Capitolo 34

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"Ti avrei parlato della lettera". La sua voce è dura e inespressiva. Si avvicina lentamente a me, alzando lo sguardo verso Paola, che si trova alle mie spalle, in silenzio. "Perché devi sempre anticipare tutto?" Ora si trova così vicino che i nostri corpi si sfiorano. I nostri sguardi non si sono mai allontanati. "Scusa". Deglutisco a fatica. "Non ho fatto apposta a leggere la notifica. Non riuscivo a dormire. Ero in piedi ad osservarti e ho visto il telefono illuminarsi". È la verità. Siamo avvolti da un silenzio quasi spettrale. Si sentono solo il nostro respiro ed i rintocchi del campanile. Alza un sopracciglio.

"E così mi stavi guardando?". Nei suoi occhi vedo una scintilla di divertimento, mentre le sue labbra si curvano lentamente in un sorriso. Non riesce ad essere arrabbiato con me per più di qualche minuto. "Vieni qui". Le sue braccia si allargano. Non me lo faccio ripetere due volte. Mi precipito tra le sue braccia. Entriamo in casa e, vista l'ora, prepariamo il pranzo. "Ti va una pasta al pomodoro?". Alzo lo sguardo dal fornello ed incrocio quello incuriosito di Paola, che annuisce sorridendo. A tavola, l'argomento principale della discussione, è ovviamente la situazione attuale. "Devi parlare con tuo padre, Marta" mi dice Paola, prima di andarsene. È più facile a dirsi che a farsi. Ultimamente, in casa non proferisco parola con nessuno se non a monosillabi. La situazione è diventata insopportabile per tutti. Ed io non ce la faccio più. "Dovremmo parlare tutti assieme". Alessandro mi raggiunge sul divano, afferrando il cellulare con rabbia. "Che fai ora?". Aggrotto la fronte, sorpresa da quel gesto così impulsivo. "Chiamo Francesco e tuo padre. Voglio la verità, Marta. Non possiamo andare avanti così. Ci stiamo facendo del male, tutti quanti. E sta facendo male alla nostra relazione! Non te ne sei resa conto?". Mi soffermo a riflettere sulle sue parole.

Ha dannatamente ragione. Stiamo litigando sempre più spesso. Siamo costantemente nervosi. E a lui, questa situazione sta facendo forse più male che a me. Lo sta lentamente portando ad una chiusura del suo carattere. È molto impulsivo. E questo lo spinge ad agire senza prima riflettere. "OK. È arrivato il momento della verità!". Stringo la sua mano, cercando di tranquillizzarlo. Basta il solo contatto della nostra pelle, e tutto il resto sparisce. Dopo la telefonata, mi avvicino a lui ancora di più, sedendomi sulle sue ginocchia. Lo guardo dritto negli occhi, perdendomi nuovamente in quel vortice di sensazioni che mi provocano. Avvicino il mio viso al suo, andandomi a scontrare con le sue labbra, mentre il battito dei nostri cuori accelera. Sorride, ricambiando il bacio.

Lasciandosi trasportare dai sentimenti, e dalle emozioni. Mordo il suo labbro, facendogli capire la mia determinazione. Le sue mani scivolano attraverso la mia t-shirt, provocandomi la pelle d'oca. Le mie, invece, le faccio scorrere sulla sua vita, afferrando la cintura. "Lo sai, vero, che questo non è corretto?". Cerca di dire tra un bacio e l'altro, ansimando. "Perché? Credevo che entrambi ne avessimo bisogno" rispondo, fermandomi per qualche secondo per poterlo guardare. "Certo. Quello che non è corretto è che tu fai sempre andare in fumo i miei buoni propositi. Tu e il mio amore per te! Dannazione!". I nostri sguardi si perdono nuovamente, mentre le nostre anime si sono appena ritrovate. È un continuo gioco di perdersi e ritrovarsi.

"Dobbiamo andare" dice, scostandomi dal suo petto. Adoro la luce che ha negli occhi dopo aver fatto l'amore. Ed il suo profumo sulla mia pelle. Sospiro. "Dobbiamo proprio?". Uno sguardo torvo mi dà la risposta. Usciamo di casa a piedi, visto che dobbiamo andare in centro, qui vicino.

Camminiamo tenendoci per mano, verso il parco attorno alle mura. Alzo lo sguardo attraverso i miei occhiali da sole, e noto che anche lui mi sta guardando attraverso gli occhiali. Sorridiamo contemporaneamente e stringo un po' di più la sua mano. L'aria calda e umida mi infastidisce, ma per fortuna troviamo una panchina all'ombra di un grande albero. "Non dovrebbero essere lontani" dice, togliendosi gli occhiali da sole. Il mio cuore accelera quando, da lontano, vedo arrivare contemporaneamente mio padre e Francesco. Dalle loro espressioni, deduco che Alessandro abbia omesso un particolare: il fatto che sarei stata presente anche io. "Lei può restare" è la prima cosa che dice Alessandro, mettendosi davanti a me. "Non ha senso, a questo punto, tenermi fuori. C'entro pure io!". Dalla mia voce traspare un po' di insicurezza, ma non ho intenzione di rimanere in disparte.

"Allora, Simone: hanno trovato una tua lettera tra gli effetti personali di Elisa" inizia a dire Francesco, estraendo dalla tasca dei pantaloni una busta di plastica contenente un foglio di carta spiegazzato. L'espressione di mio padre cambia. Diventa paonazzo, visibilmente agitato. "C-come? P-pensavo che l'avesse bruciata. Com'è possibile?". Agitato, prende quella busta tra le mani, mentre qualche lacrima inizia a rigargli il viso. Mio padre che piange? Questa è una novità. Rimaniamo col fiato sospeso tutti quanti. Poi, in una frazione di secondo, dei poliziotti sbucano da non so dove, e ci circondano.


Rimango pietrificata, così come Alessandro. Mio padre viene portato via in manette da un poliziotto, mentre un altro parla con Francesco. Era un'imboscata. Francesco era d'accordo con la polizia. Ritenevano mio padre responsabile per la morte di Elisa. Quella lettera è la prova che lo incastra definitivamente. Inizio a piangere istericamente. Grido con tutta me stessa, mentre quel poliziotto conduce mio padre fuori dal parco. Non sento più nulla. Tutto intorno a me si è fermato.

Alessandro mi afferra mentre ancora sto tirando calci all'aria, inveendo contro i poliziotti. E contro Francesco. Ci ha traditi. "Adesso calmati. Risolveremo tutto. Non è stato tuo padre. Ora ne sono sicuro".

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