Capitolo 21

1.3K 55 0
                                    

Diego

"Sicura che sia una buona idea?" Sbuffai, passandomi una mano tra i capelli, rendendoli ancora più mossi di quanto fossero. Bea mi aveva convinto ad incontrare sua madre, diceva che ormai erano sei mesi che stavamo insieme ed era il passo necessario per rendere la cosa ufficiale a tutti gli effetti. Io me la stavo facendo letteralmente sotto: mi aveva parlato più volte di sua madre, e non erano belle cose.

Avevano una situazione complicata: i genitori avevano divorziato quando lei e la sorella erano molto piccole; da quel momento, aveva visto il padre rare volte, ma in ognuna di quelle volte, si era dimostrato cento volte migliore della madre. Quest'ultima, era una donna sulle sue: caparbia, superficiale e spigolosa; amava mettere in difficoltà la gente, ed aveva una tremenda puzza sotto il naso. E queste erano tutte parole di Bea. La sorella invece, Anna mi sembrava di aver capito, studiava scienze politiche alla Bocconi, ed era la pupilla della madre. Erano identiche in tutto e per tutto, motivo per cui nemmeno con lei andava molto d'accordo. Più volte mi aveva detto che il padre era l'unica ragione per cui amava stare in quella casa, e col divorzio le cose erano completamente precipitate. Il giudice aveva dato il totale affidamento a Linda, chissà con quali raggiri, e Bea stava molto male per quello. Per anni la madre aveva provato a farle credere che persona orribile fosse il padre, ma Bea non aveva mai cambiato idea.

"Non darle retta, e in caso iniziasse ad attaccarti, tienile testa come fai con me." Mi disse lei. Si sollevò sulle punte per lasciarmi un bacio a stampo, ed io le accarezzai la parte bassa della schiena con le mie mani. Quando si divise, già mi mancava quel contatto, seppur minimo.

Fece girare la chiave nella serratura, che scattò. Aprì la porta e mi strinse la mano. Forse un po' di paura ce l'aveva anche lei.

"Beatrice, sei tu?" Sentii una forte e posata voce femminile urlare da sopra le scale.

"Si." Rispose solo la mia ragazza. Si udì il suono regolare di tacchi picchiare contro il pavimento, e qualche attimo dopo, una donna apparve sulle scale. Capii da chi Beatrice avesse preso la bellezza, non c'era dubbio: Linda aveva dei capelli castani legati in una coda alta, un fisico tenuto su abbastanza bene per la sua età, fasciato da un tailleur nero. Era composta e aveva un'espressione apatica in volto. "Noto che ci sono ospiti."

"Se magari vieni qui te lo presento." Beatrice sbuffò. La madre la fulminò con lo sguardo, ma non si lasciò abbattere. Scese le scale e prima che me ne rendessi conto me la trovai a pochi millimetri dal volto. "E così sei tu il ragazzo di mia figlia?"

"Così dicono." Mi ritrovai a rispondere. Beatrice sorrise, la madre no. Anzi, mi guardò con sempre più disprezzo. "Sono Diego." Cercai di recuperare la gaffe che avevo fatto, e le porsi la mano. La donna la guardò con superficialità. Già non la digerivo. Nonostante vidi mille pregiudizi vagarle nella testa, mi strinse piano la mano, quasi come se avessi potuto attaccarle qualche malattia.

"Clorinda. Linda va più che bene."

Che razza di nome era Clorinda?

Bea mi strinse un po' di più la mano, quasi come se fosse un incoraggiamento. "E da quanto tempo va avanti questa storia?"

"Da giugno, mamma." Bea rispose al posto mio. Lo sguardo di Linda scattò sulla figlia, quasi come se si fosse ricordata solo allora ci fosse anche lei.

"Sei mesi e solo ora ti degni di presentarmelo? Anna mi ha fatto conoscere Francesco dopo solo un mese."

Beatrice iniziò a spazientirsi, lo lessi nei suoi occhi. "Non sono Anna, infatti."

"Magari lo fossi." La madre mormorò, ebbi l'istinto di chiuderla in una stanza e non farla più uscire. Beatrice andava bene così, e se in quel momento ero lì era solo perché era semplicemente... lei. Mi ero perdutamente innamorato di lei, del suo modo di arricciare il naso quando non capiva qualcosa, di come le comparivano delle tenere rughette sulla fronte quando era arrabbiata, di come mi supplicava costantemente di comprarle qualcosa da mangiare per placare la sua fame insaziabile. Beatrice era perfetta così com'era, non doveva essere uguale a nessun altro se non se stessa.

Notai come ci fosse rimasta male per quella assurda affermazione della madre, vidi i suoi occhi farsi lucidi. Chinò il capo e stette zitta, lo rialzò solo quando della tristezza non c'era più ombra, e lasciò il posto all'indifferenza. Bea era anche questo: quando veniva ferita, non avrebbe mai mostrato al carnefice una singola lacrima. Preferiva tenersi tutto dentro e far finta di essere indistruttibile. Ma io sapevo quello che era in realtà: Beatrice era un castello di vetro, con mille crepe, ma con una forza tale da reggersi in piedi sempre. Temevo solo che quelle crepe, prima o poi, avrebbero portato alla sua totale distruzione.

"Forse sarebbe meglio andare." Dissi io, per cercare di smorzare la tensione che si era venuta a creare.

"Di già? Siete appena arrivati." Linda disse, arricciando il naso. Riconobbi solo allora dei tratti del viso che aveva in comune con Bea: per fortuna, però, Beatrice non aveva preso una sola briciola dal carattere della madre. Pensai al padre e lo santificai all'istante.

"Forse sarebbe stato meglio non lo avessimo fatto." Borbottai. La madre rimase spiazzata da quella affermazione così tagliente, Beatrice invece ne fu soddisfatta.

Diede le spalle alla madre ed aprì di nuovo la porta. "Non fare tardi." Disse Linda, riferendosi alla figlia.

"Vado da Ludovica. E se avrò voglia, mi rivedrai domani mattina, altrimenti mi farò viva io." Disse Bea.

"Posso chiuderti in casa quando tempo vuoi se solo ti permettessi di fare una cosa del genere." Linda ribattè prontamente.

"Sei mia madre solo all'anagrafe." Mi spinse per la mano e sbattè la porta di casa dietro di noi. Aveva così tanta rabbia in corpo che tremava, non potei fare a meno di stringerla tra le mie braccia. Le lasciai diversi baci tra i capelli, Beatrice sembrò tranquillizzarsi solo in quel modo.

"Andiamo via di qui." Le dissi all'orecchio. Bea annuì senza pensarci due volte, e con la sua mano ancorata alla mia, ci dirigemmo verso la mia auto.

Guidai fino a casa mia, vuota come al solito. Bea sembrava essere appena uscita da una guerra, odiavo vederla così giù.

"Ehi." Le dissi, prendendole il braccio e spingendola contro il mio petto. "Ne vuoi parlare?"

Ci fu qualche attimo di silenzio, prima che lei parlasse. Il suo volto era immerso nel mio petto, la sua voce risultò ovattata, ma ero convinto lo fosse anche perché avrebbe pianto da un momento all'altro.

"Sono così stanca di sentirmi quella sbagliata." Mormorò. Chiuse le sue braccia attorno al mio bacino, il mio cuore si spezzò un po'. Bea non meritava tutto quello, era davvero una ragazza d'oro.

Le presi il volto tra le mani e la costrinsi a guardarmi. Una lacrima le rigò la guancia, io fui pronta a raccoglierla. "Tu non sei sbagliata, sei perfetta così come sei. So che l'amore di una madre è importante per un figlio, ma io e te siamo forti, okay? E tu soprattutto, non credere a quello che ti dice quella befana." Bea riuscì a ridacchiare, colpendomi scherzosamente un fianco. "Sei bellissima e credo che non avrei potuto trovare di meglio, a volte non credo nemmeno di meritarti per quanto perfetta tu sia. E si, tutti abbiamo dei difetti, ma tu sai renderli pregi. Ed io amo ognuno di loro."

Beatrice sussultò a quell'affermazione, i suoi occhi si riempirono ancora una volta di calde lacrime. "Tu cosa?" Sussurrò a malapena.

"Ti amo, Beatrice. Ti amo così tanto che mi manca il fiato quando sei vicino a me. E ti amo così tanto da aver paura di potermi risvegliare da un sogno da un momento all'altro."

Un'altra lacrima le rigò il volto, potei capire fosse commossa. Non le avevo mai parlato così apertamente dei miei sentimenti, era sconvolta a dire poco. "Non lo dici per compassione, vero?" Mi chiese piano.

Allora le presi una mano e gliela portai sul mio cuore, che batteva all'impazzata. "Secondo te questa è compassione?" Le chiesi.

Bea sorrise così tanto che, per quanto fosse possibile, diventò ancora più bella. Si sollevò sulle punte e mi baciò con foga. Non potei fare a meno di afferrarla per i fianchi e stringerla di più a me. "Ti amo anche io. Tanto, troppo." Sussurrò sulle mie labbra.

Keep it secretDove le storie prendono vita. Scoprilo ora