CAPITOLO 40

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"Che vuoi?" Chiedo secca mentre con la mano tengo la porta ancora aperta a metà; in un gesto che sottintende il mio non volerlo qui.

I miei occhi ricadono addosso al suo abbigliamento; pantaloni della tuta e ai piedi delle converse nere.

Al busto una giacca che sembra troppo leggera per il tempo che fa fuori.

È quasi dicembre.

"Mettiti qualcosa, dobbiamo andare in un posto" si limita a dire; solo allora mi rendo conto che i suoi occhi si soffermano ovunque tranne che sui miei.

Il modo in cui sposta il suo peso da un piede all'altro maschera un....nervosismo?

Un nervosismo quasi impercettibile, insolito.

"Cosa non hai capito di quello che ci siamo detti prima?- parlo, ma questa volta a differenza di stamattina la mia voce esce bassa e lineare, quasi senza forze, quasi a non voler urlare altrimenti- basta Adam, non ti seguirò da nessuna parte" sbuffo avvilita.

Faccio per richiudere la porta ma la sua mano ci si scatta sopra, a qualche centimetro di distanza dalla mia, laddove i miei occhi finiscono.

La blocca con estrema facilità; annichilita sotto di lui, senza forze.

"Hai detto che io decido per gli altri no?- parla dallo squarcio di porta quasi chiusa- bene, ora fammi dimostrarti una cosa" riesco a vedere il modo in cui sembra sforzarsi di parlare.

I suoi lineamenti un uragano in trattenimento e mi chiedo il perché.

Lo guardo confusa, completamente.

Di che cosa sta parlando? A cosa si riferisce?

"Di che parli Adam?" Scuoto la testa confusa mentre controvoglia ritorno ad aprire di poco la porta.

"Seguimi e lo vedrai ma se non vuoi farlo io non ti obbligherò, sappi però che se non lo farai non avrai più ragione di biasimarmi in alcunché" parla serio, fin troppo, mentre i suoi occhi riflettono le ombre nere dietro di lui, che provengono dal palazzo avvolto dal buio.

"Ti aspetto giù in macchina" dice prima di sparire giù lungo le scale; i passi decisi mentre si allontana e nelle mie orecchie solo il rimbombo delle sue scarpe contro il pavimento bianco di cera.

Le luci ancora spente e le sue spalle, che si allontanano mentre si fondono nel buio in un gesto di natura così normale da lasciarmi afasica.

Resto ferma per non so quanto, la porta aperta mentre l'aria fredda entra a pizzicarmi il volto.

Non so neanche per quale motivo, non comprendo neanche il senso del mio gesto, quando una decina di minuti dopo sto scendendo le scale.

La testa da tutt'altra parte e il presentimento che una volta giù, non ci sarà più, che sarà già andato.

E invece quando apro la porta e l'aria fredda colpisce il mio volto come a risvegliarmi da tutta questa situazione, la mini di Adam fa capolino davanti ai miei occhi.

Ancora ferma lì.

Riesco a vederlo dentro la macchina; appoggiato con entrambi i gomiti sul volante della macchina ed una mano che passa ripetutamente tra i capelli.

Sospiro abbattuta quando la mia mano afferra la maniglia della portiera e la apre in un gesto secco, che lo fa sobbalzare e alzare di scatto gli occhi su di me.

Riesco a vedere un filo di sorpresa insinuarsi tra le sue sopracciglia intricate in un gesto anormale e in un gesto veloce rigira la testa davanti a sè; lo noto con la coda dell'occhio infilare le chiavi e girarle, accendendo così la macchina.

Il mio desiderio alla fontana di TreviDove le storie prendono vita. Scoprilo ora