Capitolo 10

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"Non puoi andartene così!". Paola e Michela mi guardano, quasi incredule, mentre finisco di preparare la valigia. Sorrido. "Ragazze, quest'anno va così. Non sapevo che Alessandro avesse dei progetti". Sorridono a loro volta. "Quanto sei fortunata". Chiudo la valigia, cercando di farci stare tutto quello che mi serve. Sono solo due giorni da trascorrere in montagna, ma come sempre porto con me tutto ciò che penso potrà servirmi. "Mi raccomando ragazze: fate le brave in mia assenza!" dico loro, mentre scendo le scale con la valigia in mano. "Tu piuttosto!". Paola mi da una gomitata. "Cercherò di comportarmi bene!".

Scoppiamo tutte e tre in una fragorosa risata. Esco di casa accompagnata da Paola e Michela, che si offrono di farmi compagnia mentre attendo l'arrivo di Alessandro. "Ciao ragazze!".

 Salgo sull'auto di Alessandro, sprizzando felicità da tutti i pori. Accendo la radio ed inserisco la chiavetta USB con le mie canzoni preferite. "Allora? Sei pronta?". Annuisco. Rimaniamo in silenzio per quasi tutto il viaggio. Appoggio la testa al finestrino, mentre chiudo gli occhi. Le note di Numb dei Linkin Park si diffondono nell'abitacolo. Apro gli occhi e il mio sguardo si posa su Alessandro. È sempre bello come la prima volta. E quello sguardo, credo non smetterò mai di amarlo. "Che c'è?". Si volta verso di me. "Niente". Sorrido e mi lecco le labbra. Lo vedo sorridere. "Attenta. Stai rischiando!". Esibisco un sorriso sornione. "Sei bellissimo". Detto questo, mi allungo verso il posto di guida per dargli un bacio. Il panorama inizia a cambiare, facendo intravedere vette innevate e paesaggi da cartolina. "Hei, bella addormentata! Siamo arrivati". La sua voce dolce mi solletica i timpani. Mi stiracchio, e vedo che imbocchiamo una stradina innevata. In fondo alla strada, si intravede una casetta in legno, quasi completamente coperta di neve. Al tocco del telecomando, il cancello si apre. Parcheggiamo nel cortile. Poi iniziamo a scaricare i bagagli. "Ferma lì!". Alessandro mi blocca. "Prendo le valigie" rispondo, aprendo il bagagliaio. "No. Lo facciamo dopo. Ora entriamo!".

 Sollevo un sopracciglio. "Cos'hai in mente?". Ride. "Tra poco lo vedrai". Alzo le spalle e lo raggiungo all'ingresso della casa. Davanti a me, un patio interamente in legno, con un dondolo dalla parte destra. Salgo gli scalini che mi separano dalla porta d'ingresso. Alessandro mi sventola le chiavi davanti agli occhi. "Allora? Non sei ansiosa di aprire?". Afferro le chiavi e apro la porta. Ad accoglierci, un ampio salotto con un caminetto. L'arredamento è moderno, e si abbina perfettamente con il legno chiaro della casa. Il divano è molto grande, ed è interamente ricoperto di pellicce. "Sono pellicce sintetiche". Alessandro sembra aver letto la mia mente. Sapevo già infatti, che nemmeno a lui piacciono le pellicce vere. Accende il camino, mentre io mi accoccolo in un angolo del divano.

"Hai visto il piano superiore?" mi chiede. "No. Ora vado!". Mi alzo di scatto e mi precipito verso le scale. Sono strette e, come il resto della casa, in legno d'abete chiaro. Mentre salgo, sento il profumo del legno. Le scale terminano su una stanza open space in cui primeggia il letto matrimoniale, cosparso di cuscini e una coperta di pelliccia sintetica candida come la neve. La stanza è molto luminosa. Una vetrata permette di godere di una vista stupenda sulle montagne che circondano la casa. Nell'angolo in fondo, una stufa a pellet riscalda l'intera stanza. "Wow!" è l'unica cosa che riesco a dire. Mi sdraio sul letto, accarezzando la morbida coperta. "Bella, vero?" alzo lo sguardo e le sue su labbra sono a due centimetri dalle mie. Lascio che mi baci. "Credo che tutto il resto possa aspettare!" sussurro sulle sue labbra. Lo spingo sul letto e mi metto a cavalcioni su di lui. "Piano piccola! Sai che non ho più vent'anni!". Scoppio a ridere. "Ridi, ridi...". Il suo bellissimo viso si contrae in una smorfia, per poi trasformarsi subito in uno splendido sorriso. Mi morde il labbro inferiore. Faccio scorrere le mie mani sotto il suo maglione. La mia pelle al contatto con la sua mi provoca dei brividi che mi percorrono la schiena mentre lui fa lo stesso con me. Facciamo l'amore, immersi nel silenzio di quel posto sperduto tra le montagne innevate. Trascorriamo gran parte della giornata sotto le coperte, abbracciati. Al calar del sole, ci godiamo uno spettacolo di colori, che dipinge la stanza di rosso e arancione.

Scendiamo solo all'ora di cena.

"Che vuoi mangiare?". Lo raggiungo alla dispensa, guardando quello che si potrebbe preparare. Alla fine, scelgo la pizza. "Lo immaginavo!" dice. E poi scoppia a ridere. Ceniamo tranquillamente, con un sottofondo musicale e la legna scoppiettante nel camino. Ancora non riesco a credere che sia passato un altro anno. Molte cose, tuttavia, sono rimaste in sospeso. Non ho avuto occasione di parlare con mio papà, ma appena possibile voglio chiarire la storia di Elisa. "Ale..." abbasso lo sguardo. "Lo so che ci siamo promessi di non parlarne. Ma ancora non capisco...". Punta i suoi occhi nocciola sui miei e sospira. "Cosa, Marta?". "Hai detto che non sei sempre stato la persona che conosco. Cosa intendevi?". Rimane in silenzio per alcuni minuti. Mi sono già pentita di avergli rivolto quella domanda. "Sei sicura di volerlo sapere?" sussurra. "Niente mi separerà da te. Credo che sapere qualcosa di più sul tuo passato servirà solo a rafforzare la nostra relazione!". Mi siedo sul divano, mentre lui guarda l'orologio. Sono le 23.00. "Bene. Abbiamo un'ora. Voglio raccontarti quello che devi sapere. Poi, allo scoccare della mezzanotte, archiviamo questa storia. D'accordo?". La sua espressione è seria. Annuisco. "Sono pronta!". Si accomoda al mio fianco. "Vedi, quando ero al liceo, ero il classico figlio di papà. Ripensandoci ora, mi sento a disagio. Ma non è questo il punto. Mio padre era un noto avvocato della zona. Perciò il cognome che porto aveva una certa importanza". Rimango in silenzio. "Dopo quello che successe, il mio nome cominciò ad apparire sui giornali. Mio padre mi accusò di aver screditato il nome della famiglia e mi sbatté fuori di casa. Per fortuna, qualcuno credeva ancora in me. Un mio amico mi ospitò a casa sua finché non trovai una sistemazione. A scuola iniziai ad essere preso di mira da tutti e, per difendermi, arrivai a prendere a pugni chiunque. Finché un giorno, circa un mese dopo l'accaduto, arrivai al culmine. Un ragazzo, Francesco, uno dei migliori amici di tuo padre, mi provocò a tal punto che io reagii dandogli un pugno troppo forte. Lo colpii dritto in faccia, rompendogli il naso e un paio di denti". Sospiro nel sentire quelle parole. "Ma tu sei una brava persona. Ora non sei più così!". Stringo le mie mani nelle sue. "Sì. Anche se hai avuto più di un'occasione per vedermi perdere le staffe. Ed io non voglio farmi vedere così da te. Tu, in qualche modo, riesci a darmi la forza per non ripetere di nuovo quegli errori. Non te l'ho mai detto, ma quando ho sentito il tuo cognome, ho immaginato che fossi la figlia di Simone. Avete gli stessi occhi. Nonostante questo, ho scelto di amarti". Non dico nulla. Stringo nuovamente le mie mani nelle sue. Mi porta al suo petto e mi stringe forte. L'orologio segna le 23.59.

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