We don't talk anymore, Charlie Puth

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Should've known your love was a game 
Now I can't get you out of my brain 

Deborah Pjaca
Marko aveva appena imboccato il corridoio verso la sala conferenze, accompagnato dal ds della squadra.
Io mi sedetti sulla poltrona nella hall, estraendo il cellulare dalla tasca degli shorts e aprendo Instagram.
La prima storia che mi comparve era quella di Paulo, così cliccai e vidi una foto con ritratti lui, Ronaldo e Emre Can, con i pollici in alto, che avevano evidentemente vinto una sfida ad allenamento.
Poi andai a cercare la pagina della Fiorentina, cliccai 'segui' e guardai subito la storia, che mostrava una foto dell'allenamento di questa mattina, poi vidi una storia caricata 'due minuti fa', che mostrava Marko al microfono della sala conferenze.
"Tu devi essere Deborah, no?"
Sobbalzai quando le parole mi arrivarono alle orecchie, così alzai gli occhi e mi trovai davanti un ragazzo in pantaloncini corti fino al ginocchio, maglia bianca con taschino e vans rosse fiammanti. I capelli gli andavano ovunque e sul volto era dipinto un sorriso amichevole.
"Io... sì, sono io." risposi impacciata giocando con la cover del telefono che ancora tenevo in grembo, sentendo il colore fluire sul mio volto.
"Io sono Giovanni Simeone. Credo che tu abbia già sentito parlare di me." commentò senza smettere di sorridere.
"Sì... Sei il figlio del Cholo, no?"
Lui annuì, porgendomi la mano, che io titubante afferrai e strinsi.
"È un piacere conoscerti. Dovrebbero arrivare presto anche alcuni altri ragazzi, tuo fratello è alla conferenza?" domandò.
"Esatto, dovrebbe avere poco ancora." risposi, rompendo la barriera di timidezza che separava me e quel calciatore.
Certo che ne avevo sentito parlare, da tanto anche. È da un anno che è alla Fiorentina, e lo scorso anno ha anche segnato contro alla Juve in una delle due partite disputate, ed è impossibile non aver mai sentito parlare di lui.
Figlio del noto allenatore dell'Atletico Madrid Diego Simeone. Figlio d'arte, in pratica.
"In ogni caso, non so se te lo ha detto tuo fratello, ma domani c'è una partita amichevole. Se vuoi puoi venire a vederci, poi andiamo a mangiare in centro." mi propose.
"Sì, me lo ha già anticipato Marko e sì, verrò volentieri, grazie." sorrisi, cercando di essere il più sincera possibile.
Sarei andata volentieri, ovvio, ma dovevo ancora superare la storia con Federico, l'averlo mollato così su due piedi e sapere che sentivamo ancora attrazione l'uno per l'altro e invece non potevamo stare insieme.
Già, non è così facile.
Non volevo soffrire ancora.
Proprio allora entrarono dalla porta del centro sportivo due ragazzi. Uno venne subito verso di me, sfoggiando un sorriso.
Tese la mano senza problemi.
"Sei tu la famosa sorellina di Marko? Piacere cara, io sono Marco Benassi." disse.
Io sorrisi, trovandolo subito molto simpatico.
"Il piacere è tutto mio. - risposi educatamente stringendo la sua mano - Eri al Torino prima, no? Ti ho già visto nel derby Juve-Torino di due anni fa."
Lui sorrise.
"Che memoria! - si complimentò - Comunque sì, questa è la mia seconda stagione a Firenze. Ti ci troverai bene, ti farò conoscere i miei due figlioletti. Amano i nuovi arrivi."
Sorrisi nuovamente e annuii. Poi mi concetrai sull'altro ragazzo, e scoprii che era Federico Chiesa, lo stesso che si era presentato ad allenamento il giorno prima, con l'unica differenza che ora aveva il ciuffo di capelli in ordine, un paio di pantaloni della tuta neri e una maglia bianca della Vans.
Si voltò a sorridermi, così contraccambiai, e potei giurare di vedere i suoi occhi brillare.
"Mi hai già conosciuto, io sono Federico." prese la parola, probabilmente giusto per dare aria alla bocca, ma annuii per segnalare che avevo capito.
Un altro figlio d'arte, giusto per precisare, il figlio di Enrico Chiesa, grande ex giocatore di calcio.
Restammo a fissarci un attimo. Non ci parlavamo, ma sembrava che a lui bastasse guardarmi negli occhi.
Fui io a distogliere lo sguardo imbarazzata, e guardai l'ora sul cellulare, scoprendo che erano circa le quattro.
"Non ci sono delle macchinette qui?" domandai a chiunque dei tre mi rispondesse.
"Certo, per di qua, ti accompagno." si affrettò a rispondere Giovanni, scambiando un'occhiata con Federico, che non disse niente ma si limitò a fissarlo.
Il ragazzo andò avanti, così lo seguii in un corridoio che era opposto a quello imboccato da Marko per la conferenza.
Arrivammo davanti alle macchinette, così frugai nella tasca dei pantaloncini e presi un euro, lo inserii e guardai Giovanni.
"Che cosa prendo?" gli chiesi.
Lui fece il finto pensatore, poi indicò una barretta di cioccolato.
"Quella è buona." constatò.
Digitai il numero e così scese la barretta. La aprii e la divisi a metà. Porsi una di esse a Giovanni.
"Tieni. Questa è tua." riferii.
"Ma... Sei sicura?" domandò guardandomi.
Io annuii, mentre masticavo la mia.
"Perfetto, grazie." mi rispose sorridendo.
Fece per prendere la metà, ma io gliela tolsi.
"No, apri la bocca." mormorai.
"Ehi, guarda che sono in grado di mangiare da solo!" rise lui, ma comunque si avvicinò vedendo che non gli avevo ceduto il pezzo di cioccolato.
Aprì la bocca rassegnato e io gli diedi il pezzo di barretta, che iniziò a masticare voracemente.
Poi ci sorridemmo ancora, prima di riprendere il corridoio che ci avrebbe riportati nella hall.
"Sei estremamente simpatica, sai?" commentò Giovanni pogginadomi una mano sulla spalla.
Ci conoscevamo da due minuti ma sembravamo amici da una vita.
"Come mio fratello, d'altra parte. E mi conosci poco ancora: con il tempo capirai quanto mi possa affezionare alle persone, sperando di non perderle anche qui però."
Il significato della frase così ovvio per me e tanto incomprensibile per lui aleggiò nell'aria, mentre arrivammo nella hall del centro sportivo.

𝐒𝐄𝐍𝐙𝐀 𝐒𝐎𝐅𝐅𝐑𝐈𝐑𝐄 || Federico ChiesaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora