25.Qualcosa che non va

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- Buonasera, come posso servirla? - Marinette sospirò ancora, mentre continuava a fissare lo sguardo su un punto indefinito della stanza. Dal suo tono monocorde e dalla sua espressione assonnata, chiunque avesse messo piede nel negozio dei suoi avrebbe capito quanto fosse stanca: d'altronde, lavorare per tutto il giorno senza fermarsi neanche un secondo, tranne per la pausa pranzo, non è mai stata una passeggiata per nessuno. - Hey, ti senti bene? - fu una voce maschile a parlare. Nel riconoscerla, la corvina non riuscì proprio a frenarsi dall'alzare gli occhi al cielo, infastidita. - Ancora tu? - esclamò. Sapeva perfettamente che avere dei cliente abituali fosse molto importante, e che "Più se ne ha, meglio é", come diceva sempre sua madre. In quel caso però, quando uno di loro diventava talmente ossessivo da presentarsi lì quasi tre volte al giorno con la scusa di ordinare qualcosa, ma con la reale intenzione di provarci con la commessa, credeva di meritarsi a pieno diritto di dirgliene quattro ogni volta che volesse. E al diavolo il detto: "Il cliente ha sempre ragione"! - Mai stata meglio. - rispose, ovviamente ironica. - Allora, vuoi ordinare qualcosa, o preferisci rimanere lì impalato tutto il tempo? - si spazientì, d'un tratto, nello scorgere un sorrisetto beffardo farsi strada sul suo viso. - Hey hey, rilassati. Ma che ti prende? Ti sei alzata con il piede sbagliato, per caso? - ci scherzò su, peggiorando di gran lunga la situazione. - Cosa mi prende? Cosa mi prende? E me lo vieni a chiedere proprio tu, che continui ad entrare qui dentro ogni giorno e ad impicciarti dei fatti miei, Philippe? - alzò improvvisamente il tono della propria voce, per poi incrociare le braccia al petto e lanciargli uno sguardo truce. Se le occhiatacce avessero potuto uccidere, molto probabilmente quel ragazzo sarebbe stato già morto e sepolto. - D'accordo: non vuoi parlarne, è chiaro. - lui portò le mani in avanti, in segno di resa. - Esatto, perciò adesso fammi il piacere di ordinare subito qualcosa o di uscire e di non farti più vedere. - indicò la porta con l'indice, giusto per rendergli ancor più chiare le idee. - Aspetta, aspetta, aspetta: chi ti da il diritto di cacciarmi via così? Io sono solo un povero cliente. - lui mise su un broncio, fingendosi dispiaciuto, e rischiando seriamente di essere preso a schiaffi dalla sua interlocutrice. Marinette infatti, dopo tutte le volte che si erano incontrati, era giunta al punto di non riuscire più a sopportare né lui, né il suo modo di comportarsi. Detestava il fatto che fosse piombato nella sua vita in un giorno lavorativo qualunque, e avesse continuato ad intrufolarvisi a suo piacimento senza il suo permesso, nonostante lei avesse messo in chiaro sin da subito di non essere minimamente interessata a conoscerlo. - Un "povero cliente" non direi proprio. Credo ti si addica di più il titolo di "cliente rompiscatole". - lo riprese. - E comunque, ormai è troppo tardi: stiamo per chiudere. - e indicò l'orologio appeso al muro che segnava all'incirca le nove meno venti. - Be', ma è perfetto! Giusto in tempo per andare a cena fuori. Che ne diresti? Conosco un posticino niente male che si trova proprio qui accanto. - le strizzò un occhio, con aria complice. Lei, esasperata più che mai, si spiattellò una mano sul volto e, un attimo dopo aver preso un grande respiro: - Se accetto, mi lascerai finalmente in pace? - gli chiese, puntando i suoi occhi azzurri sulla sua figura alta e asciutta. - Ma certo: hai la mia parola. - allora la corvina mormorò un semplice: - D'accordo. - prima di levarsi il grembiule, e di seguirlo fuori dal negozio. Era certa che se ne sarebbe pentita amaramente, eppure decise di rischiare.

- Mangia almeno qualcosa, ti prego! - la supplicò lui, poiché Marinette stava continuando a fissare il proprio piatto, rimasto ancora completamente intatto da quando le era stato portato, e a sbriciolare il suo tovagliolo in tanti piccoli pezzettini. - Non ho molta fame. - si giustificò così. Che lui ci credesse o no, era vero: aveva lo stomaco chiuso da un paio di giorni a quella parte e, in realtà, non ne sapeva spiegare neanche tanto il perché. Insomma, era risaputo che stesse attraversando un periodo abbastanza pieno di lavoro, e in più c'era anche la questione dei preparativi del matrimonio di Alya che la stressava parecchio, però... No: credeva si trattasse di qualcos'altro. - Be', in fin dei conti, se lavorassi anch'io in una pasticceria come la tua, una volta tornato a casa credo che avrei la nausea, per tutto quello zucchero. - sdrammatizzò l'altro. - La pasticceria non é mia, ma dei miei: io ci lavoro soltanto part time. - chiarì lei, invece, con la stessa aria da funerale di qualche secondo prima. - Ah, non lo sapevo. E... Perché continui a lavorarci, se non ti piace? - domandò, tutto d'un tratto, lasciandola di stucco: non aveva mai incontrato un tipo così tanto sfacciato ed invadente in vita sua. - Cosa? Chi ti ha detto che non mi piace? - si accigliò. - Nessuno, ma mi è bastato osservare la tua espressione mentre ne parlavi, per capirlo. Non ti hanno mai messo al corrente dell'esistenza del linguaggio del corpo? - lui alzò un sopracciglio castano. - E a te non hanno mai messo al corrente dell'esistenza di una qualità, in gergo chiamata: "farsi gli affaracci propri"? - era davvero incredibile come quel ragazzo fosse in grado di farle saltare tutti quanti i nervi, nell'arco di una sola frase inopportuna. - Okay, okay, okay. - iniziò, allora. - Hai ragione: forse mi sto comportando un po' troppo da impiccione. - - Forse? - - Sì, forse. Perché, in fin dei conti, sto solo cercando di conoscerti. Che io sappia, nessuno é mai stato arrestato per aver posto qualche domanda! - si ritrovò a ridere da solo, perché Marinette non credeva ci fosse assolutamente niente di divertente in ciò che aveva detto. Così, imbarazzato per la piega che stava prendendo la conversazione, si schiarì un po' la gola e: - Credo che abbiamo iniziato col piede sbagliato, tu ed io. Perché non ricominciamo tutto daccapo? - propose, sporgendosi verso la sua parte del tavolo e alzando le sopracciglia, speranzoso. La corvina non rispose subito, ma si prese qualche secondo per continuare a sostenere il suo sguardo, e per cercare di decifrare i pensieri che gli frullavano per la testa. - Mi spieghi il motivo per cui continui in modo così ostinato a cercare di essermi amico? Sai benissimo che sono sposata, eppure non demordi. Hai un'altra ragione per stare qui a parlare con me, non é vero? - chiese, assottigliando gli occhi azzurri e scrutandolo con aria da indagatore. Inutile dire che Philippe rimase del tutto sorpreso dall'atteggiamento dell'altra, sia per la grande sicurezza che aveva dimostrato nell'esporre la sua teoria, ma sopratutto perché ci aveva azzeccato in pieno. Aprì la bocca per parlare, ma la richiuse subito dopo, senza parole. - Io... - deglutì. - ... Sono rimasto molto colpito da te, sin da quando ti ho vista per la prima volta. A dire la verità, devo ammetterlo: ti avevo notata già un bel po' prima di decidermi a parlarti. - spiegò. - La tua bellezza... La tua bellezza mi ha lasciato senza fiato, dico davvero. Io che sono sempre stato abituato, per lavoro, ad avere a che fare con donne di un certo fascino, di un certo portamento, mai ero rimasto così abbagliato da una di loro. - questa volta fu Marinette a rimanere a bocca aperta. - Io... Sono lusingata, Philippe, ma... - - Aspetta, lasciami finire. - la interruppe. - Avevi ragione: non ho cercato di avvicinarmi a te soltanto per cercare di esserti amico... - sospirò. A quel punto però, Marinette non aveva più voglia di sentire il resto. Era felicemente sposata da quasi un anno, e non si sarebbe fatta abbindolare da uno qualunque soltanto per la sua grande abilità nel parlare. Le sue parole sarebbero potute essere anche le più vere e pure del mondo, ma lei non era tipa da frequentare altri uomini che non fossero suo marito. Così, nel tentativo di andarsene via da lì con una scusa, abbassò lo sguardo sul suo orologio da polso e: - Si é fatto davvero molto tardi, devo andare... - si alzò dalla sua sedia alla velocità della luce, così che l'altro non avesse neanche il tempo di fermarla. Si strinse poi la borsa a tracolla al petto, e cominciò a correre verso l'uscita. - Marinette, aspetta! Stavo per dirti una cosa importante! - le gridò dietro Philippe. - Grazie tante per la cena, ma sarà per un'altra volta. - lei lo ignorò e, una volta fuori dal locale, sparì completamente dalla sua vista: sembrava quasi che si fosse volatilizzata nel nulla. Perciò, oramai sconfitto ed amareggiato, dopo essersi lasciato andare ad un sonoro sbuffo, il ragazzo ritornò dentro e si decise a terminare il sandwich al prosciutto e al formaggio che aveva ordinato.

Serena

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