Capitolo 50

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Dieci ore di travaglio. Penso siano state le ore più lunghe della mia vita.

Le ostetriche mi davano ordini, mentre io mi contorcevo dal dolore, un dolore lancinante e penetrante, ma che rivivrei altre mille volte.

"È un bambino!" Avevano detto, e me l'avevano messo tra le braccia, avvolto in un telo azzurro.

Diego, accanto a me, era scoppiato in lacrime, e mi guardava. Non avrei mai dimenticato il suo sguardo. Non me ne aveva mai rivolti di simili prima di allora.

"È Cristian." Aveva sussurrato, tra le lacrime, ed io avevo stretto il mio piccolo tra le mie braccia.

La stanchezza del travaglio e l'effetto degli antidolorifici mi avevano stremata, ricordavo solo che mi avevano tolto Cristian dalle braccia, e che, con la mano di Diego nella mia, ero caduta in un sonno profondo.

Mi risvegliai al mattino, dopo quella lunga nottata. Accanto il mio letto, c'era la culla con mio figlio dentro, che mugugnava in cerca di attenzioni. L'infermiera girovagava nella stanza, dovevano essere appena arrivati entrambi.

"Buongiorno, mamma." Mi sorrise. Quell'infermiera era molto dolce, mi aveva consolata in tutto il travaglio e mi rivolgeva attenzioni premurose. Era ottima nel suo lavoro. "Suo marito è andato alla caffetteria, sarà qui a breve." Mi informò. Io annuii, stiracchiandomi. Ero ancora molto indolenzita, ma era nulla in confronto ai dolori del parto.

"Che ne dice di allattare il piccolo?" Mi chiese allora, ed io annuii ancora una volta, velocemente. Mi poggiò Cristian sul petto con un sorriso smagliante, mi scoprii un seno e lasciai che il piccolo si attaccasse ad esso. Mi sentii così bene in quel momento che quasi volli piangere.

Nel corso della mattinata, avevo visto centinaia di volti: era arrivato Marco da Milano, che fungeva da spalla destra di Diego, come si vecchi tempi; Iris guardava il bimbo con occhi innamorati; Michelle, premurosa come sempre, mi chiedeva di continuo come mi sentissi.

Ma la cosa che più mi fece riempire il cuore di gioia fu vedere i miei genitori insieme, per la prima volta dopo anni. Mia madre aveva tra le sue braccia il suo nipotino, e lo cullava dolcemente, con mio padre che le stava accanto e sorrideva nel vederlo. La nascita di Cristian aveva accantonato tutti i disprezzi e le tragedie, almeno per quel giorno.

Perfino mia sorella venne a trovarmi, e mi abbracciò quando mi vide. Mi sentii finalmente parte di una famiglia, quella che noi non eravamo mai stati.

Io e Cristian tornammo a casa dopo tre giorni, finalmente la cameretta che avevamo arredato fu colmata dalla sua presenza.

Le prime notti furono difficili: senza le infermiere a ronzarmi intorno, dovetti abituarmi ad alzarmi dal letto appena, dal monitor, udivo i suoi vagiti, pronta ad allattarlo. Passai molte notti insonni, dovute anche ai suoi continui pianti. Io e Diego facevamo a turno, una volta lui ed una volta io. Col passare del tempo, avevamo preso il ritmo, ma era lo stesso struggente alzarsi ogni volta dal letto, nel cuore della notte.

Mano a mano che passavano i giorni, entrambi ci abituammo ad accogliere una terza persona tra di noi. Io mi iscrissi in palestra, decisa a rimuovere quei chili di troppo, Diego prese praticità con pappe e pannolini. Essere genitori ci aveva uniti anche più di prima, eravamo così felici che non potevamo nemmeno descriverlo a parole.

Dopo il giorno della nascita, i miei genitori avevano ripreso a rivolgersi la parola, seppur nel minimo, ma io apprezzai anche quello. Anna era diventata più presente, mi chiamava quasi ogni settimana, ed io le inviavo le foto del piccolo dato che lei quasi mi implorava.

Erano venuti a trovarci anche i genitori di Diego, che scoppiarono i lacrime quando videro e tennero in braccio il loro nipotino.

Cristian Ferrari era appena nato, e già aveva portato una benedizione: aveva riunito quello che il tempo aveva distrutto.

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