Capitolo 41

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Presi la busta, che mi aveva lasciato sulla parte libera del divano. Il suo profumo vi era impresso, era assurdo come qualsiasi cosa toccasse profumasse di lui.

La aprii con le mani che tremavano, cosa dovevo aspettarmi dal suo contenuto? Riconobbi al volo la sua calligrafia, era una lettera. Diego Ferrara mi aveva scritto una lettera.

Quando avevo cinque anni, mia madre mi disse, prima di partire per uno dei suoi soliti viaggi di lavoro, che non sarei mai stato solo, fin quando avrei pensato a lei. Mi accarezzò la guancia e mi sussurrò che per il mio compleanno sarebbe stata lì, non se lo sarebbe perso per nulla al mondo. Poi però non potè perdersi nemmeno un assurdo intervento al cuore, su un paziente in fin di vita. Gli salvò la vita, divenne famosa: progettò una tecnica sulla base di quell'esperienza, la chiamò "il metodo Abate". Più volte, nel corso della mia vita, ho pensato di non poter mai fare affidamento nelle parole di qualcuno, nemmeno della mia stessa madre. Insomma, mi aveva abbandonata il giorno del mio compleanno, dopo avermi promesso il contrario. Mio padre, poi, mi addestrò da vero uomo: pacche sulle spalle e niente promesse. Almeno così non rischiava di infrangerle. Con gli anni ho iniziato a viaggiare nella solitudine della mia casa: potevo farci quel che volevo. La governante la notte tornava a casa, lei aveva una famiglia unita, non come la mia. Per cui, ogni sera, a casa mia davo una festa diversa. Ricordo che per un periodo addirittura erano a tema: a volte in maschera, a volte stile hawaiano, a volte uno schiuma party. Immagina la faccia della governante quando, il mattino dopo, si trovava quel casino da ripulire. Non me ne è mai importato più di tanto, insomma, non mi importava di niente. Ero solo, e avevo iniziato ad apprezzarne il lato positivo. Ogni notte c'era una ragazza diversa, ma mai nel mio letto. Al massimo nella camera degli ospiti, ma la maggior parte delle volte nemmeno, il divano era più gettonato. Non era mai stato niente di serio, e non restavano mai fino al mattino. A scuola mi conoscevano tutti, ero il Dio del sesso e delle feste, le ragazze facevano la fila per me. Poi, con la maturità, ho iniziato a vedere con occhi diversi, ancora una volta, la mia solitudine. Non ci sarebbero state più feste, il circolo di amici si era spezzato. Era rimasto solo Marco.
Io e Marco ci conoscevamo dall'infanzia, fin dal nido. Eravamo sempre stati inseparabili, ne combinavamo di tutti i colori. Le discoteche non erano esattamente il mio forte. Uscivo appena dalla maturità, ed ero abituato a dare le feste, non ad andarci. Ma Marco mi convinse. Chi lo avrebbe mai immaginato che la mia vita sarebbe cambiata?
Marco fu il primo a vederti, con quel vestito rosso, Prada inciso sull'etichetta. Pensò di provarci, ma fallì nel suo tentativo. Lì per lì stavo per deriderlo, poi ti vidi e mi dissi che era stato un bene. Te ne stavi a ballare con Ludovica tra quella folla, con gesti inesperti ma così sensuali... non vedevi nemmeno la fila di ragazzi che ti sbavava dietro. I nostri occhi si incrociarono, Ludovica trascinò via Marco perché lei capì prima di tutti: un solo sguardo era bastato per legarci tutta la vita. Tu eri sulle tue, non mi conoscevi. Io volevo tornare a casa con una scopata, come ai vecchi tempi, ma appena ti vidi quelle intenzioni passarono in secondo piano. Volevo solo passare del tempo con te. Ti portai in spiaggia, ti feci vedere il mio rifugio generazionale. Prima di me, così mia madre e mio nonno. Quel lido, quella soffitta, era il mio posto. E nessun'altra oltre te ci aveva mai messo piede. Avrei dovuto capire già da allora che ero fottuto. Quando abbiamo fatto l'amore, nel mare, non era intenzionato o programmato, era bisogno. Non volevo scoparti e basta, volevo sentirti e assaporarti. Ti ho portata a casa, perché Ludovica ti aveva appesa, e sei stata la prima ragazza a dormire nel mio letto. Avevi appena finito di farti la doccia ed eri completamente bagnata, con quel benedetto asciugamano che ti copriva a malapena. Ci siamo addormentati così, avvinghiati l'uno all'altra, e il mattino dopo tu non avevi più quell'asciugamano. E quello era solo l'inizio. Pensavo a te ogni attimo della giornata. Pensavo a cosa stessi facendo, se stessi sorridendo nel modo in cui facevi con me. Avevo il cervello in pappa, ma mi andava bene. La nostra relazione non è stata facile: dopo una tremenda sfuriata con tua madre, passavi più notti da me che a casa tua. Quella vicinanza era eccezionale e letale allo stesso tempo. Eccezionale perché non volevo sprecare un solo minuto del mio tempo con te, letale perché mi convincevo che volevo anche di più, più del possibile. Più di averti a girovagare per casa in asciugamano dopo la doccia, più dello stringerti nel letto alla notte. Più del fare l'amore in ogni dove, in ogni momento. Tenerife è stato il nostro battezzo di fuoco: lì, per festeggiare il nostro anniversario, avevo capito che avrei voluto altri cento anni come quello vissuto, con te. Al tuo compleanno, mesi prima, ti avevo regalato l'anello che mi aveva dato mia nonna, e tu l'hai sempre messo. Non lo lasciavi mai, nemmeno per lavarti. Il nostro amore era così bello che mi sembrava di vivere una favola. Non fraintendermi, litigavamo, eccome se litigavamo. Solo che io riuscivo sempre a fare un passo indietro, contro la tua testardaggine. E tu poi ti appoggiavi al mio petto, e sentirti il respiro mi faceva passare la rabbia. Potresti pensare che rinunciavo perfino a litigare, ma non è così: rinunciavo alla mia rabbia, perché le parole della rabbia sono le peggiori, ed io non volevo ferirti. Pensavo ci fosse già tua madre per quello. L'ho odiata tanto, quel giorno. Ti disse che dovevi essere come tua sorella, magari lo fossi stata, ma io ti vedevo perfetta così. La nostra relazione è stata un insieme di circostanze che ci ha portati prima a legarci, poi a dividerci.
Il giorno dell'incidente penso sia stato il peggiore della mia vita. Ti vedevo lì, stesa su quell'asfalto macchiato dal tuo stesso sangue, e pensavo di star perdendo tutto. Ludovica ci aveva lasciati, Marco si era chiuso nel suo dolore e aveva deciso di partire. Le settimane del coma sono state le peggiori: ti parlavo, ti raccontavo la mia giornata, e ti dicevo quanto ti amassi. Il tuo respiro forzato era l'unica risposta che avevo. Poi tua madre, mi aveva detto che una volta sveglia avrei dovuto starti lontano. Ero convinto che fosse stato meglio così. Insomma, ero io a guidare, potevo prestare più attenzione. Dopo tre settimane, me ne stavo nel corridoio ad aspettare di entrare, lei venne a dirmi che ti eri svegliata, e che non ricordavi più nulla di me, di te, di noi, da un anno a quella parte. Mi avevi cancellato, quello avrebbe reso la partenza meno difficile per entrambi. Io sapevo che avresti potuto rifarti una vita, tu non avresti sofferto nel vedermi scomparire dal nulla.
Poco dopo, sei uscita dalla stanza su una barella, ti stavano portando in un altro reparto. Mi sei passata davanti e mi hai osservato per qualche attimo, prima di chiudere gli occhi. Mi guardavi come si guarda uno sconosciuto, quella è stata la spinta giusta per andarmene. Mi sono trasferito a Milano, ho studiato molto, e sono riuscito a laurearmi in quattro anni, facendo addirittura due anni in uno. Senza te, non avevo più alcuna distrazione. C'è stata solo un'altra ragazza oltre te, ma l'ho vista solo un paio di volte, ed era identica a te. Ho provato a portarmela a letto, ma non è stato per niente soddisfacente. "Sarà così d'ora in poi", mi ripetevo. Poi mia madre è ricomparsa. Mi diceva di riprendere in mano la mia vita, di cercarti e riprenderti. Ce ne ho messo di tempo prima che mi convincesse sul serio. Sapevo che eri a Roma, mi ripetevi che era il tuo sogno fin da bambina. E così presi il primo volo e venni qui. Mi misi alla ricerca di un lavoro e di un appartamento, mia madre fu molto d'aiuto, pagandomi le spese. In una settimana, avevo entrambe le cose. Mi aspettavo di vedere chiunque dietro quella scrivania, ma non tu. Non posso nemmeno descriverti a parole come mi sia sentito in quel momento: eri in carne ed ossa davanti a me, eri ormai una donna in carriera, non c'era più la ragazzina di cui mi ero innamorato sei anni prima.
Mi ero seduto dietro quella scrivania consapevole che guardarti da lontano era l'unica cosa che potevo fare, già avevo detto addio alla Bice conosciuta in discoteca. Ma poi avevi arricciato il naso, non capendo una parola nel romanzo che stavi correggendo. E avevi iniziato a prendere in giro Iris nel modo ironico che solo tu hai. E, a mensa, ti eri fiondata sul cibo come se fosse la tua unica salvezza. Capii che tu eri ancora la Bea della discoteca, solo in altre vesti, più mature. Mi avevi parlato per la prima volta lì, a quel tavolo, e sentire la tua voce dopo cinque anni fu la sensazione più bella del mondo. Quando ho scoperto che vivevi alla porta accanto alla mia, ho pensato che il destino fosse davvero un gran pezzo di merda, ho assodato la mia tesi quando mi hai sventolato con fierezza il tuo anello di fidanzamento davanti agli occhi. La mia vita crollò pezzo per pezzo, ma il tuo sorriso mi consolò. Avevi trovato la tua felicità, stavi bene ed eri sana come un pesce. Poi abbiamo iniziato a sentire quell'attrazione che solo noi sembravamo percepire, e ci siamo avvicinati l'un l'altra. Io ti mostrai i miei demoni, su quel balcone, e non sai come avrei voluto urlare che quella ragazza eri tu. Avrei voluto prendere Fabio a pugni per come ti aveva toccata, come facevo solo io. Mi tenni tutto dentro ed inghiottii il rospo. Quando gli ho dato quel pugno, prima di partire per Milano, ho trovato la mia armonia. Aveva sventolato davanti ai miei occhi tre anni di rapporti intimi con te, è stato liberatorio, lo ammetto. Ora siamo così, e tu te ne stai andando per la seconda volta, io sto rinunciando a te per la terza. O almeno così credi. Tu andrai a Zurigo, perché non sarò io e non sarà nemmeno Iris a fermarti e intralciare il tuo futuro. Però posso dirti che questa volta non ti lascio, e farò tutto il possibile per averti sempre accanto. Ci saranno giorni in cui mi mancherai più di altri, altri in cui invece sentirò il tuo profumo impresso sul cuscino e mi consolerò. Non sto dicendo che sarà facile, ma non sarà impossibile. Perché ti amo, e le nostre anime sono destinate a ricongiungersi. E non importa in quale angolo del mondo ti nasconderai, io ti troverò sempre. E mi prenderò cura di te e delle tue insicurezze. Le mie emozioni tendo ad esternarle poco, e mi sento un coglione per essere chiuso qui, in questa biblioteca, a scriverti una lettera invece di urlarti quanto ti amo e quanto ti voglio. Ma, come si suol dire, le parole volano, gli scritti restano.

Per sempre solo ed immensamente tuo, Diego.

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