32.L'inizio e la fine di un sogno

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Marinette sbuffò ancora una volta, prima di lanciare uno sguardo attorno a sé e di rigirarsi quel bigliettino da visita tra le dita come se si trattasse di una banconota da cento che non le apparteneva. Si mordicchiò il labbro inferiore con grande nervosismo, sempre più convinta di aver fatto la scelta sbagliata. Quella mattina, quando aveva realizzato di dover necessariamente recarsi alla pasticceria dei suoi per lavorare, le parole di Philippe non avevano fatto altro che ronzarle nella testa per tutto il tempo, tormentandola come aveva fatto lui dal primo istante in cui si erano incontrati: - Non accontentarti mai di niente nella vita: va' sempre in cerca di qualcosa che ti faccia stare meglio, perché non saprai mai delle opportunità che ti vengono offerte, fino a quando non te le vedrai scivolare via dalle dita. E credimi: non sarà affatto una bella sensazione. - Era inutile cercare di negarlo: negli ultimi tempi non si sentiva affatto soddisfatta della vita che conduceva. L'impegno che aveva preso per conto dei propri genitori la costringeva a recarsi quasi ogni singolo giorno in un ambiente che, seppur le fosse ormai diventato familiare, non riconosceva affatto come adatto a lei. La ragazzina che era stata in passato l'avrebbe sicuramente scrutata con profonda delusione, non appena fosse venuta a conoscenza del suo fallimento. Perché sì, aveva fallito: non era riuscita a realizzare il proprio sogno, a diventare una di quelle donne indipendenti e super carismatiche a cui si era sempre ispirata. Non aveva conseguito una laurea, non aveva mai partecipato ad un colloquio di lavoro, né dovuto compilare un vero e proprio curriculum... Si era accasata ben presto con la certezza che un giorno avrebbe ereditato il negozio e l'attività di famiglia perché non avrebbe potuto fare altrimenti. D'altronde, non avrebbe mai potuto affrontare la disillusione dei suoi. Semplicemente, si era arresa, e nei momenti in cui questa consapevolezza si era fatta largo tra i propri pensieri e si era manifestata con maggiore determinazione degli altri, Marinette non aveva potuto far altro che ricacciarla indietro, amareggiata. "Dovresti ringraziare il cielo per averti donato la possibilità di lavorare senza bisogno di un titolo, perché al giorno d'oggi non é affatto facile!" le ripeteva sempre una vocina nella sua testa. Eppure ancora non si sentiva abbastanza. In quel preciso istante infatti, si trovava davanti alla porta dello studio stilistico di Philippe, e non riusciva a smettere neanche per un secondo di torturarsi mentalmente per la propria avventatezza. Se ripensava al fatto che fosse stato proprio lui ad insinuarle quei grilli per la testa sin da subito, anche se in una maniera piuttosto subdola e nascosta, le veniva una gran voglia di prenderlo a sberle, perché adesso non era più in grado di mandarli via. Ma, in fin dei conti, dell'ultimo spiacevole incontro che avevano avuto le aveva colpito molto un aspetto in particolare: finalmente qualcuno che non fosse suo parente o suo amico aveva apprezzato il suo operato, accendendo, anche se per un attimo brevissimo, quella stessa speranza che l'aveva condotta fin lì e che desiderava con tutto il suo cuore riavere con sé. La faceva sentire viva, sprizzante di energia, le regalava la voglia di saltellare in giro come quando era bambina... Così, alzata la mano destra chiusa in un pugno, bussò. Una, due, tre volte: alla quarta ecco presentarsi l'oggetto della sua ricerca. - Marinette, ma che magnifica sorpresa trovarti qui. C'é qualcosa di cui vorresti parlarmi? - lui le mostrò il sorrisetto a trentadue denti di sempre. - Ciao, Philippe. Scusami tanto per essere piombata da te così all'improvviso, ma non ce la facevo proprio più. - tirò su un profondo respiro, prima che l'altro la facesse accomodare dentro alla stanza con un gesto della mano. - Calmati: ti vedo troppo agitata. - sdrammatizzò, benché lo divertisse parecchio vederla sventolarsi il viso con un foglio di carta tirato fuori dalla propria borsetta. - Hai ragione, perdonami... È solo che... - deglutì a vuoto, mentre il castano continuava a scrutarla con i suoi occhi color grigio scuro stracolmi di curiosità e di desiderio di scoprirne di più. Marinette però, ebbe un ultimo attimo d'esitazione, prima di riuscire a riprendere parola e a domandargli: - Credevi davvero ciò che mi hai detto in quel bar l'ultima volta? - dal suo sguardo insicuro era evidente dedurre che arrivare a presentarsi lì di prima mattina per una simile questione non le fosse stato facile per niente. - Ci siamo detti tante cose l'ultima volta che ci siamo visti... A cosa ti riferisci di preciso? - il ragazzo invece pareva leggermente confuso. Si grattò il collo con la mano destra e la guardò con tanto d'occhi, come se gli avesse appena raccontato di aver visto degli unicorni arcobaleno camminare lungo la strada. - Mi... M-mi hai fatto i complimenti per quegli abiti da sposa che avevo abbozzato sul mio quaderno. Non te lo ricordi? - abbassò il tono della voce fino a ridurlo ad un leggero mormorio, imbarazzata più che mai dalla piega che stava prendendo quella situazione. Avrebbe voluto darsi uno schiaffo in faccia da sola per essere passata dal comportarsi con lui in modo tanto forte e deciso, all'essere sempre timorosa di dire qualcosa di sbagliato. - Oh, sì. Mi ricordo... Io... Sì, ero serio quando ti ho detto quelle cose: dal poco che ho potuto osservare mi sembra che tu abbia delle ottime capacità, pur essendo un'autodidatta. É ovvio che ci siano ancora molte cose da imparare per migliorare, ma chi non ne ha? - rispose molto sinceramente, perché illuderla con false speranze sarebbe stato soltanto inutile, oltre che meschino. - Come mai me lo chiedi? - allora la corvina accennò ad un piccolissimo sorriso e: - S-semplicemente io... Ecco... Non è facile per me parlarne con qualcuno, perché ne ho fatta a mala pena parola con mio marito, ma... - si bloccò un attimo per tirare un ulteriore lungo respiro, così da darsi la forza per confidargli ciò che le frullava per la testa da un bel po'. Sapeva che se la Marinette del passato l'avesse vista in quel momento si sarebbe meravigliata di se stessa: insomma, confidarsi con un tipo conosciuto da così poco e con un carattere particolare come il suo? Non era affatto una buona idea! Non che lei non lo capisse: anzi, lo capiva eccome! Eppure non aveva resistito, perché sentiva il viscerale bisogno di aprirsi con qualcuno che non fosse Tikki o Alya, e che l'ascoltasse parlare dall'inizio alla fine senza giudicarla. Persino Adrien, la persona che amava più di tutti al mondo e quella con cui aveva deciso di trascorrere il resto della propria esistenza, non l'avrebbe mai potuta comprendere al cento per cento. D'altro canto, lui non aveva mai avuto di che lamentarsi, perché sin da piccolo gli era stata servita su di un piatto d'argento una grandiosa opportunità di lavoro che gli aveva spianato la strada di tutta una vita... Aveva provato spesso a parlargliene, a dire il vero, ma la conversazione aveva quasi sempre preso una piega diversa, fino ad arrivare a concludersi con un "Fa niente" mormorato dalla corvina in un fil di voce. Per quanto l'idea non le piacesse, doveva farsi coraggio e affrontare la realtà dei fatti, perché da troppo tempo cercava di sfuggirle. - Quando ero piccola ricordo che mia madre mi cuciva spesso dei vestitini molto colorati ed appariscenti che mi faceva indossare durante le feste in famiglia e le domeniche mattina passate in chiesa. Io ne andavo pazza, tant'è che ben presto iniziai a sdraiarmi al suo fianco tutte le sere, aspettandomi che prendesse in mano ago e filo per mettersi a cucire qualcosa per me. Così, una volta cresciuta, la prima cosa che ho voluto imparare a fare è stata proprio quella, e da lì, lo devo proprio dire: non ho mai più smesso. - sorrise, questa volta seriamente, mentre l'altro continuava a mantenere lo sguardo fisso nel suo e attendeva di sentire il resto, interessato. - Per una gran bella parte della mia adolescenza sono andata dicendo in giro di voler fondare un intero brand di moda firmato Dupain-Cheng e di voler diffondere in tutto il mondo i modelli che realizzavo, ma poi, arrivato il momento di scegliere l'università, il mio sogno è andato inevitabilmente in pezzi. - si incupì tutto d'un tratto, perché ripensare al brutto periodo che aveva passato la faceva star male come se lo rivivesse ogni singola volta daccapo. - E come mai... ? - le chiese lui, le sopracciglia castane aggrottate in una smorfia. - Be'... Ai tempi i miei dovettero spendere tutti i risparmi che erano riusciti a mettere da parte per il mio futuro a causa di alcuni problemi economici che riguardavano il negozio, ed io fui costretta ad accantonare la mia prima opzione per cercarne una più alla nostra portata, ma ovviamente si rivelò tutto un ennesimo, enorme fallimento... - - Perché? Che cosa successe? - - Diciamo soltanto che, durante l'estate già abbastanza infernale del mio ultimo anno di superiori, la situazione non poté far altro che peggiorare ancor di più, perché la mia domanda d'iscrizione fu brutalmente rifiutata, ed io mi ritrovai di nuovo col sedere per terra. - sospirò, sconfitta. - Ma è terribile! E poi hai più riprovato? - - All'inizio era quello il mio intento: mandarla a quanti più istituti di moda possibili per cercare di essere accettata. Ma poi... Accadde qualcosa che mi fece perdere del tutto la voglia di creare e di continuare a perseguire quello che allora consideravo il mio più grande sogno... -

Serena

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