Capitolo 43

1.2K 46 2
                                    

Le settimane passavano lente e monotone. Non ero più sola, ormai, Zurigo lentamente mi stava accogliendo tra le sue fredde braccia autunnali. Le temperatura iniziavano a diventare sempre meno miti, e avevo ufficialmente detto addio alle t-shirt e dato il benvenuto ai maglioni di cotone.

A lavoro, avevo incontrato Michelle. Era una giovane ragazza di vent'anni o poco più, alle prime armi col mondo del lavoro. Lavoravamo entrambe come assistenti del signor Laudoni: io mi occupavo della parte letteraria dell'azienda, scartoffie da far firmare al nostro capo, e libri da correggere un'ulteriore volta prima di farli giungere a lui; lei, invece, si occupava della contabilità, dei tagli che l'azienda doveva fare ogni mese per poter avere un buon bilancio di entrate ed uscite, e delle offerte che venivano poste al signor Laudoni. Ad ogni modo, avevamo legato quasi subito: eravamo entrambe state catapultate in un posto completamente nuovo, una promozione che ancora dovevamo imparare a gestire, e la mancanza verso il nostro Paese Natale: il mio, ovviamente, l'Italia, mentre il suo, la Francia. Infatti, quello che contraddistingueva Michelle, era quel suo calcato accento francese che la accompagnava sempre, che trovavo adorabile.

Quella mattina, era solo l'inizio di ottobre. Faceva abbastanza freddo, motivo per cui provai fatica ad alzarmi dal letto. Quando lo feci, dei forti capogiri mi spinsero a sedermi di nuovo sul bordo del letto, a cercare di calmare il mio respiro. Erano un paio di giorni che sentivo uno strano peso sullo stomaco, e forse quei capogiri ne erano una conseguenza. Attribuii il tutto allo stress: certo, erano passate svariate settimane, ma ancora non mi abituavo a quella nuova città, sebbene fossi riuscita ad integrarmi alquanto bene.

Come ogni mattina da quando ero lì, quando i capogiri si calmarono, presi il telefono e chiamai Diego. La sua immagine ancora assonnata apparve dall'altro lato dello schermo, e non potei fare a meno di sorridere.

"Sei peggio di una sveglia." Mormorò lui, stropicciandosi gli occhi.

"Se vuoi attacco." Gli risposi con una linguaccia, e lui sorrise.

"Come va?" Mi chiese poi. Lo vidi alzarsi dal letto e raggiungere la cucina. Era strano vederlo solo attraverso quel banalissimo schermo, e non poter sentire alcun genere del suo tocco sul mio corpo, non poterlo baciare o abbracciare quando più avevo voglia.

"Bene, ma ho ancora quei capogiri strani." Borbottai, passandomi una mano in volto. Aprii le ante dell'armadio, e scelsi il tailleur pantalone bordeaux. Lo stesi sul letto e poi mi diressi in bagno.

"Forse è lo stress." Diede voce ai miei pensieri lui. Si stava preparando il caffè, quasi potei sentirne il pungente odore stuzzicarmi le narici.

"Si, lo credo anche io." Sospirai. Mi feci una doccia veloce, lasciando il telefono poggiato sul lavandino, mentre Diego beveva la sua tazza di caffè e mi chiedeva com'era andata la giornata precedente. Gli risposi urlando per farmi sentire, e quando finii di lavarmi mi avvolsi attorno l'asciugamano e mi recai in camera di nuovo.

"Sai che sei proprio sexy con quell'asciugamano?" Lo sentii ridacchiare dall'altro lato del telefono, io feci una mossa provocante, ridacchiando.

"Che peccato che puoi solo vedere." Gli feci una linguaccia. Diego sospirò, ma poi sorrise. Il fatto che fossimo distanti, ormai, sembrava essere diventata una barzelletta. Il non poterci più vedere o sfiorare, era un argomento di tutti i giorni, durante le nostre telefonate, solo che ci scherzavamo su. Ci provocavamo e ci divertivamo, forse semplicemente per alleggerire la situazione.

Mi cambiai velocemente e mi diressi in cucina per prendere un sorso di caffè. "Tra quanto devi andare a lavoro?" Gli chiesi poi.

"Dovrei essere in ufficio tra mezz'ora. Tu?"

Keep it secretDove le storie prendono vita. Scoprilo ora