Bad Liar, Imagine Dragons

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So look me in the eyes, tell me what you see 
Perfect paradise, tearin' at the seams 

Federico Chiesa
Le partite con il Chievo e l'Udinese erano diventate un lontano ricordo. Era pomeriggio, e nonostante fossimo a metà settembre il sole scottava ancora.
Mancavano due giorni alla partita con il Napoli, e questo era l'ultimo allenamento a Firenze, e il giorno seguente saremmo partiti per la prima trasferta stagionale.
Presi da terra la borraccia e mi rovesciai l'acqua in testa, poi la buttai a bordocampo.
Cazzo, che caldo.
Vidi Deborah parlottare con un preparatore atletico, il quale le indicò una porta del magazzino dove c'erano tutti gli attrezzi per l'allenamento.
Ascoltai il mister dire che avremmo fatto la partitella e che stava decidendo le squadre.
"Mister!"
La voce candida di Deborah giunse all'orecchio della squadra che si voltò a guardarla. Teneva tra le braccia le casacche blu e rosa che rischiavano di cadere dappertutto, se solo il mister non le avesse risposto:
"Posale pure lì in panchina".
La ragazza abbandonò l'ammasso di casacche sui seggiolini, poi con la coda dell'occhio la osservai raccogliere con il piede un pallone a bordocampo e iniziare a palleggiarci. Si mise a camminare palleggiando con entrambi i piedi e arrivò da noi, che stavamo nei pressi della porta e, quando il mister le chiese la palla, lei la alzò un po' di più con il ginocchio e, al volo, calciò di piatto al mister, che stoppò di interno piede e rivolse uno sguardo eloquente a Deborah.
"Hai mai pensato di entrare nella squadra femminile?" domandò sorridendo.
"Umh, no, mai pensato. - disse - Ma non sono interessata."
Sorrise e riprese le casacche sotto invito del mister affinché le distribuisse, poi sedette in panchina ad assistere alla partitella.
La vidi molto serena in effetti, i primi giorni che era qui a Firenze era parecchio stressata mentre ora sembra più a suo agio. Ha ancora momenti in cui fa la vaga, non sorride e parla poco, e da lì capisco che ha qualcosa, qualcosa che continua a roderle dentro, ma che lei non accenna a dire a nessuno, nemmeno a me.
Da tempo cerco di indagare, ma ogni volta che lei mi dice 'non voglio parlare' io, come incantato, non insisto e quindi lascio perdere.
Mi fa perdere la ragione, quella ragazza.
Finita la partitella mi rovesciai il resto dell'acqua sulla testa e mi misi le mani nei capelli per scompigliarli, mentre ci toglievamo le casacche e andavamo verso gli spogliatoi.
"Guarda che ti prendi un bel raffreddore. - mi avvertì Deborah quando afferrò la mia casacca, l'ultima, e mi seguì fuori dal campetto per andare verso il magazzino a lasciare le casacche - Se ti versi l'acqua in testa."
Che premurosa sei, ti preoccupi per me?
"Che cosa dici? Io sono forte e la mia salute è invidiabile da chiunque. - sostenni. Mi avvicinai e le misi un dito sul naso - Anche tu la invidieresti."
Lei sorrise e mi prese il dito dal naso e poi mi prese la mano, mentre continuammo a camminare.
"Io non invidio nessuno. Ricordatelo."
Detto ciò mi lasciò la mano e aprì la porta del magazzino, entrò e la porta si richiuse alle sue spalle.
Arrivai in spogliatoio per ultimo.
"Ehi ehi Fede hai qualcosa da reclamare?" domandò sghignazzando Valentin.
Io lo guardai interrogativo, mentre tolsi la maglia.
"Suvvia non far quella faccia, lo sai che intendiamo." commentò Kevin.
"Una persona che si chiama Deborah..." aggiunse Jordan sorridendo malizioso.
Restai fermo con le sopracciglia corrugate a fissarli, quando, pochi posti alla mia destra, vidi Marko voltarsi verso di me e i ragazzi.
"Deborah? Che c'entra mia sorella?"
Feci spallucce e scossi il capo, lasciandogli capire che i ragazzi stavano dicendo cazzate, quando in realtà avevano colto in pieno la verità.
"Ma non negarlo, appena hai un attimo libero vai a parlarle e continui a sorriderle." mi fece notare Vitor.
"E allora?" chiesi, pentendomi subito dopo.
"E allora, - riprese Jordan - è evidente che ti piace."
"Solo un orbo direbbe che Deborah non è bella. - osservò Marko - Lo dico io che sono suo fratello."
"Tua sorella è uno schianto, è diverso. - disse senza peli sulla lingua Giovanni - È la verità, fate i seri."
"Ah, i giovani e l'amore..." sospirò German.
Feci roteare gli occhi e misi le cose nel borsone.
"E comunque - conclusi - non nego che sia carina."
Uscii dallo spogliatoio e chiusi la porta.
Mi diressi verso il parcheggio per salire in macchina, ma vidi la figura di Deborah seduta davanti alla porta del centro sportivo.
Lasciai il borsone in macchina e poi mi avvicinai a lei.
"Ehi."
Lei alzò il capo.
"Fede." sussurrò lei.
"Qualcosa non va?" chiesi.
Lei fece spallucce.
"Tutto apposto." sorrise. Un sorriso finto, parecchio finto.
"Non mentirmi... Sai che voglio che tu stia bene."
Mi resi conto di ciò che avevo detto.
"Sei mia amica. - chiarii subito - So che qualcosa ti turba."
"Fede, non me la sento di parlarne, ok? Nè con te nè con nessun altro." replicò alzandosi dalla sua postazione.
Sospirò e mi guardò negli occhi, poi mi prese una mano.
"Mi dispiace fare la misteriosa, ma ne va della fiducia di tutti."
I suoi occhi profondi mi fissarono ancora un po', poi mi lasciò la mano e si voltò, andando verso il parcheggio.
Mi girai e vidi che stava andando incontro a suo fratello, che stava salendo in macchina.
Ne va della fiducia di tutti.
Perché non mi dici niente, Deb?
Mi dispiace sapere che lei pensi anche solo di non potersi fidare di me, o comunque che io possa non avere più fiducia in lei.
Fanculo la fiducia, io sono innamorato pazzo di te.
Ci vuole tanto perché lei lo capisca?
Devo anche cercare di mantenere il posto da titolare, non posso deconcentrarmi troppo.
Inizierei a rendere meno, perderemmo le partite e poi...
Quante paranoie.
Devo cercare di restare calmo, ma come?
"Ehi bomberissimo, - esordì la voce squillante di Gio - ti va di andare a prendere un gelato?"
Proprio quello che ci voleva... Un buon gelato per schiarirsi le idee... Ogni tanto ne fai una giusta, Cholito.
"Certo, va benissimo. Andiamo."
Uscimmo dal Campini ognuno sulla sua auto e parcheggiammo fuori dalla gelateria. Una volta entrati ordinammo due coni e ci sedemmo ad aspettare, in un angolo della gelateria un po' più tranquillo.
Quando ci portarono i due cornetti iniziammo a gustarlo.
Vidi Giovanni guardarmi ogni tanto e poi, quando io alzavo lo sguardo per guardarlo in faccia, lui abbassava gli occhi.
"Che c'è?" chiesi spazientito dopo la terza volta.
Lui mi guardò dritto negli occhi.
"Finisci di mangiare. Devo parlarti."

𝐒𝐄𝐍𝐙𝐀 𝐒𝐎𝐅𝐅𝐑𝐈𝐑𝐄 || Federico ChiesaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora