Capitolo 30

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Alzo le coperte, trascinandomi svogliatamente fuori dal letto. Cerco le ciabatte, infilandole lentamente una alla volta. Credo che prendere un po' d'aria possa farmi bene. Sono chiusa in camera già da due giorni. Ho pianto ininterrottamente, rifiutando il conforto di mia madre e di Alessandro, il quale ha continuato a chiamarmi e a mandarmi messaggi. Ottenendo come risposta solo un misero "non sto molto bene, ma stai tranquillo". "Finalmente! Pensavo che ti avrei trovata morta dentro a quella stanza!".

L'ironia a mia madre non manca mai. Riesce a strapparmi un mezzo sorriso, mentre scendo le scale. Raggiungo la cucina. Mi metto a rovistare nella dispensa alla ricerca di qualche cioccolatino. Dovrebbe arrivarmi anche il ciclo, aggiungendo anche i dolori mestruali alla lunga lista dei mali che mi affliggono. Mentre scarto il secondo cioccolatino, prendo in mano il cellulare per chiamare Alessandro. "Ehi, cucciola!". La sua voce profonda e sdolcinata mi era mancata in questi giorni.

"Ehi! Passeresti a prendermi? Devo andare in un posto, ma ho bisogno della tua presenza. Devo assolutamente rimediare al casino più grande che io abbia mai fatto!" dico, cercando di trattenere le lacrime. "Arrivo, piccola! Poi mi spieghi che cosa è successo!". Cerco di abbandonare l'aspetto di una depressa cronica e di ricompormi. Salgo in camera per togliermi il pigiama e fiondarmi sotto la doccia. Le gocce di acqua fresca che cadono sul mio viso e sul resto del mio corpo, sembrano avere un effetto rigenerante. Esco dal bagno completamente rilassata. Una bella doccia era proprio quello che mi ci voleva. Indosso una t-shirt con un disegno di alcuni lupi e un paio di leggings chiari. Fuori inizia già a fare caldo. Lego i capelli in una coda di cavallo un po' disordinata e mi precipito fuori. Neanche a farlo apposta, la BMW di Alessandro accosta vicino al cancello. Gli corro incontro, avvertendo il desiderio di essere stretta tra le sue braccia. "Ehi! Cos'è tutta questa fretta?". Sorride, mentre io quasi mi arrampico sul suo collo. "Mi sei mancato tanto!" piagnucolo, baciandolo.

 Tutte le lacrime cancellate dalla doccia, tornano a scendere e bagnano la sua camicia azzurro chiaro. "Ora, mi vuoi dire che sono tutte queste lacrime?". Fa un sospiro, rimettendo in moto. Prendo fiato mentre mi asciugo gli occhi con il dorso della mano. "Si tratta di Paola. Temo di averla persa". Volgo lo sguardo verso di lui, incrociando il suo. "Oh, andiamo! Un'amicizia come la vostra non può finire da un giorno all'altro. Dovrebbe essere la fine del mondo, allora!". Attendo qualche secondo prima di rispondere, continuando a singhiozzare. Alessandro toglie una mano dal volante, portandola sul mio viso per asciugarmi le lacrime. "Non ho risposto al telefono per quattro giorni. Due sere fa, dopo aver parlato con te, sono tornata a casa e l'ho richiamata, scusandomi per la lunga assenza. Ma non ho fatto in tempo a dirle nulla. I suoi hanno avuto un incidente e sono gravi. Cosa potevo fare? Se non condividere il suo dolore? Solo che non sono riuscita a farmi capire. Secondo lei, l'ho ignorata perché l'amore che provo per te è più importante della nostra amicizia!". Sussulta. Il suo viso assume un'espressione seria. "Se è questo quello che pensa, allora non ti conosce affatto. Come fa la tua migliore amica a dire una cosa del genere?". Non rispondo. Mi volto dalla parte del finestrino e appoggio la testa, sospirando.

Arriviamo al parcheggio dell'ospedale in poco tempo. Prima di entrare, Alessandro mi stringe in un abbraccio. Respiro il profumo sulla sua camicia. Un profumo capace di rilassarmi. "Andiamo?". Annuisco, mentre mi prende la mano. Percorriamo in silenzio il lungo corridoio centrale, anche se non so dove andare di preciso. Molto lentamente, giungiamo alla grande sala d'aspetto al piano superiore. Il mio cuore perde un battito quando, da lontano, intravedo la sagoma di Paola, china sulla poltroncina con la testa fra le mani. È un attimo. Vengo investita da un'ondata di emozioni negative, come provassi anche io lo stesso dolore che sta provando lei. Lascio la mano di Alessandro ed inizio ad avvicinarmi lentamente Come avvertita da un sesto senso, Paola alza la testa e i nostri sguardi si incrociano. Sul suo volto, colgo i segni di dolore immenso. E credo che non sia causato dalla situazione dei suoi genitori, ma dalla nostra. "Che ci fai qui?" mi chiede, alzandosi. Nella sua voce, rotta dal pianto, al dolore si mescola la rabbia. "Che ci faccio qui? Secondo te, potevo lasciarti sola in un momento come questo?". Allargo le braccia in un gesto quasi disperato. Siamo molto vicine. Alessandro rimane distante, per permetterci di fare chiarezza. "Pensavo che avessi cose più importanti da fare! Sarai molto impegnata in questi giorni, visto quello che sta succedendo!". Alza per qualche secondo lo sguardo verso Alessandro, per poi riportarlo su di me. So cosa intende dire. Ma non sono venuta qui per litigare o per cercare inutili giustificazioni.

"Paola, credi che tutto il resto sia più importante di te? Lo credi veramente? Io pensavo che tu mi conoscessi bene, ormai". Abbasso il tono della voce, fino a quasi a sussurrare. Paola rimane in silenzio, non sapendo cosa dire. Avverto dietro di me una presenza. Alessandro mi ha raggiunta e appoggia le mani sulle mie spalle. "Paola, se a Marta davvero non importasse nulla, non sarebbe qui. È rimasta chiusa in camera due giorni a piangere per le cose che le hai detto. L'hai ferita anche solo pensandolo. Lei tiene a te. Più di ogni altra cosa al mondo. Anche più di me? Sì. Anche più di me". Porto la mia mano sulla sua, come a volerlo fermare. "Quello che ha detto è vero. È vero anche che, forse, non ero molto concentrata su di noi ultimamente. Ma mai e poi mai rinuncerei a te. Ultimamente, sono molto preoccupata per mio padre e per tutta questa brutta storia. Ma non ti ho mai messa da parte!". Una lacrima inizia a scenderle lungo la guancia. "Scusami, Marta. Scusa per tutto quello che ho detto. Ma non credo di essere pronta a perdonarti. Mi hai lasciata sola in un momento difficile". Mi stringe in un abbraccio che non sa di perdono. Ma solo di rancore.

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