portone ligneo. Corsi a perdi fiato, liberandomi rapidamente dall'ingombro, verso la fermata della metro zigzagando tra la gente sul marciapiede. Controllai l'orario e mi maledissi per non essermi alzata al suono della prima sveglia; sarei dovuta essere al Museo Nazionale Romano, luogo del tirocinio, entro i successivi dieci minuti e ne avrei impiegati almeno venti per arrivare, senza tener conto dell'attesa ai binari. I tempi di attesa segnalavano tre soli minuti, quindi mi persi ad osservare i passanti. Scrutai gli uomini in abito che con la ventiquattrore e lo sguardo fisso sul cellulare stazionavano a pochi passi da me, ragazzini parlottare schiacciati dal peso di zaini ciondolanti troppo grandi, donne rallentate dai propri bimbi incuranti della loro fretta, avvicinarsi al binario.

La metropolitana arrivò e come previsto il viaggio durò poco, ma non abbastanza da evitarmi il ritardo. Non appena le porte si aprirono saettai lungo i tunnel verso l'uscita. Quando mi scontrai con un individuo almeno una spanna e mezza più alto di me; lo urtai sbadatamente con lo zaino ciondolante dalla spalla sinistra, che al contatto con il corpo marmoreo dello sconosciuto scivolò fino al mio gomito.

«Guarda dove metti i piedi, regazzì.» Il tipo inchiodò guardandomi in cagnesco. Il mio sguardo incrociò il suo, la cui profondità mi parve potesse inghiottirmi; il bordo del cappello contribuiva a gettargli una fitta ombra sugli occhi, che lo fece apparire seducentemente misterioso.

Icaro. | Måneskin. | Damiano.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora