Mademoiselle, Sfera Ebbasta

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E no, non voglio dire nulla di sbagliato
Ma anche se non dici nulla qua comunque ti sbagli

Deborah Pjaca
Ci dirigemmo ad allenamento partendo da casa con mezz'ora d'anticipo, occupata dalle lamentele di Federico che, mentre guidava, disapprovava la mia scelta.
"È la volta buona che arrivi in orario!" gli ripetevo io.
Infatti giungemmo al Campini addirittura in anticipo, ma comunque qualcuno era già arrivato, tipo mio fratello.
Scesi dalla macchina e mi diressi verso di lui.
"Ehilà bro." lo salutai.
"Ciao, tutto bene? Mangiato il sushi?" domandò con un occhiolino.
"Certo. Guarda che dopo allenamento forse vado da Gio." lo avvisai.
"Ma quando inizierai a stare a casa?"
"Me lo ha detto lui, è arrivata sua sorella dall'Argentina e vuole che la conosca. Dice che andremmo d'accordo." spiegai.
"Ma..."
Sapevo cosa avesse intenzione di dire Marko, una delle sue cazzate, ma non fece in tempo a parlare che si sentì il rumore di un'altra macchina entrata nel centro e parcheggiare.
Dall'auto, per l'appunto, scese Giovanni.
Mio fratello fece un passo verso di lui, che tranquillamente si diresse verso il nostro gruppetto.
"Ma perchè non mi hai detto che un nuovo essere umano di sesso femminile sarebbe arrivato a Firenze?" gli domandò con una certa curiosità Marko. Ecco, lo sapevo.
Giovanni lo guardò accigliato.
"Perchè sapevo che avresti avuto questa reazione. Ah, Pjaca, ti ricordo, nel caso ti salissero certi istinti strani, che lei è mia sorella. Ti ho avvertito." lo ammonì serio.
Marko sorrise.
"Ovviamente."
Solo allora Giovanni sembrò accorgersi della mia presenza.
"Deb! Che piacere vederti! Com'è andata a Torino?" chiese allegro, ma smise di esserlo quando vide il mio sguardo cupo. A quella domanda era sempre difficile rispondere.
"Domanda di riserva?"
"Mi dispiace. Bè, allora dopo vieni a casa con me? Mia sorella ti aspetta!"
Annuii, mentre osservai arrivare gli ultimi ragazzi mancanti all'appello, che mi salutarono calorosamente dopo il mio weekend lontano da Firenze.
In particolare Jordan mi si avvicinò e mi trascinò lontano da orecchie indiscrete.
"Sabato sono stato a cena da Marco. - mi disse - E stavamo parlando di te. E, mentre Marco si è allontanato per andare a mettere a letto i bambini, Giusy mi ha confessato una cosa... in realtà non mi ha detto molto, mi ha solo informato che... be', che hai un gran punto debole, un segreto che solo lei sa e che non hai ancora detto a nessuno, e siccome è segreto non poteva dirmelo, però... sappiamo che hai qualcosa, Deborah."
Non mi stupii più di tanto, sapevo che prima o poi qualcosa sarebbe saltato fuori. E poi, avrei dovuto dirlo, prima o poi.
"Senti Jordan, è un segreto, un problema, sì, però... Dopo essere tornata ancora a Torino ho bisogno di riflettere un attimo, poi quando è il momento rivelerò tutto a tutti. Lo sapeva solo Giusy perchè... be', perchè lei è una ragazza e mi capiva, quindi gliel'ho raccontato.
Però almeno ha mantenuto il segreto."
"Esatto, io non so nulla, solo che ci stavamo chiedendo il tuo strano comportamento perchè, nonostante ti conosciamo benissimo, vediamo che ancora, per certi versi, sei insicura. Noi vogliamo solo... vogliamo solo che tu stia bene." mi sussurrò.
Io gli sorrisi riconoscente.
"Grazie, Jordan."
Ricambiò il sorriso e si unì ai ragazzi, che si diressero verso lo spogliatoio, mentre io andai dentro il campetto, dove Pioli di rigirava il fischietto tra le mani.
"Mister!" esclamai per attirare la sua attenzione.
Lui si voltò, e quando mi vide sorrise meravigliato.
"Ehi, Deborah, ma sei ancora da queste parti allora! Come va?"
"Potrebbe andare meglio."
"Sei stata a Torino mi hanno detto, per fortuna sei tornata... ho bisogno di aiuto con quegli scansafatiche." commentò.
Io sorrisi.
"Sempre ai suoi ordini!"
"Allora vai a prendere la rete dei palloni. Possibilmente gonfi."
Mi recai verso la palestra affianco al campo e agli spogliatoi e presi la rete di palloni, portandola al mister.
In seguito mi sedetti sull'erba a bordocampo e seguii l'allenamento, ritornando alle abitudini fiorentine.

Finito l'allenamento, Giovanni uscì dallo spogliatoio con i capelli bagnati, presumo dopo la doccia.
"Allora? Andiamo?"
Annuii e salii in macchina con lui.
"Non voglio dare disturbo, quindi penso che a pranzo tornerò a casa." dissi.
Lui sorrise.
"Ti sbagli. Ho prenotato un tavolo per quattro in una pizzeria vicino casa mia. Sono rimasto d'accordo con Marko, ci troviamo lì."
Era quasi logico che il mio migliore amico avesse già previsto la mia mossa e mi aveva anticipato.
Arrivammo a casa Simeone in poco tempo. Gio aprì e avvisò la sorella:
"Bea! Sono a casa! E ho ospiti!"
La ragazza, sentitasi interpellata, scese le scale con disinvoltura, raggiungendo il vasto salone.
Era una ragazza carina, non molto simile al fratello, i cui capelli biondi scendevano mossi sulle spalle.
Gli occhi vispi, l'unica cosa a mio parere identici a quelli di Gio, mi posarono su di me.
"Piacere Deborah. Mio fratello mi ha parlato tanto di te." esordì sorridendo. Già a primo impatto, la trovai molto simpatica. Rivolsi lo sguardo a Giovanni.
"Non sai proprio stare zitto, eh? - sorrisi e porsi la mano alla ragazza - Be', già lo sai, ma sono Deborah."
Lei ricambiò il sorriso in modo amichevole.
"Beatriz."
Mentre Giovanni andò in camera per mettere in ordine le cose nel suo borsone, Beatriz mi invitò a sedermi e iniziammo a fare conoscenza: mi raccontò di avere diciannove anni e di aver finito la scuola in Argentina e, per questo, decise di venire in Italia per stare con suo fratello e cercare un lavoro non troppo impegnativo, come servire in un bar o in un ristorante, ad esempio.
Io le rivelai di essere appena tornata da Torino e di esserci ancora tremendamente legata, di aver scelto una scuola triennale che perciò avevo finito lo scorso giugno ancora nella città piemontese e di non aver la minima idea di cosa fare, probabilmente avrei sempre e solo seguito mio fratello nel suo percorso calcistico.
Non le dissi nulla del perchè ero legata a Torino, anche se lei me lo chiese, infatti le risposi:
"Scusa ma... ora non me la sento di parlarne. Dammi un po' di tempo e... racconterò."
Lei sorrise prima di prendermi una mano.
"Io sono qui. Quando vuoi, sai che puoi contare su di me. È normale non fidarsi subito della gente, anche io faccio così." mi rassicurò.
"Non è questione di fidarsi ma... non sono pronta psicologicamente ad affrontare di nuovo il problema. Mi serve solo tempo." spiegai.
"I ragazzi lo sanno?" chiese.
"No. È proprio questo il punto. Che non lo sanno, ed è complicato spiegarlo. Ma... prima di dirlo a loro lo dirò a te, e mi consiglierai come comportarmi con loro, vero?"
Lei sorrise.
"Puoi contarci. Quando vorrai. Ti lascio il mio numero, mi chiami quando hai bisogno."
Ci scambiammo il numero di telefono e tra una chiacchierata e l'altra si fece l'ora di pranzo.
"Su, Marko ci aspetta in pizzeria." disse Gio, mentre con la finezza di un elefante zoppo scendeva velocemente dalle scale.
"Calmati, o le sfonderai. Altrimenti fra un po' dobbiamo far installare un'ascensore." lo rimproverò sua sorella mentre uscimmo di casa e salimmo sulla macchina.
Con la musica a tutto volume e le nostre tre voci che cantavano parole incomprensibili anche a noi stessi, ci dirigemmo alla pizzeria.
E, con quel clima di felicità, mi accorsi che forse, in macchina, oltre ad avere il mio migliore amico, avevo anche quella che sarebbe diventata la mia migliore amica.

Sorpresa! Amatemi per il largo anticipo della pubblicazione.
Non è parecchio interessante, ma a volte servono anche questi capitoli di distacco! 💪
Spero vi piaccia comunque 🍀❤

𝐒𝐄𝐍𝐙𝐀 𝐒𝐎𝐅𝐅𝐑𝐈𝐑𝐄 || Federico ChiesaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora