Capitolo 17

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Marta

Sento le palpebre pesanti come macigni. Provo a sollevarle, ma ricadono immediatamente. Faccio un altro tentativo. Questa volta riesco a tenere gli occhi aperti per qualche minuto. Intorno a me solo il bianco di una stanza d'ospedale e qualche macchinario. Chiudo gli occhi, sfinita. La discussione con Alessandro, il bambino. I fanali del camion. Riapro immediatamente gli occhi ed inizio a gridare, in preda al panico. Una schiera di infermiere ed un medico si precipitano nella stanza. "Signorina, si calmi. Si trova in ospedale. Si ricorda cosa è successo?". Annuisco con fatica. "Bene. Ora riposi". Se ne vanno tutti. La testa mi fa male. Appoggio la mano sul ventre, accarezzandolo dolcemente. Una strana sensazione si impossessa di me. Non appena la porta si riapre, sul mio volto compare un sorriso. "Hei! Mi hanno detto che ti se svegliata!".

Alessandro si avvicina. Quanto mi è mancato il suo profumo. "Da quanto tempo sono qui?" gli chiedo appena scioglie l'abbraccio in cui mi stringe da un paio di minuti. "Quasi quattro giorni". Mi accarezza il viso. "E tu non ti sei mai mosso da qui, scommetto!". Annuisce.

"Sei una testa dura. Non hai dormito abbastanza! Guarda che si vedono le occhiaie!". Passo le dita sotto i suoi occhi e noto un livido nero. "E questo?". Mi prende la mano, stringendola. "Tuo padre". Sento la rabbia montare dentro di me. "Beh, credevi forse reagisse in un altro modo?". Abbozza un mezzo sorriso. "Avremo tempo per parlare. Ora c'è qualcuno che vuole vederti". Apre la porta. Appaiono Paola, Michela ed i ragazzi. Inizio a piangere dalla gioia. "Voi siete pazzi! Che ci fate qui?". Mi metto a sedere sul letto. Paola e Michela corrono ad abbracciarmi, finendo quasi per soffocarmi. "Fate piano, ragazze!" sussurro, facendo una smorfia per il dolore. "Sì. Lasciatene un po' anche per noi!". Davide e Mattia mi raggiungo e mi abbracciano a loro volta. "Che pensavi di fare senza di noi? Eh?". Davide mi da una leggera pacca sulla spalla. "Tranquilli, ragazzi. Sto bene". Alzo lo sguardo verso Alessandro ed incrocio i suoi occhi, ancora lucidi per l'emozione. Mi fa un cenno ed esce dalla stanza, lasciandomi per un po' con i miei amici. I miei genitori sarebbero arrivati a momenti. "Cavolo! Non ho nemmeno avuto il tempo di avvisare in ufficio!" esclamo, mentre Paola mi porge il mio telefono. Paola scuote la testa. "Non credo ce ne sarà bisogno. La notizia dell'incidente è su tutti i giornali! Hanno preso quel camionista. Era ubriaco". Riaccendendo il cellulare, trovo molti messaggi dei colleghi, tra cui uno di Matteo in cui, oltre ad augurarmi una pronta guarigione, mi dice che mi deve parlare. Appoggio il telefono sul comodino, un po' perplessa pensando a ciò che vorrà dirmi. Dallo stipite della porta, ora fanno capolino i miei genitori.

Paola mi dà un ultimo abbraccio, per poi uscire insieme agli altri. Passo un po' di tempo con i miei genitori, che mi raccontano di come sia stato preso il camionista e sia già stato condannato per guida in stato di ebbrezza. "Marta, credo che spetti a noi dirtelo". Mia madre si siede al mio fianco, con un'espressione seria in volto. Mio padre, invece, se ne sta in un angolo. Inizio ad agitarmi. "Cosa?". Papà inizia a camminare su e giù lungo la parete. "Abbiamo parlato con il dottore e ci ha detto della gravidanza". La guardo negli occhi, quasi impietrita. "Io... io ve l'avrei detto, una volta chiarito con Alessandro".

Abbasso la testa e fisso i miei piedi. "Un figlio da lui? Stai scherzando, Marta?". Mio padre si avvicina a me come una furia. "Calmati, Simone!". Mia madre cerca di tranquillizzarlo. Non riesco più a tacere. "Papà, sono stanca di questa storia. Mettiti il cuore pace e lasciami vivere la mia vita. Non puoi serbare ancora rancore verso di lui per i tuoi sensi di colpa". Mi guarda. I suoi occhi ora tradiscono la sua espressione da uomo autoritario. Sospira. "Hai ragione, Marta. Ma non riesco a perdonarmelo. Rivederlo, quando pensavo di aver superato la cosa, mi ha fatto realizzare che non è affatto come credevo!". Scoppia in lacrime. Gli accarezzo il braccio, facendogli capire la mia vicinanza.

"Il bambino non ce l'ha fatta!" dice mia madre, in lacrime. I miei occhi si inumidiscono. Sento di non riuscire a trattenere le lacrime. Mi accarezzo il ventre. "Il mio piccolo..." è l'unica cosa che riesco a dire, tra un singhiozzo e l'altro. "Alessandro lo sa?" chiedo, asciugandomi gli occhi. Annuisce. "Era con noi quando il dottore ce l'ha detto". Le lacrime sono ormai incontrollabili. Sì, forse non ero pronta per una famiglia. Ma ci avremmo comunque provato, in qualche modo. "Ora noi andiamo" dice mia madre, alzandosi appena delle infermiere entrano nella stanza. Un bacio e la guardo andarsene. Mentre le infermiere sistemano il letto e preparano la flebo, decido di provare a fare qualche passo. Le gambe mi fanno male, ma riprendere a camminare dopo quasi quattro giorni mi fa sentire un po' più viva. Sorrido mentre cammino su e giù. "Ecco, ora puoi sdraiarti". Una delle infermiere mi sorride. Avrà si e no qualche anno più di me. L'orario delle visite è finito, ma io so che Alessandro è sempre lì fuori. E appena potremo, parleremo di quello che è successo.

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"Hai preso tutto?". Mia madre mi sta aiutando a prendere tutte le mie cose. Sbuffo. "Sì, mamma. Non ho tante cose. Sai com'è: sono stata all'ospedale, non in vacanza!". "Sì, ma non vorrai dimenticare qui qualcosa, eh?". Controllo un'ultima volta e chiudo la cerniera del borsone. Finalmente posso tornare a casa. Sono quindici giorni che non metto piede fuori da queste mura. L'aria fresca di marzo mi solletica il viso. Faccio dei grossi respiri e seguo mia madre nel parcheggio. Senza accorgermene, siamo già arrivati a casa. Nella mia mente, si susseguono tanti pensieri. Sistemo le mie cose in camera e mi sdraio sul letto. Il cellulare inizia a vibrare. È Matteo. Sobbalzo. "Ciao, Marta. Ho saputo che sei tornata a casa!". Sorrido. "Sì, mi hanno dimessa proprio oggi. A proposito...di cosa volevi parlarmi?". "Per telefono è un po' difficile da spiegare". Dalla sua voce traspare insicurezza. Rifletto un secondo. "In effetti ho voglia di uscire a prendere un po' d'aria. Perché non ci vediamo davanti al comune, fra mezz'ora?". "Prefetto". Riattacco. Ho proprio voglia di fare due passi. Sorrido. Mi piace la primavera. Arrivo al luogo dell'incontro e Matteo è già lì. Non posso fare a meno di sorridere quando lo vedo. Sempre il solito perfettino: camicia bianca, pantaloni eleganti, giacca ed immancabile cravatta. "Ciao!". Lo saluto mentre mi avvicino. "Ciao, Marta! Vedo che stai bene!". Mi guarda. "Oh, qualche botta qua e là, ma sono ancora tutta intera!". "Sai che non sono molto bravo con le parole, ma ti devo dire una cosa. Vedi, in ufficio, le ragazze mi hanno detto della tua gravidanza". Facciamo due passi. Quanto mi imbarazza parlare con lui di questo argomento.

"Sì. Te l'avrei detto, appena possibile...".

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