Capitolo 2

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Ecco l'ennesima sala d'attesa.

Mi siedo sul divanetto e noto subito sul muro di fronte a me un grosso specchio. Cavolo, non mi sono pettinata né truccata stamattina.

Non ho più discusso con mio padre per venire qui. La scorsa volta avevo litigato con lui, ma farlo anche oggi sarebbe stato inutile.

Ieri è stato il mio ottavo tentativo di suicidio. Ora dovrei essere a scuola, e invece incontrerò un'altra nuova analista.

Quando la porta davanti a me si apre, compare una donna abbastanza giovane, con folti ricci rossi.

《Ciao Amy. Io mi chiamo Melanie.》 si presenta porgendomi la mano.

Mi ha chiamata Amy. È la prima psicologa che lo fa.

Io odio essere chiamata Amanda. Mia madre mi chiamava sempre e solo Amy.

Tutti gli analisti che ho incontrato finora mi avevano chiamata Amanda. Uno psicologo mi si rivolgeva come alla "signorina Harris" e dandomi persino del lei. Ogni volta che lo faceva mi veniva voglia di tirare una testata contro il muro.

Melanie mi fa accomodare su una poltroncina di fronte ad una scrivania.
Preparo la mia risposta alla solita domanda: "perchè ti vuoi suicidare?" Ognuno me l'ha formulata in modo diverso, ma la richiesta è sempre la stessa.

《Raccontami di qualcosa che ti ha resa felice.》 chiede invece.

Questa domanda mi spiazza. Rimango interdetta per un attimo. Quando tutto intorno a me mi pare negativo, lei mi chiede qualcosa di allegro.

Però la risposta è molto più semplice, ed è più facile anche parlarne.

Così scelgo di parlarle di Jenny.

Jennifer Anderson è la mia migliore amica da quando avevamo quattro anni.

È quell'amica che tutti vorrebbero avere: sa ascoltarmi, consigliarmi e anche sgridarmi quando è necessario.

Mi conosce meglio di chiunque altro, forse meglio di quanto io stessa mi conosca.

Con lei ho fatto qualunque cosa e ho condiviso tutto.

Melanie mi ascolta mentre le racconto alcuni episodi e ricordi con Jenny. Sorride e mi lascia proseguire nei miei racconti, finché non arrivo a spiegare come io e Jennifer avessimo intenzione di posizionare un secchio sopra la porta del capanno degli attrezzi, in giardino.

Per preparare lo scherzo a mio padre ci avevano aiutato anche Michael, che allora aveva 7 anni, e mia madre. Solo che poi, per sbaglio, era stata Jenny ad aprire la porta, così si era ritrovata fradicia. Quello era stato uno dei momenti più spassosi della mia vita, infatti anche ora scoppio a ridere e Melanie ride insieme a me.

Rimango stupita, davvero. Dovrebbe essere normale ridere per un aneddoto divertente, invece nessun altro psicologo lo aveva mai fatto.

Sto per riprendere a raccontare, ma Melanie mi ferma: 《Mi spiace, ma non abbiamo più tempo. Ho un'altra visita tra poco, ci vediamo presto!》

Mi accompagna all'uscita sorridendo, mentre io mi rendo conto che il tempo è passato incredibilmente veloce.

Uscendo trovo ad aspettarmi mio padre, che ormai non mi chiede nemmeno più com'è andata. Credo sia stufo di sentirsi dire "Bene" quando sa perfettamente che odio queste sedute.

Questa volta però forse non gli avrei mentito rispondendo nello stesso modo.

Mi riaccompagna a casa, dove io mi rifugio in camera aspettando la telefonata di Jenny.

Lei mi chiama sempre quando non mi presento a scuola, così come lo faccio io quando lei è assente.

Come mi aspettavo, il telefono comincia a squillare dopo pochi minuti.

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