CAPITOLO 38

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"Ciao" dico secca mentre apro la portiera ed esco dal taxi senza aggiungere altro.

Quando siamo scesi in aeroporto la macchina di Adam non c'era più, da quel che ho capito David è passato a prenderla in questi giorni.

Adam si limita a scrollare la testa in segno di saluto ma non dice niente; i suoi occhi sono fermi fuori dalla finestra e non mi sta neanche guardando.

Faccio il giro del taxi e affianco il tassista che sta tirando fuori la mia valigia dal portabagagli.

"Grazie mille" lo ringrazio con un cenno del capo.

"Si figuri signorina, le auguro una buona giornata!" Mi dice prima di chiudere il portabagagli e risalire dentro il taxi per portare Adam a casa.

Siamo atterrati circa una quarantina di minuti fa e ora è quasi mezzanotte.

Siamo partiti dall'aeroporto di Los Angeles verso le 13.00 circa.

Il viaggio l'abbiamo passato in silenzio, ignorandoci categoricamente; non una parola a lasciare le nostre labbra.

La cosa era andata avanti già dal giorno prima, quando per un goccio d'acqua, ho finito per assetare la mia delusione.

Quando quella mattina mi sono svegliata mi ero sentita stordita, per tutto il tempo.

Dopo l'incontro con Adam avevo finito per dormire pochissimo.

Susanne se ne era già andata e Adam era già sveglio e seduto a fare colazione.

Avevo ringraziato con tutte le mie forze che se ne fosse andata prima del mio risveglio perché se l'avessi trovata lì avrei rischiato solo di innervosirmi già di prima mattina.

Con Adam il nulla.

Ci eravamo scambiati a malapena monosillabi, lo stretto necessario: informazioni sul viaggio o a che ora avremmo lasciato la casa.

Tiro la valigia che provoca un rumore assordante sulla strada, ma quando mi rendo conto che sta facendo troppo rumore, la sollevo a fatica e mi affretto ad arrivare all'ingresso.

Non voglio svegliare tutto il vicinato.

Quasi inciampo su un gradino; la luce dei lampioni è fioca e non illumina abbastanza.

Inoltre c'è un freddo glaciale e io ho addosso solo il giacchetto in jeans con cui sono partita tre giorni fa.

Prendo l'ascensore e quando si ferma al mio piano scendo con cautela. Si sente solo il rumore dei miei passi, l'eco che rimbomba tra le pareti vuote.

Sicuramente Sara starà dormendo; sorrido quando ricordo che mi aveva detto che mi avrebbe aspettata sveglia.

Sicuramente non è riuscita nel suo intento.

Metto le chiavi nella serratura e giro piano cercando di non fare rumore, la porta scatta sotto la mia mano e io la spingo davanti a me per riuscire a spingere dentro la mia valigia.

Riesco a sentire un fievole chiacchiericcio, che colgo subito come quello della tv.

Lascio la valigia vicino alla porta e mi avvicino di soppiatto al salotto.

Mi apro in un sorriso quando vedo Sara addormentata sul divano; la mano sul telecomando e la testa appoggiata al manico in un movimento che sicuramente non era in programma, perché sicuramente aveva lottato contro il sonno fino all'ultimo.

La tv che proietta le sue luci illuminando parzialmente il salotto buio e il volume basso appena udibile.

Mi avvicino lentamente al divano e attenta a non svegliarla le sfilo il telecomando dalle dita.

Il mio desiderio alla fontana di TreviDove le storie prendono vita. Scoprilo ora