Capitolo 6

17.1K 716 161
                                    

Buon pomeriggio!

Come vedrete leggendo, in questo capitolo abbiamo un po' di tutto proprio come Harry e Prim ci hanno abituati ad avere ahahah mi è piaciuto scriverlo perché mi ha dato la sensazione di cominciare ad andare nel verso in cui vorrei portare Under Pressure da ora alla fine della storia, sia per quanto riguarda il rapporto tra i protagonisti che per la pressione (perdonate il gioco di parole con il titolo, ma alla fine è a questo che si riferisce ahah) alla quale sono sottoposti fin da quando hanno lasciato Santa Barbara.

Spero come sempre che vi piaccia! Aspetto di sapere i vostri pareri :)

Un bacio e buona lettura! x

***

Harry mi aveva abituata al risveglio in solitario visto che, al mattino, lui aveva fin troppe energie ed io praticamente nessuna.

Per questo, quando aprii gli occhi e mi ritrovai da sola al centro del letto matrimoniale che avevamo condiviso, la sua assenza non mi sorprese poi così tanto; solo dopo qualche minuto, mettendomi a sedere e rendendomi allora conto che di lui non ci fosse traccia in nessun angolo della stanza, rimasi un po' più perplessa.

«Harry?» lo chiamai, sporgendomi in avanti per guardare oltre la porta aperta del bagno solo per trovare anch'esso vacante.

Mi alzai dal letto con l'intenzione di vestirmi e scendere per chiedere all'idiota alla reception se lo avesse visto uscire o avesse idea di dove fosse andato, ma, avvicinandomi alla scrivania, notai una tazza vuota ed un piatto contenente un toast, una brocca piena di caffè sotto la quale era stato infilato un piccolo foglietto di carta.

"Sono nel parcheggio, resta in camera e non venire in giro a cercarmi.

PS: lasciami un po' di caffè"

La prima cosa che pensai nel leggere il biglietto fu che non avevo mai visto la sua calligrafia prima di allora, ma, se mi fossi soffermata ad pensarci, l'avrei di certo immaginata esattamente come era: pulita, ordinata, quasi come se quelle parole fossero state battute a computer e non scritte a mano.

Poi, non appena misi da parte quel pensiero banale, il petto un po' mi si restrinse nel constatare che mi avesse portato la colazione in camera.

Harry. Harry che mi portava la colazione in camera. Non credevo che, nella mia vita, avrei mai visto arrivare quel giorno.

Sentendomi già su di giri dopo essermi svegliata da appena cinque minuti, divorai il toast e poi versai del caffè nella tazza, non pensandoci due volte ad aprire la porta e lasciare che il sole esterno illuminasse la camera. Mi poggiai alla ringhiera e subito lo individuai giù nel parcheggio esattamente dove mi aveva detto che sarebbe stato, chino sul cofano anteriore aperto dell'auto che non apparteneva a nessuno dei due con un attrezzo tra le mani ed altri sparsi sull'asfalto accanto ai suoi piedi. Il suo petto era nudo e ricoperto da una leggera patina di sudore come conseguenza del sole cocente che gli batteva sulla pelle e del caldo afoso, i lunghi capelli erano tenuti fermi all'indietro da un frontino ed il viso corrugato in un'aria concentrata: osservandolo in quel momento, i miei ormoni cominciarono a ballare la Macarena ed il mio buonumore aumentò, se possibile, ancora di più.

Nei minuti seguenti continuai a guardarlo lavorare mentre, intanto, sorseggiavo il mio caffè, non sorprendendomi del fatto che sapesse esattamente cosa stava facendo anche mentre aggiustava qualcosa in una dannata macchina. Il giorno in cui avrei trovato qualcosa che non sapeva fare sarebbe arrivata la fine del mondo, di questo ne ero ormai certa.

Raddrizzò la schiena e si passò un avambraccio sulla fronte per togliere il sudore, quando sembrò aver terminato qualunque cosa stesse facendo, e solo allora i suoi occhi mi trovarono ed il suo cipiglio aumentò ancora di più, proprio come, in contrapposizione, fece il sorriso sulle mie labbra.

Under PressureDove le storie prendono vita. Scoprilo ora