capitolo 5

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"non vedo l'ora che arrivi lunedì per vederti perdere la scommessa, diamantino mio! Ti toccherà pagarmi il caffè per il resto dei tuoi giorni" dice il messaggio. In un paio di settimane, mi ha soprannominata diamantino. Non so nemmeno io perché. La scommessa a cui fa riferimento è banale. Tutto è iniziato perché gli ho detto che mi piacerebbe guidare un camion, visto che guido tranquillamente l'autobus del mio fidanzato. Sì. Gli ho detto di Alessandro. La sua risposta è stata una risata. E un "Beh, allora vedremo...", detto sorridendo. "Scommettiamo?" è stata la mia risposta. Il mio numero di cellulare l'avrà sicuramente preso dal mio curriculum, dato che non ci eravamo mai scritti prima d'ora.

Alessandro si è alzato come una furia, andando a rinchiudersi in cucina. Gli sono corsa subito dietro per capire cosa fosse successo. "Cos'hai? Perché sei scappato di corsa?".

I suoi occhi rimangono puntati sul pavimento. "Non lo so. Dimmelo tu, diamantino" mi dice, pronunciando quel soprannome con un'espressione mista di disgusto e rabbia. Mi fermo un attimo per ammirare il suo viso: i suoi capelli neri e un po' lunghi fanno da cornice ad un volto bellissimo. Ancora bellissimo, nonostante i suoi quasi cinquant'anni. I baffi con le basette e quell'accenno di barba gli danno ancora un aspetto irresistibile, tanto da attirare gli sguardi delle donne quando se ne va in giro e delle ragazze in preda agli ormoni quando lavora. "Tutto questo per un cavolo di soprannome?". Mi avvicino e appoggio la mano sulla sua spalla, avvertendo la sua tensione. "Non è solo quello, Marta!" accenna una risata. "Diamantino" ripete sottovoce e ridendo. Torna serio. "Chi è Matteo? E perché io non so niente di lui?". Giusto. A Matteo ho parlato di Alessandro. Più che altro, gli ho detto che sono fidanzata e basta. Ma ad Alessandro non ho mai accennato nulla di Matteo. Non ho ritenuto importante parlargliene. Almeno fino ad ora. Dopo avergli raccontato tutto, con calma, la rabbia che covava dentro di sé sembra svanita. Ma rimane la delusione per avergli nascosto delle cose. "Che rapporto sì è creato tra voi due?" mi chiede, tenendo in mano la sua tazza di caffè. Voglio essere sincera con lui. Gli racconto tutto, compresi i dettagli, dal primo giorno.

"Tutto qui?" mi chiede, alzando un sopracciglio. "S-sì" balbetto. "Credo di doverti delle scuse. Per essere scappato così. Per essermela presa senza prima sapere come stanno realmente le cose". I suoi occhi nocciola fissano i miei implorando perdono. In quel momento, persa nei suoi occhi, mille dubbi balenano nella mia mente e la realtà mi pesa addosso come un macigno. I mie diciannove anni contro i suoi quarantaquattro. Venticinque anni che ci separano. E quella paura di perderlo. "Perdonato!" dico, dandogli un bacio sulla fronte. "Marta? Alessandro? Tutto bene?" la voce di Paola pone fine a questo momento di tensione. "Sì, tranquilla. Stiamo solo preparando altri drink!". Usciamo dalla cucina. Alessandro dietro di me, in silenzio.

 Più volte, nell'ultimo anno, ci siamo trovati a parlare seriamente dell'abisso che ci divide. Per non parlare di tutte le volte che me lo ricordano i miei. Ma ci amiamo. È questo che conta.

Le settimane passano troppo in fretta. Siamo già a dicembre. Da un paio di giorni, in ufficio,si percepisce una certa agitazione. Il motivo è la cena aziendale, in programma proprio questosabato. "Marta, tu vieni, vero?". Alzo lo sguardo e Lucia, una delle colleghe più anziane, mi guarda con un sorriso ed unosguardo che sembra quasi implorarmi. "Certo, Lucia. Ci sarò!". Lucia è una donna sulla cinquantina. Una delle colleghepiù anziane dell'ufficio. Noi ragazze approfittiamo di un momentodi pausa per parlare di cosa avremmo indossato la sera della cena. Tuttevestitini con tacchi, naturalmente. "Mi raccomando, Marta: non fare ingelosire il tuofidanzato!". Rido. "No, tranquilla. Non è geloso per cose come queste". Torno alla mia scrivania, tra mille pensieri.Troppi, visto che non mi accorgo di Matteo che mi sta osservando da un po' di tempo. "E così sei fidanzata" mi chiede, avvicinandosi.


Che vuole? Mi sembradi avergli già raccontato quel che deva sapere. Mi scruta conocchi pieni di gelosia, quasi infastidito per la cosa. "Sì. Si chiama Alessandro" rispondo sognante. "E a quanto pare, la cosa è seria..." dice, avvicinandosi e prendendo tra le mani l'anello che porto sempre al collo. "Sì", rispondo, mentre mi riprendo la collana. "E, se non ho visto male, avete un bel po' di anni di differenza..." si accomoda alla scrivania, indifferente. "Ah! Quindi mi hai osservata!". Incrocio le braccia mentre mi siedo alla miascrivania. Inarca un sopracciglio e sorride. "Inizi a farmi paura, Matteo...".

"Ci sarà d divertirsi alla cena, sabato!" dice, cambiando discorso. Mi rimetto al lavoro,senza far caso a lui, anche se mi risulta difficile: oggi è davvero attraente. Capelli neri appuntiti conil gel, basette e barba non rasata da alcune settimane ma non trascurata e, avalorizzare il suo fisico perfetto, non mancano camicia bianca, pantaloni scurie cravatta rossa. "Ok, Marta. Concentrati!" mi dico mentalmente. "Non lasciarti coinvolgere con uno così!".

Dopo un'intensa giornata di lavoro, non vedo l'ora di arrivare a casa di Alessandro ed essereavvolta dalle braccia del mio amore. Il cuore mi batte forte mentre infilo la chiavenella serratura.

"Eccoti, meinLiebe". Un caldo bacio mi accoglie. "Cos'è tutta questa dolcezza? Ti sono mancata così tanto?". Lo abbraccio. "Tu mi manchi sempre!". Proprio di questo avevo bisogno: una seratacon la persona che amo. Piena di coccole e senza preoccupazioni.

"Sai che sono stata invitata alla cena aziendale?" dico, mentre mangio l'ennesima fetta di pizza. "Davvero? Quand'è?" mi chiede, continuando a mangiare. "Questo sabato. A dire la verità, non ho capito bene dov'è il ristorante, ma non importa. Salgo inmacchina con le ragazze!". Annuisce e sorride. Non smetterò mai di amare quel sorriso.

Mai.

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